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Il sindacato dei sogni

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I Tre allegri ragazzi morti dopo tre anni sono tornati con un nuovo album, Il sindacato dei sogni, che, come molti commentatori hanno scritto ben prima di me, segna il ritorno del gruppo a sonorità molto più vicine a quelle dei lavori degli esordi. In realtà i TARM sono da sempre uno dei pochi gruppi sperimentali del panorama musicale italiano e non tradiscono queste attese neanche in questo Sindacato dei sogni. Davide Toffolo ha, in qualche modo, portato nella musica una delle lezioni più importanti del suo punto di riferimento fumettistico principale, Andrea Pazienza: l'eclettismo.
Toffolo, infatti, non è solo una delle migliori voci maschili italiane (almeno nel campo della musica pop e rock), ma anche un vero e proprio "onnivoro musicale", come ha dimostrato con Primitivi del futuro e in parte anche con Inumani e come dimostra tutt'ora con l'Istituto Italiano di Cumbia o con il catalogo de La Tempesta, ricco dei più svariati generi. E in qualche modo questa linea sperimentale continua a confermarsi anche ne Il sindacato dei sogni, non solo grazie a un pezzo progressive come Una ceramica italiana persa in California, ma anche con una sparizione quasi completa degli elementi punk che hanno caratterizzato proprio quelle origini cui questo nuovo lavoro sembrerebbe riportarli in favore di scelte molto più varie: oltre alle influenze progressive e psichedeliche, anche il jazz o le armonie alla musica classica sono entrate nel repertorio dei TARM.
Peraltro il disco lascia la sensazione di passaggi musicali comuni tra le varie canzoni, qualcosa che serva a creare un discorso musicale unico e molto più unitario del passato. In questo senso sarebbe interessante ascoltare un concept album dei TARM, che il gruppo potrebbe tranquillamente realizzare viste le capacità di Toffolo di narrare storie.
In generale è difficile trovare LA canzone del nuovo CD, quella che meglio lo identifica o che mi ha colpito più di tutte. Un suggerimento in qualche modo lo fornisce lo stesso Toffolo, visto che alla conclusione della decima traccia ecco, in una sorta di perfetto reprise, arrivare Con i bengala nel cielo, che poi è una versione differente di Bengala, una sorta di favola di guerra dove le bombe si trasformano nei bengala e nei classici fuochi d'artificio delle feste, in questo caso quelle di quando la guerra finisce e non fa nulla se la casa non ha più un tetto sopra. E allora è proprio con il video ufficiale di Bengala che vi saluto, sperando che il prossimo lavoro dei TARM arrivi quanto prima!

Arancia meccanica: in difesa delle libertà individuali

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Vista l'imminente chiusura di Google+, ho fatto un controllo veloce sul blog per vedere se c'erano pulsantini di condivisione a questo social e quindi ho migrato il profilo associato alla mia firma bloggistica da quello su G+ a quello su Blogger. Fatte le ultime sistemazioni vado a controllarlo e vedo che tra i miei blog c'è anche la partecipazione a Schock Addizionali. Aperto a dicembre 2007 da un amico di giù, ha proseguito a fasi alterne le pubblicazioni per un'annetto circa, per poi non venire più aggiornato. Controllando i miei contributi colà, vedo che ci sono alcune recensioni, così mi è sembrata una buona idea riproporle anche qui su DropSea, iniziando da Arancia meccanica di Anthony Burgess.
Rileggendo la recensione di ormai più di dieci anni fa, lasso di tempo durante il quale non ho recuperato l'Arancia meccanica di Stanley Kubrik (ma 2001: Odissea nello spazio sì e magari vi scrivero qualche riga in futuro), scopro che l'edizione dell'Einaudi aveva anche alcuni contenuti aggiuntivi alla prima edizione originale, come un primo capitolo in più, un articolo di Burgess sul film di Kubrik e un'intervista al regista. Leggendo questi contenuti si scopre che, cosa rara per i film tratti dai romanzi, è lo stesso autore a sottolineare le poche differenze tra il film e il suo romanzo, mentre nell'intervista Kubrik giustifica i cambi effettuati durante la stesura della sceneggiatura, necessari per rendere più chiaro il punto di vista di Burgess, altrimenti impossibile con una trasposizione pedissequa. In questo senso risulta coerente l'esclusione dalla trasposizione dell'ultimo rassicurante capitolo, che Burgess è stato costretto ad aggiungere a causa di pressioni dell'editore.
Uno degli equivoci cui Arancia meccanica (anche il film) è andato incontro è la rappresentazione della violenza fine a se stessa. Tale rappresentazione è, però, ai fini narrativi, assolutamente necessaria, perché l'opera letteraria può essere fruita completamente solo se si chiariscono i punti cardine nel suo complesso, e non estrapolando ciò che fa più comodo al critico di turno. Nella prima parte viene narrata una escalation di violenza che porta Alex, il narratore nonché protagonista della vicenda, nelle patrie galere britanniche. Alex e la sua banda (i suoi soma), scorrazzano per la città picchiando a sangue, distruggendo ciò che incontrano, per il solo gusto di farlo, giovani teppisti di una società in continuo mutamento, e Burgess è così abile nel descrivere i loro comportamenti eccessivi che si è naturalmente portati a desiderare per i giovani protagonisti tutto il male possibile. In pratica questa prima parte è una fotografia della società così come è ancora oggi in molte grandi metropoli dell'occidente civilizzato.
La seconda parte narra delle peripezie di Alex nella prigione, dai suoi tentativi di sfuggire alle sodomie dei compagni di cella fino all'ultimo caso di violenza che ha portato alla morte di un altro carcerato, malmenato a sangue da Alex e compagni. Alla fine, come già per l'omicidio della vecchia che alla fine della prima parte portò Alex in prigione, anche in questo caso i suoi compagni di cella lo tradiscono, lo lasciano solo al suo destino. In questo senso questa prima fase della vita carceraria di Alex è abbastanza tipica di ogni carcerato: basta leggere i romanzi e la biografia di Edward Bunker (esempio lampante è sicuramente Cane mangia cane) per avere un'idea ben precisa delle difficoltà che si incontrano nelle prigioni, spesso traslate anche nella vita fuori, ma questo è un discorso che meriterebbe un articolo a sé.
Negli anni in cui A Clockwork Orange (titolo originale dell'opera) venne concepito, si stava facendo largo l'idea di proporre il lavaggio del cervello per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Burgess, in risposta a tale idea, concepisce, scrive e pubblica le avventure di Alex, che nelle ultime due settimane di detenzione viene sottoposto a una tecnica rivoluzionaria: la somministrazione di un mix chimico che lo costringe ad avere rigetto fisico nei confronti della violenza e di tutto ciò che la sua mente associa alla violenza, su tutto la sua amata musica classica, da Ludwig van Beethoven a Wolfgang Amadeus Mozart, passando per Johann Sebastian Bach (spero non sfuggiranno, nell'ottica di come concludo la recensione, i gusti musicali di Alex, che un certo modo di pensare associa alle persone generalmente "tranquille").
Viene così restituito al mondo, nella terza parte, un Alex non già mondato e rinato a nuova vita, ma inibito nelle sue pulsioni, impossibilitato a difendersi da una torma di vecchietti che lo assale nella biblioteca pubblica, o dai suoi ex-compagni di pestaggio ormai diventati poliziotti. Trova salvezza nella casa di un uomo cui, a suo tempo, violentò la moglie (opportunamente coperto da una maschera), e che alla fine lo presenta ad alcuni amici che lo useranno per i loro fini politici. Alla fine il fatto che Alex, così come i suoi compagni di violenze, sia una pedina nel gioco politico del potere è non solo una delle chiavi di lettura del romanzo, ma probabilmente anche la più importante.
In pratica Alex è veramente libero solo nella prima parte del romanzo, quando la sua pur discutibile scelta di violenza è comunque di Alex e soltanto sua. Dall'omicidio della vecchia in poi il ragazzo, nel romanzo un quindicenne, non è più libero, prima perché in prigione, poi perché con il miraggio della libertà fisica, viene privato di quella della scelta, e infine perché il suo ritorno alla violenza (come si legge nel debole capitolo conclusivo, aggiunto successivamente, come già detto) è in pratica dovuto a quello stesso Governo che lo aveva chimicamente lobotomizzato.
In conclusione un bel romanzo, che come spesso capita a tutti i bei romanzi, non viene compreso appieno e si punta l'attenzione solo su alcuni aspetti marginali, che in realtà sono necessari solo per chiarire il più ampio discorso sulla libertà individuale di scegliere il proprio destino. Una libertà che questa società dovrebbe concedere a tutti.

Tullio Regge e la rottura di simmetria

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Capire come avvenga la rottura della simmetria non è facile; può servire la seguente similitudine creata dal fisico italiano Tullio Regge:
Si immagini una scodella circolare allargata verso l'alto, il cui fondo non sia piatto, ma con un rialzo centrale circondato da un solco il cui bordo esterno poggi su un tavolo orizzontale. Delle palline lanciate internamente alla scodella con velocità sufficientemente alta (energia elevata) ruotano premute dalla forza centrifuga contro la superficie interna della scodella. Esse presentano simmetria circolare. Quando l'energia diminuisce, le palline cadono verso il basso e si vanno a fermare nel solco del fondo in punti diversi e non presentano più simmetria circolare: la simmetria circolare si è rotta spontaneamente. Nella similitudine la scodella è l'universo, il campo di gravità che rompe la simmetria è il campo di Higgs.
- via Ottavio Serra (pdf)

Un bosone per domarli

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Come l'anno scorso, più o meno nello stesso periodo, torno a Parabiago per proporre alcune conferenze all'interno di un corso di autoformazione dei docenti dell'area di matematica e fisica del Liceo Cavalleri. Quest'anno il tema principale scelto è stato il bosone di Higgs, da cui il titolo tolkeniano della serie di incontri (e di questo articoletto). L'incontro per la progettazione delle conferenze è avvenuta all'incirca nel periodo in cui avevo in scrittura il trittico di articoli dedicati a J.R.R. Tolkien, da cui l'ispirazione per il titolo che ho proposto.
In particolare oggi abbiamo iniziato con il Modello Standard, raccontato dal buon Giovanni Guido, che mi ha concesso di raccontare qualcosa sul bosone di Higgs. Ho basato la presentazione su un articolo scritto un anno prima dell'annuncio della scoperta del bosone per la prima parte, poi concentrandomi nella seconda su un trittico di articoli didattici di Giovanni Organtini, in particolare su Unveilling the Higgs mechanism to students(1). Le note che seguiranno tratteranno innanzitutto quest'ultimo articolo.
Una domanda legittima quando si vuole provare ad affrontare con degli studenti delle scuole superiori un argomento come quello del bosone di Higgs e dei meccanismi che vi stanno dietro, è come raccontare la storia senza utilizzare la matematica che è stata veramente usata da Peter Higgs e soci. Un modo per venire incontro a tale esigenza utilizzando leggi per lo più note agli studenti è proprio l'obiettivo di quanto segue:
Una particella immersa in un campo
Si parte dalla definizione matematica delle energie potenziali prodotte da una particella carica $q$ e da un campo elettrico $E$ all'interno di un dato volume $\mathcal{V}$: l'energia potenziale totale del sistema sarà data dalla somma delle due: \[U = qV + \frac{\varepsilon_0}{2} E^2 \mathcal{V}\] A questo punto calcoliamo l'equivalente classico della lagrangiana, l'oggetto matematico utilizzato nel Modello Standard per fare tutti i conti: la densità di energia \[u = \frac{U}{\mathcal{V}} = \frac{qV}{\mathcal{V}} + \frac{\varepsilon_0}{2} E^2\] Questa espressione è simmetrica, e la simmetria viene evidenziata dalla struttura matematica dell'equazione. Ciascuno dei due termini, e più in generale ogni termine di una densità di energia simmetrica, ha una delle due seguenti strutture:
  • il prodotto tra due campi
  • il prodotto tra il potenziale di un campo e la caratteristica fisica fondamentale del generatore del campo
Se la particella di carica $q$ possiede una massa, o in qualche modo la acquista, allora la densità di energia si modifica nel modo seguente: \[u = \frac{U}{\mathcal{V}} = \frac{qV}{\mathcal{V}} + \frac{\varepsilon_0}{2} E^2 + \frac{mc^2}{\mathcal{V}}\] Il termine di massa, poiché non rientra in nessuna delle due "strutture" identificate in precedenza, rompe la simmetria della densità di energia. La rottura della simmetria è spontanea se l'emergenza della massa è dovuta a un fenomeno interno al sistema.
Il punto di energia minima di questo sistema, ovvero il vuoto, viene definito quando $E=m=0$.
Il campo di Higgs
Ripartiamo dalla densità di energia senza la massa e introduciamo nel sistema un campo $\phi$ con potenziale $\Phi$: \[u = \frac{qV}{\mathcal{V}} + \frac{\varepsilon_0}{2} E^2 + \frac{a}{\mathcal{V}} \Phi + gE\phi + g' \phi^2\] Anche in questo caso abbiamo una densità di energia simmetrica. In questo caso possiamo definire il vuoto in maniera differente rispetto al caso precedente. Il vuoto sarà lo stato in cui il campo $\phi$ assume un valore minimo non-nullo $\phi_0$. Quindi il potenziale e il campo introdotti possono essere spezzati come somma di due termini, $\Phi=\Phi_0+\Phi_1$ e $\phi=\phi_0+\eta$ e possiamo modificare opportunamente l'equazione di prima per mettere in evidenza i pezzi presenti allo stato di minima energia e quelli che emergeranno all'aumentare della stessa.
Se giochiamo un po' con i termini, in particolare con lo sviluppo di $g' \phi^2$, è possibile ricavare un termine associabile a una massa: il campo $\phi$ che abbiamo introdotto, quando interagisce con se stesso, guadagna una massa, quindi si può affermare che viene propagato grazie a un bosone massivo.
Raccontare il bosone di Higgs con una vasca
Accoppiato al metodo di cui sopra(1), si può eventualmente accoppiare un altro articolo di Organtini(2) che potrebbe essere utile per proseguire il discorso con studenti dell'ultimo anno vista la presenza degli integrali.
E' però possibile raccontare il bosone di Higgs anche a un pubblico più vario: basta utilizzare una vasca piena di palline(3), possibilmente tutte monocromatiche.
E' possibile utilizzare questa vasca per realizzare almeno tre attività distinte. Innanzitutto si può enfatizzare la doppia natura della meccanica quantistica facendo notare la doppia natura del mezzo con cui abbiamo riempito la vasca: se prendiamo le palline come struttura collettiva, il loro comportamento è simile a quello di un fluido, ma ciascuna pallina presa singolarmente si comporta come una... pallina!
A questo punto possiamo provare a mostrare come il campo di Higgs si modifica se sottraiamo o aggiungiamo una pallina al nostro modello: questo "esperimento" però se permette di "vedere" la rottura della simmetria, non permette di chiarire la questione della rottura spontanea. Bisogna evidentemente rinunciare a questo livello di approfondimento a meno di non sottolinearlo durante l'"esperimento".
Una seconda attività è quella di invitare le persone prima a muoversi fuori dalla vasca e poi a muoversi all'interno della stessa, possibilmente provando a muoversi nello stesso modo. In questo caso va fatto osservare che all'interno della vasca è più difficile muoversi e questo è un'esperienza molto simile a quella che hanno le particelle quando interagiscono con il campo di Higgs guadagnando massa.
Una terza attività, molto più giocosa, è quella di muoversi sempre più velocemente all'interno della vasca per far sì che il campo di Higgs emetta una particella, un bosone. In un certo senso è proprio quello che avviene nell'LHC: si fornisce energia al campo di Higgs per costringerlo a emettere un bosone di Higgs. Poi questo decadrà abbastanza velocemente e studiando i prodotti dei decadimenti successivi, è possibile arrivare alle caratteristiche dell'origine di questa cascata di particelle, che è poi, in maniera sintetica, quello che hanno fatto i fisici sperimentali del CERN.
  1. Organtini, G. (2012). Unveiling the Higgs mechanism to students. European Journal of Physics, 33(5), 1397. doi:10.1088/0143-0807/33/5/1397 (arXiv
  2. Organtini, G. (2016). The Higgs mechanism for undergraduate students. Nucl. Part. Phys. Proc., 273, 2572-2574. doi:10.1016/j.nuclphysbps.2015.09.463 (inspirehep
  3. Organtini, G. (2017). A ball pool model to illustrate Higgs physics to the public. Physics Education, 52(2), 023001. doi:10.1088/1361-6552/aa4f8a (arxiv

A cavallo della cometa

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@astrilari @Pillsofscience @stefacrono @cosmobrainonair @malamiao @mediainaf
Visto il tema dell'ultimo fumetto/infografica che ho realizzato per Edu INAF, inizio una nuova serie di (probabilmente tre) articoli settimanali di scienza e musica, dedicati a uno dei progetti di progressive metal che preferisco in assoluto.
Mi piace pensare al progetto musicale Ayreon di Arjen Anthony Lucassen come una sorta di superband del progressive metal mondiale. Lucassen, infatti, con il brand degli Ayreon propone una serie di concept album dal forte impatto musicale e testuale, fortemente influenzati dalla fantascienza (e con l'aggiunta di riferimenti interni, come nelle migliori serie di romanzi del genere), come il caso dello stupendo 01011001, settimo album in studio del progetto, che presenta anche una lunga serie di spunti scientifici decisamente molto interessanti.
La storia
Suddiviso in due cd, 01011001, che è la rappresentazione binariua del numero ASCII della lettera Y, narra la storia dei Forever, gli abitanti acquatici del pianeta Y, che hanno scoperto il segreto della longevità. Il problema è che, insieme con un grande progresso tecnologico, i Forever hanno anche sviluppato una forte dipendenza dalle macchine, perdendo la capacità di provare emozioni. Così, grazie al passaggio ravvicinato di una cometa con il pianeta Y, i Forever decidono di spedire il loro DNA sulla Terra, che si trova in rotta di collisione con la cometa. Questa, dopo aver causato l'estinzione dei dinosauri (la quinta estinzione), conduce alla nascita del genere umano. All'inizio le cose sembrano andare per il meglio, ma poi i difetti dei Forever emergono anche nell'umanità, spingendo gli abitanti del pianeta Y a chiedersi se invece la sesta estinzione non sia la cosa migliore per il pianeta e i loro "figli".
Una nuova casa
Il primo cd, dal titolo Y, è sostanzialmente ambientato sul pianeta Y, a parte Connect the dots e Web of lies che narrano le vicende di alcuni abitanti della Terra e della loro sempre più forte dipendenza dalla tecnologia. Mi vorrei, però, concentrare su Ride the comet, il racconto del viaggio della cometa verso la Terra.
Con l'apporto vocale di Jørn Lande, Floor Jansen (attualmente cantante dei Nightwish, all'epoca degli After Forever), Tom Englund, Jonas Renkse, Bob Catley e Magali Luyten, presenta alcuni versi che ben riassumono gli elementi principali delle comete: struttura e ruolo giocato nella teoria della panspermia:
Find your way home, little extremophiles
Find your way home, donors of life
Ride your frozen ark
I versi, estratti dal testo della canzone, sono presentati nell'ordine in cui sono presenti nel testo stesso. Partiamo, però, dall'ultimo, Ride your frozen ark. Il riferimento è al fatto che le comete sono, in pratica, dei veri e propri pezzi di ghiaccio che viaggiano per il Sistema Solare. Oltre al ghiaccio (dunque acqua) sono presenti anche roccia e metalli e di vari altri gas, presenti anche sulla Terra, come monossido di carbonio, anidride carbonica, metano e ammoniaca. Sono anche presenti molecole organiche come metanolo, acido cianidrico, formaldeide, etanolo ed etano e, forse, molecole più complesse come idrocarburi e amminoacidi.
Questo ci porta direttamente al secondo verso del trittico che vi ho proposto poco sopra, Find your way home, donors of life. Le comete, infatti, giocano un ruolo fondamentale nella teoria della panspermia.
Sebbene i primi riferimenti risalgano al quinto secolo prima di Cristo e al filosofo Anassagora, è solo con il chimico Jöns Jacob Berzelius che la panspermia inizia ad assumere un aspetto più prettamente scientifico. A Berzelius si associano anche Hermann Richter, Lord Kelvin, Hermann von Helmholtz e soprattutto Svante Arrhenius che, forte anche della sua preparazione da fisico, propose nel 1903 una sorta di storia evolutiva dell'universo. La panspermia moderna, però, si basa soprattutto su Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe: nel 1974 i due astronomi proposero l'idea che alcune polveri nello spazio interstellare fossero per gran parte composte da molecole di tipo organico. Fu lo stesso Wickramasinghe, in una serie di articoli usciti all'inizio degli anni Ottanta del XX secolo, a fornire le prove della fondatezza di tale affermazione.
Successivamente, in particolare nel corso del primo decennio del III millennio, vennero condotti una serie di esperimenti mirati, sia sulla Stazione Spaziale Internazionale (e sull'esterno della Stazione stessa) sia all'insegumento delle comete. Particolarmente famoso è quello compiuto dalla sonda Stardust alla coda della cometa Wild 2: dopo aver percorso qualcosa come 4,6 miliardi di chilometri, la Stardustè riuscita, il 2 gennaio del 2004, a catturare alcuni grani provenienti dalla coda della cometa. Dopo l'esame dei dati raccolti, un gruppo di ricerca internazionale ha annunciato, nel 2006, la presenza tra i grani di alcune molecole organiche, le ammine per la precisione. Tale risultato è stato salutato, non solo dai ricercatori che si sono occupati della faccenda ma anche dai sostenitori della panspermia, come la prova definitiva a favore della teoria e dal ruolo fondamentale delle comete nel processo di diffusione della vita nell'universo.
Tra l'altro le comete potrebbero trasportare non solo molecole, ma anche micro-organismi più complessi in grado di sopravvivere ad ambienti estremi: sto parlando degli estremofili, citati nel primo verso di Ride the comet, Find your way home, little extremophiles.
Uno degli estremofili più noti è il tardigrado, in grado di restare in animazione sospesa per lunghi periodi, quindi adatto a compiere viaggi interstellari a bordo di una navicella spaziale molto particolare come una cometa. D'altra parte vale la pena ricordare che proprio la cometa è stata indicata da Freeman Dyson come un possibile mezzo per abbandonare la superficie della Terra da parte di un'ardita colonia umana, sebbene il primo che ha immaginato qualcosa del genere è Jules Verne, anche se l'evento è frutto di una casuale collisione di una cometa con il nostro pianeta.
In qualche modo, allora, Ride the comet sintetizza insieme tutti questi spunti, scientifici e fantascientifici, per portare a termine un bel pezzo ottimamente integrato all'interno dell'atmosfera musicale di Y e con un uso coinvolgente del ritmo dettato dalla batteria e sottolineato dagli effetti elettronici che fornisce il senso di un viaggio senza respiro, l'avventura degli estremofili verso il vuoto interstellare.

Quasi una sfera

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Mentre il nostro occhio, già per poligoni regolari intorno ai 50 lati (forse anche prima), inizia ad avere difficoltà a distinguerli da una circonferenza, con i solidi regolari l'effetto arriva un po' più tardi. Questo, ad esempio, permette la costruzione di dadi dalle molte facce molto utilizzati nei giochi di ruolo: l'aumento di possibilità permette di costruire delle caratteristiche di base per i personaggi sufficientemente variabili da rendere la loro creazione abbastanza casuale (almeno per quel che serve in un gioco di ruolo).
Nessuno di questi dadi riesce a confondersi con una sfera, o quanto meno non quanto il solido con maggior facce mai costruito, l'esacisicosaedro. Questo è uno dei tredici solidi di Catalan, dal matematico belga Eugene Catalan che li ha scoperti (o descritti che dir si voglia) nel 1865(1). In particolare l'esacisicosaedro è costruito con 120 facce della forma di triangoli rettangoli con le seguenti proporzioni: $10 \sqrt{5} - 20$, $3 \sqrt{5} - 3$, $10 \sqrt{5} - 18$. Inoltre, detto $a$ lo spigolo più corto, la superficie esterna $A$ e il volume $V$ del solido sono dati dalle formule \[A = \frac{180}{11} \sqrt{179 - 24 \sqrt{5}} a^2\] \[V = \frac{180}{11} (5 + 4 \sqrt{5}) a^3<\] Per chi vuole un dado di questo genere, che evidentemente renderebbe qualunque gioco di ruolo decisamente molto interessante, c'è lo shop online del progetto The Dice Lab, anche se personalmente trovo che il d60, basato su un altro solido di Catalan, l'Esacontaedro trapezoidale, si confonda con una sfera molto meglio del d120.
Il d60, costituito da 60 facce, è basato sul dodecaedro, solido regolare a 12 facce pentagonali, in cui ogni faccia è a sua volta suddivisa in 5 aquiloni, dove per aquilone si intende una figura geometria che ha i lati contigui congruenti a due a due.

  1. Eugène Catalan Mémoire sur la Théorie des Polyèdres. J. l'École Polytechnique (Paris) 41, 1-71, 1865 

Topolino #3298: da Lavenham ad Anatrham passando per le Ande

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Come ho scritto nella recensione de L'amico non ritrovato, il Topolino #3298 è stata una piacevbole sorpresa grazie a un sommario interessante e di un buon livello. Alla fine il numero non è stato male, forse non come quello della scorsa settimana. Andiamo a vedere in maggior dettaglio, iniziando dalla seconda puntata del Conte di Anatrham:
Un americano a Londra
In qualche modo questo secondo episodio è la prosecuzione di quello precedente, vista l'introduzione di nuovi personaggi, come Paperin Doodle, che per vie traverse è l'erede designato di Basil Quackley, conte di Anatrham, e i due sfaccendati Tatiana Ameliova, nobile russa in cerca di marito, e Philo Sganguery, suo accolito (o qualcosa del genere). Tra i personaggi originali arriva anche il turno di Old Jack, vagabondo che viene accolto nella villa di Anatrham dove la buona Mrs. Coot non gli nega il classico pasto caldo. Old Jack per ricambiare inizia a dare una mano in giardino, promettendo così una crescita del personaggio nei prossimi episodi.
Tecnicamente Marco Bosco continua la descrizione attraverso i piccoli segreti in questo caso del maggiordomo Baptist e dell'istitutrice Miss Paperfield, la descrizione di una società tradizionalista in procinto di subire dei nuovi cambiamenti. In questo contesto l'arrivi di Paperino dagli Stati Uniti d'America risulta in qualche modo una sorta di "boccata di aria fresca": si rivela affabile e alla mano, legando subito con Archie Meed grazie alla comune passione per le automobili, volenteroso di imparare, come afferma egli stesso a un Paperon Pound più che disposto (apparentemente) a istruirlo, efficace nel tenere a bada i tre pestiferi di casa Anatrham.
L'apprendistato di Paperin prevede sia imparare la cura economica degli affari, sia il vivere nella buona società londinese. Mentre in quest'ultimo compito sarà assistito da Gaston e Paperhugh, nipoti di Paperon Pound, è quest'ultimo a occuparsi della parte economica, iniziando con lo zuccherificio dell'azienda di famiglia, la Quackley Sugar.
Quella dello zucchero è un'industria che in Inghilterra risale a qualche decennio prima. Nel ridente villaggio di Lavenham, che nel suo passato (1524) grazie al commercio della lana era stata la 14.ma località più ricca del paese, era stato costruito nel 1868 uno zuccherificio, poi completato nel febbraio dell'anno successivo, che per i 50 anni successivi o poco più risultò l'unica industria di questo genere su suolo britannico. Questa era di proprietà dello scozzese James Duncan, filantropo e collezionista d'arte, che si era ritirato dall'attività sul finire del XIX secolo prima per gestire una piccola raffineria in Scozia e poi per intraprendere viaggi in particolare in Italia, un po' come il conte Quackley. In questo senso sarebbe interessante se la storia del personaggio di Basil Quackley venisse raccontata da Roberto Gagnor, visto il legame di Duncan con il francese Gustave Doré, senza dimenticare il chimico scozzese James Young, famoso per aver inventato un metodo per distillare la paraffina.
Fu solo nel 1912 che iniziò la concorrenza dello stabilimento costruito a Cantley nel Norfolk, ma all'epoca in cui è ambientato Il conte di Anatrham, il 1906, c'è ancora un monopolio nella produzione dello zucchero, che nella storia di Bosco è rappresentato proprio da Paperon Pound. E anche il concetto di monopolio viene messo in crisi nella storia di Bosco grazie ai contadini che, capitanati da "Dynamite" Moe, vanno allo stabilimento di Pound per protestare contro i prezzi bassi che il magnate applica per l'acquisto delle barbabietole, ovviamente forte della sua posizione di unico produttore di zucchero della Gran Bretagna. Nonostante le leggi sulla concorrenza risalgano all'Antica Roma, non deve stupire che ancora in Europa all'inizio del XX secolo si trovassero situazioni di monopolio, visto che l'antitrust propriamente detto trae le sue origini negli Stati Uniti verso la fine del XIX secolo con lo Sherman Act del 1890.
Nel complesso la storia, che come vedete è ricca di spunti da approfondire, conferma le qualità emerse sin dal primo episodio, così come Nico Picone conferma quanto di buono mostrato una settimana fa, non solo con i personaggi classici, ma anche con il nuovo Old Jack, rappresentato in maniera efficace dal giovane disegnatore.
Su e giù per le Ande
Con una storia a metà strada tra Rodolfo Cimino e Carl Barks torna su TopolinoGiorgio Figus, che spedisce Paperino e Paperoga sulle Ande alla ricerca del fiore più raro al mondo, La stella andina. Il soggetto, che sarebbe stato perfetto anche per una storia di Indiana Pipps, risulta alla fine particolarmente efficace con i due cugini come protagonisti: la loro capacità di fare guai alla fine risulta positiva non solo per Paperone, che li aveva spediti in missione per surclassare, come al solito, il rivale Rockerduck, ma anche per Paperino e Paperoga stessi.
I disegni di Emanuele Baccinelli si confermano gradevoli anche se poco personali, e dunque abbastanza in linea con gli standard aziendali.
Vendere, vendere, vendere!
Insieme con lo sceneggiatore disneyanoGiulio D'Antona, l'attrice Isabella Ragonese propone Paperetta Yé-Yé in una veste abbastanza in linea con l'ispirazione del personaggio: quella della studentessa universitaria. In questo caso la giovane Paperetta si sta preparando per diventare una venditrice e, finito il corso, si rivolge a Paperon de Paperoni per avere un'occasione di dimostrare tutto il suo valore. Il buon Paperone, avendo per le mani un robot da cucina così sofisticato che riescono a utilizzarlo solo i programmatori, prova l'azzardo di affidarle le vendite de L'improponibile "Grumby". Per ottenere successo, però, non basta la buona volontà, ma la capacità di pensare fuori dagli schemi, motivo per il quale servono i talenti di Paperoga.
La presenza di quest'ultimo, più che di guai, risulta foriera proprio di scelte controintuitive che, insieme con la sfida proposta da Paperone, rendono la storia decisamente interessante per qualcosa come 4 pagine. In questo senso la pur gradevole e scorrevole avventura realizzata da Ragonese e D'Antona risulta poco efficace, soprattutto se ci aggiungiamo l'inconcepibile demone della vendita a ogni costo che colpisce la giovane Paperetta, che così dopo essere stata utilizzata in un contesto a lei più che naturale, viene "traviata" nella sua essenza più intima, almeno quella che probabilmente aveva in mente Romano Scarpa quando la ideò nel 1966 sulle pagine di Topolino #577.
Certo in qualche modo il finale e alcune delle gag proposte riconciliano con il ruolo dei personaggi, ma la storia non va oltre un gradevole divertissement, soprattutto se a quanto scritto aggiungiamo un Vitale Mangiatordi non esattamente al massimo della forma, anche se la struttura classica della sceneggiatura potrebbe averne limitato un po' le qualità. Un paio di curiosità sono, però, degne di nota: la somiglianza di Matilde, compagna di università di Paperetta, con Velma di Scooby Doo e la presenza di Cedric Paperelli, che dovrebbe essere la versione papera di Cédric Villanì, che però non riesce a essere altrettanto dandy dell'originale.

Arsenico e vecchi merletti... o qualcosa del genere!

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Quando il grande Cary Grant scopre che le sue amate ziette interpretate da Josephine Hull e Jean Adair sono delle incallite serial killer, sebbene la loro opera sia a "fin di bene", la situazione non potrebbe andare peggio, eppure, come nella migliore tradizione delle leggi di Murphy, la situazione peggiora!
Arsenico e vecchi merlettiè un capolavoro della risata di un grande regista come Frank Capra, famoso soprattutto per La vita è meravigliosa. Tratto dall'omonima commedia di Joseph Kesselring, ha avuto vari adattamenti in giro per il mondo fino ad arrivare all'italiano Frigor mortis, spettacolo andato in giro per il territorio nazionale e passato anche da Milano sul palco del Teatro della Cooperativa dal 29 gennaio al 10 febbraio 2019. Il cast salito sul palco, che contava anche la presenza del famoso comico di ZeligGiorgio Verduci, è riuscito a interpretare al meglio i vari caratteri presenti nel testo, anche in questo caso, come per il film di Capra, una trasposizione quasi fedele dell'opera originale, salvo i dovuti adattamenti all'epoca e alla cultura italiana. Ad esempio il personaggio interpretato da Verduci, infatti, si crede Marcello Lippi commissario della nazionale italiana di calcio in luogo del Theodore Roosevelt originale, mentre l'adorato nipote di cotali zie non è ancora sposato con la fidanzata a differenza di quanto fatto dal protagonista della commedia di Kesselring.
E come per il film, anche in Frigor mortis non si smette di ridere, riprendendo lo spirito originale dell'opera: essere una parodia intelligente e non banale del genere noir.

Gomorra

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Recupero un altro dei miei articoli usciti poco più di dieci anni fa su "Schock Addizionali": oggi Gomorra.
Distrutta in Genesi 19, insieme alla più famosa Sodoma, Gomorra è una delle città rase al suolo dal dio biblico a causa della corruzione dei suoi abitanti. Il titolo dell'inchiesta giornalistica di Roberto Saviano sulla camorra e sui suoi rapporti con Napoli e la politica italiana e napoletana non poteva quindi essere più opportuno.
Saviano racconta di come la camorra sia in affari con le locali comunità extracomunitarie, come sia implicata negli affari dell'alta moda e dell'alta finanza, come sia collegata con il problema della spazzatura nel capoluogo campano. Strettamente parlando Saviano non dice nulla di nuovo, raccogliendo in molte parti del suo libro atti giudiziari, inchieste giornalistiche, aggiungendo, comunque, testimonianze di prima mano: d'altra parte stiamo parlando di un'inchiesta giornalistica e non di un romanzo, come spesso viene classificato il poderoso libro di Saviano, parlando del quale spesso si dimentica una delle lezioni più importanti dell'anti-mafia, non lasciare che le attività criminali di mafia, camorra, 'ndrangheta in generale vengano dimenticate.
Il successo del libro di Saviano ha, poi, dato origine ad una vera e propria opera multimediale: prima di tutto un'opera teatrale, partita il 29 ottobre 2007 dal Teatro Mercadante di Napoli, diretta da Mario Gelardi, quindi un film dell'oggi acclamato Matteo Garrone, uscito a metà maggio 2008.
L'opera teatrale di Gelardi, realizzata in collaborazione con lo stesso Saviano, guardando alcuni video su youtube (ve ne metto uno in chiusura di articolo), sembra molto più coerente con il libro, mentre il film di Garrone è, evidentemente per le più che evidenti differenze tra i due mezzi di comunicazione, molto più d'azione, puntando sulla guerra tra gli scissionisti di Secondigliano e il clan di Di Lauro, fotografata ai suoi inizi. In una situazione così tesa e violenta, il film si concentra sulle storie di alcuni protagonisti dell'epoca, vittime piuttosto che carnefici, tutti o destinati alla morte, o a essere psicologicamente schiacciati dai clan napoletani. A questa situazione viene anche aggiunta, e in un certo senso anche ampliata rispetto al libro, la questione spazzatura: guardando il film si ha la sensazione che la camorra abbia sfruttato le difficoltà di gestione dell'immondizia campana da parte dei politici per far diventare Napoli la pattumiera d'Italia!
Alla forza d'urto della storia, a una sceneggiatura dura che non rinuncia anche ad alcune scene cruente (come la strage nel beauty center all'inizio del film), viene abbinata un'ottima regia, con le scene girate come in un documentario, con camera a spalla. La stessa fotografia non fa altro che aumentare la sensazione di tensione e oppressione che grava sulla città e sulle zone limitrofe.
Il film riprende, comunque, molte delle descrizioni del libro di Saviano, sebbene si abbia la sensazione che in questi ultimi dieci anni Gomorra sia stato spogliato del simbolismo che l'inchiesta ha avuto alla sua uscita per diventare un prodotto puramente mediatico (anche se questa trasformazione è, ad ogni modo, nostra responsabilità, al pari del non parlare abbastanza di mafia). Ad ogni modo, se potete, recuperate sia la lettura di Gomorra, sia la visione del film di Garrone, magari aggiungendo anche la lettura della serie di Jean-Claude Izzo sul personaggio di Fabio Montale.

L'evoluzione degli aereoplani

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Il punto di vista prevalente è che non possiamo assistere all'evoluzione biologica poiché si sviluppa su una scala temporale immensamente più grande della nostra vita. Qui mostriamo che possiamo assistere all'evoluzione durante la nostra vita osservando l'evoluzione delle specie di macchine umane volanti: gli aereoplani. Documentiamo questa evoluzione e inoltre la prediciamo sulla base di un principio fisico: la legge costruttiva. Mostriamo che gli aereoplani devono obbedire alle regole teoriche allometriche che li uniscono con gli uccelli e gli altri animali. Ad esempio, gli aereoplani più grandi sono più veloci, più efficienti come veicoli, e hanno una portata più grande. La massa del motore è proporzionale alle dimensioni del corpo: questo rapporto è analogo negli animali, dove la massa degli organi del moto (muscoli, cuore, polmoni) è proporzionale alle dimensioni del corpo. Grandi o piccoli, gli aereoplani mostrano una proporzionalità tra apertura alare e lunghezza della fusoliera e tra carico di carburante e dimensioni del corpo. Le controparti animali di queste caratteristiche sono evidenti. La visione che emerge è che il fenomeno evolutivo è più ampio dell'evoluzione biologica. L'evoluzione della tecnologia, dei bacini fluviali e degli animali è un fenomeno e appartiene alla fisica.
Bejan, A., Charles, J. D., & Lorente, S. (2014). The evolution of airplanes. Journal of Applied Physics, 116(4), 044901. doi:10.1063/1.4886855 (pdf)

Le grandi domande della vita: Speciale San Valentino

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Contravvenendo alla tradizione ormai consolidata della pubblicazione mensile de Le grandi domande della vita di venerdì o sabato, vi propongo un mini-speciale dedicato a San Valentino, la festa degli innamorati (o di chiunque si trovi in questo momento a formare una coppia... non è che questa questione l'ho mai capita bene...). Con un pizzico di malinconia e, si spera, tanta autoironia, proviamo a trovare una risposta all'annosa domanda su come baciare nel modo migliore possibile (ovviamente gli animi sensibili e un tantinello puritani forse farebbero meglio a non continuare la lettura!):
Il segreto sta nelle labbra
Come ben tutti sanno, sul nostro corpo sono presenti i così detti tessuti erettili, ovvero uno speciale tipo di tessuto particolarmente ricco di vasi sanguigni che, in alcuni momenti particolari, viene riccamente inondato di sangue per causarne un aumento di volume.
Cosa c'entra tutto questo, che in qualche modo è legato a ciò che presumibilmente avviene dopo il bacio? Come ricorda Mark Fergerson nella sua risposta, anche il tessuto di cui sono fatte le nostre labbra è tessuto erettile. Questo vuol dire che quello che più o meno fate dalle altre parti del corpo della persona con cui siete normalmente in dolce compagnia può essere riprodotto, opportunamente adattato alle dimensioni, per il contatto tra le labbra.
No, non mi spingo a dettagliare la risposta di Ferguson, ma se qualcuno vuole provare, bhé sempre lieto di ricevere commenti!
Il cuore della matematica
E visto che ci sono, mi permetto di scegliere una funzione con la forma del cuore, nel dettaglio la cardioide. In particolare vi mostro due rappresentazioni, la prima in coordinate polari, realizzata con LaTeX:
\[r = 2 (1-\sin \alpha)\]
La seconda, parametrica, realizzata con geogebra (nel dettaglio vi mostro l'equazione con il valore del parametro fissato in $a=5$):
\[(x^2+y^2)^2 + 4a \cdot x (x^2 + y^2) - 4a^2 y^2 = 0\]

Lo spaziotempo che cambia

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Vista la ricorrenza di ieri per cui avevo in bozza alcuni appunti che mi sembrava un po' di sprecare nonostante tutto, ho rinviato a oggi l'articolo abbinato alla seconda conferenza che ho tenuto a Parabiago all'interno del corso di autoaggiornamento dei professori del liceo Cavalleri. Ieri mi sono occupato di onde gravitazionali, con una presentazione basata sul lavoro svolto per la notte dei ricercatori e su un paio di articoli usciti su Edu INAF), e successivamente di gravità quantistica, che è l'oggetto dell'articolo odierno.
Abbiamo più volte visto che, nonostante i successi predittivi del Modello Standard, la meccanica quantistica presenta un bel po' di problemi concettuali che la rendono matematicamente incompatibile con la gravità, non solo con il modello classico descritto dalla legge di gravitazione universale si Isaac Newton, ma anche con la teoria della relatività generale di Albert Einstein.
La scoperta di tale incompatibilità viene dalla fredda russia e nasce da un errore.
Da Lev a Matvei

Bronstein
Il più grande fisico teorico russo probabilmente non solo del XX secolo è stato Lev Davidovich Landau. Mente brillante e sempre attiva, come per ogni buon teorico, durante i primi vagiti della meccanica quantistica immaginò che il campo elettromagnetico diventasse mal definito a causa dei quanti. Espresse questa idea in un articolo(1), scritto con Rudolf Peierls, cui fu lo stesso Niels Bohr, insieme con Léon Rosenfeld, a rispondere(2) mostrando come i campi come quello elettromagnetico restano ben definiti anche se si prendono in considerazione i quanti.
L'articolo di Bohr spinse Landau ad abbandonare la sua idea, ma Matvei Petrovich Bronstein, amico di Landau, applicò il metodo di Bohr al campo gravitazionale, scoprendo che quest'ultimo nonè ben definito in un punto se si applicano i quanti(3). Vediamo come si può giungere a questa conclusione nel modo più semplice possibile. Partiamo dal principio di indeterminazione di Heisenberg, o detto in maniera più corretta dalle relazioni di Heisenberg: \[\Delta x \Delta p \geq \frac{\hbar}{2}\] Queste relazioni implicano l'impossibilità di conoscere contemporaneamente e con la stessa alta precisione sia la posizione sia la quantità di moto (o la velocità, conoscendo la massa) di una data particella. Detto usando le parole di Carlo Rovelli(8), se riusciamo a determinare la posizione della particella, questa scapperà via a grande velocità, ovvero avrà un'energia molto alta. Poiché secondo la relatività anche l'energia (grazie alla relazione $E=mc^2$) è in grado di curvare lo spaziotempo, allora la particella in fuga genererà nella posizione che abbiamo rilevato una curvatura dello spaziotempo tanto più grande quanto più precisa sarà la misura della posizione, fino al limite di creare un vero e proprio buco nero, che assorbirebbe in sé la regione dello spazio tempo in cui si trovava la particella.
Poiché ciò non avviene, evidentemente non è possibile suddividere all'infinito lo spaziotempo, allo stesso modo con cui Zenone suggerisce nel famoso paradosso di Achille e della tartaruga, ma deve esistere una dimensione minima oltre la quale non è possibile scendere. Questa è determinata da Bronstein nella lunghezza di Planck: \[L_P = \sqrt{\frac{\hbar \cdot G}{c^3}}\] scoperta da Max Planck nel 1899, ma associata alla gravità, in particolare quella quantistica, proprio da Bronstein(3). In qualche modo, seguendo anche la linea di pensiero di Bronstein, la lunghezza di Planck riunisce tre ambiti molto importanti per l'universo: la gravità con $G$, costante di gravitazione universale; la relatività con $c$, velocità della luce; la meccanica quantistica con $\hbar$; costante di Planck.
La gravità quantistica emerge solo a una scala comparabile con quella della lunghezza di Planck (o se vogliamo si potrebbe dire che la descrizione delle forze fondamentali con un'unica espressione è possibile solo a dimensioni comparabili con la lunghezza di Planck). Con queste considerazioni Bronstein dà il via alla ricerca sulla gravità quantistica che, però, subirà un'immediata interruzione a causa del regime sovietico di Stalin, che riteneva lui e il suo amico Landau nemici della patria: mentre il secondo riuscì a cavarsela in qualche modo, Bronstein venne giustiziato il 18 febbraio del 1938: aveva 32 anni.
La schiuma di Wheeler
Uno dei fisici che più di tutti ha contribuito allo sviluppo della gravità quantistica, anche se non dal punto di vista strettamente tecnico, è stato John Wheeler, probabilmente grazie al fatto di aver collaborato con i due fisici che meglio hanno rappresentato le due sponde della contesa, Bohr e Einstein. Wheeler ha un'idea precisamente quantistica dello spaziotempo, come una struttura dalla topologia cangiante in funzione della scala a cui lo si guarda. Un ottimo modo per descrivere questa idea è leggere la sua descrizione:
Non conosco un'immagine migliore di quella di guardare l'oceano dall'alto di un aereoplano: sembra essere una superficie perfettamente liscia. Man mano che ti avvicini, vedi le onde, e mentre i avvicini ancora vedi le onde che si infrangono e vedi la schiuma. Penso che debba essere lo stesso nella geometria dello spazio, per tutta la nostra esperienza quotidiana, la geometria dello spazio è liscia e piatta. Ma mentre lo esaminiamo più da vicino, deve mostrare oscillazioni. E ancora più da vicino, deve mostrare la schiuma, una struttura simile alla schiuma. E questo significa che sotto a distanze piccolissime questa idea del prima e del dopo perde davvero di significato.(10)
Dal punto di vista matematico, Wheeler insieme con Bryce DeWitt, il fisico che provò a proseguire il lavoro di Hugh Everett, produsse una famosa equazione, detta appunto equazione di Wheeler-DeWitt: l'aspetto più sconcertante di questa equazione è l'assenza del tempo(8). \[\hat{\mathcal{H}}\Psi=\left(-\,\mathcal{G}_{ijkl}\frac{\delta^2}{\delta\hat{h}_{ij}\delta\hat{h}_{kl}}-\frac{\sqrt{h}}{2\kappa} \tilde{R}\right)\Psi = 0\]
Arrivano i loop!
L'assenza del tempo nell'equazione rende i fisici un po' titubanti (giusto per usare un eufemismo), visto che in queste condizioni così disagevoli risulta ai più difficile trovare solizioni all'equazione. Eppure Lee Smolin e Ted Jacobson ci riescono(6): dopo che il fisico indiano Abhay Ashtekar(5), ispirato da Amitabha Sen(4), aveva riformulato in termini più "semplici" l'equazione di Wheeler-DeWitt, Smolin e Jacobson riescono a trovare delle soluzioni all'equazione valide lungo una linea chiusa di spaziotempo.
La descrizione dello spaziotempo quantizzato che emerge dalle soluzioni di Smolin e Jacobson è, dunque, quella di un continuo intersecarsi di linee chiuse non molto differente dall'idea della schiuma spaziotemporale di Wheeler(8): nasce ufficialmente la teoria della gravità quantistica a loop(7).
Fondamentalmente la teoria non è molto distante dalla classica teoria dei grafi: la struttura dello spaziotempo è infatti costituita da nodi e linee (o link) che lo ricoprono completamente. Le proprietà fisiche dello spaziotempo, come hanno mostrato Jorge Pullin e Jerzy Lewandowski, risiedono soprattutto nei nodi, la cui presenza fornisce un volume allo spaziotempo, mentre i link sono l'equivalente delle linee di Faraday ma per il campo gravitazionale(8). Ciascun nodo, allora, occuperà un certo volume di spazio e una misura della quantizzazione dello spaziotempo può essere fornita dall'area delle superfici di separazione di ciascuno di questi volumi, data dalla formula: \[A = 8 \pi L_P^2 \sqrt{j(j+1)}\] dove $j$ è un numero che può assumere o valori interi positivi o semi-interi positivi(8).
Nella gravità a loop abbiamo così degli atomi di spazio, realmente indivisibili come gli atomi di Democrito e lo spaziotempo può essere visto come una rete, o meglio ancora come una schiuma di spin.
Sulla non esistenza del tempo
La quantizzazione dello spaziotempo ha una conseguenza concettuale e in qualche modo controintuitiva fondamentale, che per provare a comprendere cercherò di avvicinarla da lontano.
Ispirato dall'ultima conferenza pubblica di Einstein, Hugh Everett fornì un'interpretazione della meccanica quantistica secondo la quale per comprendere al meglio un esperimento, si sarebbe dovuto considerare l'equazione d'onda totale, costituita dalla "somma" (o "sovrapposizione") delle funzioni d'onda dell'esperimento, degli sperimentatori e di tutto ciò che li circonda.
Allo stesso modo nel momento in cui esaminiamo una porzione del reticolo di spin dello spaziotempo a loop, nella funzione d'onda che lo descrive dobbiamo tenere conto non solo del nodo e dei link, ma anche degli stessi spazio e tempo, che fanno così parte integrante del sistema: in questo modo non sono più costituenti fondamentali dello spaziotempo quantistico, ma emergono solo come effetto dell'azione del campo gravitazionale(8).
Il punto che va dunque sottolineato è che la gravità a loopnon quantizza il campo gravitazionale, ma lo spaziotempo stesso, togliendo di senso alla distinzione tra spazio e tempo, che diventano così dimensioni con la stessa dignità, nessuna delle due con una qualche particolarità rispetto all'altra. Possiamo vedere la cosa anche in questo modo: prendiamo una particella che si sposta all'interno di un volume di spaziotempo. Per descrivere il suo moto all'interno di questo volume dobbiamo ritagliare una "scatola" di spaziotempo e le equazioni che descriveranno tale moto descriveranno in realtà tutta la scatola di spaziotempo e non solo la particella che si muove(8).
Altra conseguenza della quantizzazione dello spaziotempo è la scomparsa delle divergenze: poiché nella gravità a loop esistono delle dimensioni minime di spazio sotto le quali è impossibile andare, ovvero lo spazio nonè continuo, gli integrali della meccanica quantistica che danno valore infinito non divergono più, poiché tale divergenza è una diretta conseguenza della divisibilità dello spazio in infinitesimi sempre più piccoli(8).
Altro elemento in qualche modo a favore della teoria della gravità a loop risiede nella sua flessibilità. Quello che accade nello spaziotempo può essere descritto sia utilizzando rappresentazioni tipo integrali di Feynman, utilizzati nella QED, quindi dei grafi che descrivono le possibili interazioni tra i nodi, sia con utilizzando dei reticoli di spin, utilizzati nella QCD: le due rappresentazioni sono assolutamente equivalenti e possono essere indifferentemente utilizzate per descrivere quella che più in generale viene chiamata schiuma di spin(8).
Il tempo termico
Se il tempo non ha più un ruolo fondamentale a livello microscopico, esso però assume un ruolo impoirtante nella vita quotidiana. La teoria della gravità a loop in qualche modo ci spinge a chiederci come il tempo così come lo conosciamo emerge dalla schiuma di spin. La risposta sta nella termodinamica e nel tempo termico.
Basta fare una semplice osservazione: se filmiamo un pendolo che oscilla e rivediamo il film al contrario non riusciamo a distinguere quale dei due è il dritto e quale il rovescio, ma se filmiamo un sasso che sale verso l'alto e ricade a terra e lo mandiamo al contrario in realtà esiste un fotogramma che ci permette di stabilire quale sia il dritto e quale il rovescio: l'istante in cui il sasso cade a terra. In quel momento il sasso sta trasformando la sua energia cinetica in energia termica per riscaldare il terreno su cui è caduto. Questo suggerisce l'esistenza di un legame forte tra la temperatura e il tempo e in particolare l'idea che il tempo emerga all'interno dei processi irreversibili, ovvero quelli in cui viene dissipato calore, energia.
Dal punto di vista matematico ciò vuol dire che si passa da una descrizione precisa della realtà a una fatta di medie: il tempo emerge quando si compie una media su tutti gli stati microscopici, allo stesso modo in cui la temperatura è una media su tutte le velocità delle singole particelle che compongono un gas(8).
Controllo sperimentale
La teoria della gravità a loop, oltre a fornire una serie di risposte matematiche interessanti, per poter essere considerata come una possibile descrizione della realtà ha anche bisogno di essere verificata. Il problema in teorie che si aggiungono ai modelli standard ampiamente verificati sperimentalmente è proprio quello di fornire delle direzioni sperimentali verso cui guardare. E nel caso della teoria a loop l'indicazione viene dai teorici Abhay Ashtekar, Ivan Agullo e William Nelson che in un articolo del settembre 2012 suggeriscono di guardare la radiazione cosmica di fondo. In particolare le fluttuazioni a grande angolo dovrebbero risultare superiori rispetto a quelle previste dalla teoria standard che non tiene conto dei quanti di spaziotempo e che invece sarebbero facilmente spiegabili con la teoria a loop(9).
Al momento non sembra ancora esserci quella sensibilità sperimentale per testare la teoria, ma non è nemmeno detto che le ipotesi che i tre teorici hanno preso in considerazione per i loro calcoli siano corrette o fisicamente sensate.
  1. Landau, L., & Peierls, R. (1931). Erweiterung des Unbestimmtheitsprinzips für die relativistische Quantentheorie. Zeitschrift für Physik, 69(1-2), 56-69. doi10.1007/BF01391513 
  2. Bohr, N., & Rosenfeld, L. (1933). Zur frage der messbarkeit der elektromagnetischen feldgrössen. Kongelige Danske Videnskabernes Selskab, Matematisk-Fysiske Meddelelser, 12(8). (pdf
  3. Un buon punto di partenza per comprendere e approfondire le idee e gli articoli di Bronstein è Gorelik, G. (1992). The first steps of quantum gravity and the Planck values. Studies in the history of general relativity, 3, 364-79. (pdf | html
  4. Sen, A. (1982). Gravity as a spin system. Phys. Lett., B, 119(1-3), 89-91. doi:10.1016/0370-2693(82)90250-7 
  5. A Ashtekar, New hamiltonian formulation for general relativity, Phys Rev D 36 (1987) 1587. 
  6. T Jacobson, L Smolin, Non perturbative quantum geometries, Nucl Phys B 299 (1988) 295. 
  7. Rovelli, C., Smolin, L. (1988). Knot theory and quantum gravity. Physical Review Letters, 61(10), 1155. doi:10.1103/PhysRevLett.61.1155 
  8. Rovelli, C (2014), La realtà non è come ci appare, Raffaello Cortina Editore
    Vedi anche l'articolo
    Rovelli, C. (2000). Notes for a brief history of quantum gravity. arXiv:gr-qc/0006061
    che presenta una bibliografia più dettagliata con gli articoli di ricerca, oltre a fare uno sviluppo parallelo della gravità a loop con la teoria delle stringhe. 
  9. Agullo, I., Ashtekar, A., & Nelson, W. (2012). Quantum gravity extension of the inflationary scenario. Physical review letters, 109(25), 251301. doi:10.1103/PhysRevLett.109.251301 (arXiv
  10. I don't know any better image for it than the look of the ocean as one comes down from a plane high above the ocean, that seems to be a perfectly smooth surface. You come down closer, you see the waves, and as you get still closer you see the waves breaking and you see foam. I think it must be the same in the geometry of space, for all our everyday experience, the geometry of space is smooth and flat. But as we examine it more closely, it must show oscillations. And still more closely, it must show foam, a foam-like structure. And that means that down at the very smallest distances, this idea of before and after really lose their meaning. 

Quel disneyano di John Petrucci

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John Petrucciè uno dei più noti chitarristi della scena rock mondiale. Fondatore dei Dream Theater, è uno dei padri del progressive metal, che unisce gli elementi del progressive rock e del metal in un unico nuovo genere musicale che, in qualche modo, alza l'asticella della tecnica, portando la rivoluzione musicale che già stavano iniziando i Metallica a un livello ancora più alto. Per cui vedere Petrucci suonare la canzone principale di Frozen per la figlia, che canta, ha un che di sorprendente!

La sorpresa, però, finisce quando si capisce, dall'intervista che metto qui sotto, che Petrucci è un fandisneyano che tiene il tempo di Let it go come se fosse un pezzo metal!

Topolino #3299: Il tempo del sogno e altre storie

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Il numero di Topolino dedicato a San Valentino sin dalla sempre bella copertina di Giorgio Cavazzano si caratterizza nell'uso (o forse nell'abuso) del classico cliché di coppia che convolge sia Paperino e Paperina, protagonisti della storia d'apertura, sia Topolino e Minni, protagonisti di quella di chiusura. Questa settimana, però, inizierei dalla storia d'apertura, ricca di spunti mitologici e astronomici che vale la pena approfondire sin da subito. Prima, però, vi ricordo di andare a leggere la recensione di Paperoga mentore dadaista sul Caffé del Cappellaio Matto.
Viaggio in Australia
Nonostante l'Australia sia stata occidentalizzata dopo l'arrivo dell'esploratore britannico James Cook, è ancora in qualche modo una terra di misteri, al pari di molte delle zone meno esplorate di Africa e America latina. Il boomerang stellare, storia di chiusura del numero, scritta da Silvia Martinoli per i disegni di Valerio Held, porta Topolino e Minni proprio in questa terra misteriosa, essenzialmente per via della sua lontananza, sulle tracce del perduto Indiana Pipps.
Lo sviluppo della trama è quello tipico di una storia di genere: un diario misterioso, con il mistero di due scritture simili ma non esattamente identiche; la ricerca di un fantomatico luogo dalle proprietà magiche; un viaggio esotico. Il tutto condito con una serie di spunti interessanti che vale la pena approfondire, anche solo con poche righe, con l'unico difetto di una descrizione un po' stantia e ripetitiva del rapporto di coppia Topolino-Minni, troppo ripiegato sui classici cliché, senza contare l'assurdo abbigliamento cittadino con cui i due vanno alla ricerca di Indiana Pipps nei deserti australiani.
Tutto questo non inficia la godibilità della storia, e anzi il ruolo chiave giocato da Minni e gli spunti presenti nella trama controbilanciano i fattori negativi.
La storia è in particolare ambientata in due zone particolarmente interessanti dell'Australia: la piana di Wurdi Youang e il massiccio di Uluru, più noto come Ayers Rock. Partiamo da quest'ultimo, in pratica una vera e propria roccia incastonata in mezzo alla pianura.
Uluru è, in particolare, legato a una serie di leggende aborigene facenti capo al così detto dreamtime o tempo del sogno, con il quale vengono indicati i racconti dell'epoca precedente alla creazione: è una costruzione mitica comune a tutte le tribù aborigene australiane, ma al tempo stesso è l'origine delle differenze culturali tra esse. Un tipico racconto sulle origini del mondo lo possiamo trovare dalle leggende del popolo degli Anangu, la tribù stanziata nella zona di Uluru:
Il mondo era una volta un luogo informe. Nessuno dei luoghi che conosciamo esisteva fino a quando gli esseri creatori, nella forma di persone, piante e animali, viaggiarono in lungo e in largo attraverso la terra. Allora, in un processo di creazione e distruzione, formarono il paesaggio come lo conosciamo oggi. La terra degli Anangu è ancora abitata dagli spiriti di dozzine di questi esseri creatori ancestrali che vengono chiamati Tjukuritja o Waparitja.
A questi esseri ancestrali appartiene Tatji, la lucertola rossa, che una volta giunta a Uluru lanciò il suo boomerang (o kali nel termine aborigeno) che si conficcò nella roccia della montagna. A quel punto Tatji iniziò a scavare la roccia alla ricerca del kali, riempiendo la superficie di Ayers Rock di numerosi buchi. Dopo l'infruttuosa ricerca, Tatji si lasciò morire all'interno di una caverna. Grazie a questo racconto, su cui si basa Il boomerang stellare, gli aborigeni hanno fornito una spiegazione mitica sia dei fenomeni di corrosione della superficie di Uluru sia dei grossi macigni che si trovano nella zona, ritenuti i resti del corpo di Tatji.
Non è l'unica leggenda legata a Uluru, ma per i non aborigeni è molto difficile venire a conoscenza di queste storie legate al tempo del sogno essendo queste destinate per lo più agli aborigeni stessi.
Wurdi Youangè, invece, una disposizione di massi particolare situata nei pressi del monte Rothwell. Costituita da circa un centinaio di massi in basalto, ha una forma per metà ovoiale e per metà a freccia. Il suo scopo è ignoto, anche se probabilmente legato a motivi rituali. Esiste, però, un'ipotesi astronomica che mette in collegamento Wurdi Youang con Stonhenge.
Una serie di pietre, situate a ovest, sembrano indicare la posizione del sole al tramonto durante gli equinozi e i solstizi: tale diposizione risulta accurata con un errore di pochi gradi, mentre le linee dritte indicano la posizione del sole al tramonto durante i solstizi d'estate e d'inverno(1).
L'ipotesi suggerirebbe, dunque, un uso astronomico del sito e secondo molti studiosi potrebbe essere l'osservatorio astronomico più antico del mondo, ma non c'è un vero accordo sulla datazione delle rocce e sull'epoca in cui queste sono state posizionate nella piana.
Intrighi al castello
L'episodio di questa settimana de Il conte di Anatrham, pur se propone nuovi elementi di approfondimento sui personaggi, presenta pochi spunti di riflessione. Iniziamo con i nuovi personaggi che fanno capolino nella vicenda, iniziando da Lady Brygitt, che in pura tradizione vittoriana entra nella storia organizzando una festa mondana cui è in qualche modo costretto a partecipare anche Paperin Doodle. Della partita sono anche i fratelli Bassett, ladri di professione che, per l'occasione, si improvvisano anche fotografi per conto della baronessa Ameliova. Quest'ultima, infatti, si mette d'accordo con i tre furfanti per scattare una foto equivoca di lei insieme con Paperino per poi utilizzarla per allontanare il giovane ereditiero da Paperina.
Se da un lato abbiamo un chiaro riferimento alla costruzione di fake news da parte di personaggi equivoci, dall'altro ecco che il piano prinicipale di De Rockfort contro Paperon Pound, screditarlo a mezzo stampa, fallisce prima ancora di iniziare: il direttore del suo giornale, infatti, è persona onesta e scrupolosa al punto da controllare nel passato del magnate, che risulta intonso. De Rockfort in questo caso rinuncia alla costruzione di notizie false, mostrando così di essere, per quanto meschino, ma almeno decisamente migliore di come spesso viene raccontata la sua controparte "reale", Rockerduck.
In questo senso il lavoro di Marco Bosco sui personaggi risulta molto efficace, perché, pur non tradendo il carattere generale degli "attori" disneyani, fornisce loro nuova linfa e nuova interpretazione. Altro esempio di questo approccio è proprio Paperin Doodle, che Bosco descrive come un papero volenteroso e disponibile con tutti.
L'ultimo personaggio nuovo introdotto nella storia è, poi, l'investigatore privato Bogarty, i cui travestimenti si intravedono in alcune occasioni, sia in casa che in giardino, e in particolare il primo di questi rivela alcuni dettagli che, insieme con il nome, dovrebbero consentire al lettore più esperto di capire quale sia la controparte disneyana di questo economico investigatore.
Infine sempre ottimo il lavoro di Nico Picone ai disegni, anche se forse in questa occasione ha ecceduto, almeno in un paio di vignette, con le ombre, probabilmente influenzato dall'atmosfera da intrigo che pervade l'intero episodio.
Un San Valentino social
Continuo a restare (negativamente) stupito di come siano proprio le sceneggiatrici di Topolino a sfruttare i cliché più classici del rapporto di coppia o la caratterizzazione più piatta possibile per le controparti femminili di Topolino e Paperino. Se in parte questi aspetti sono presenti ne Il boomerang stellare, immaginate un po' quanto la storia di San Valentino ne sia ricca. Scritta da Gaja Arrighini, calca molto la mano sul cliché della giovane modaiola, coinvolta dal social del momento, Papergram (l'equivalente del nostro Instagram), tanto da lasciare il lettore perplesso per il tempo impiegato su questo servizio e far spuntare la domanda: "ma Paperina non lavora mai?" Risulta allora molto difficile da digerire non solo il fatto che abbia trascinato Paperino su Papergram, ma anche le sue lamentele per il fatto che non sia attivo su questo social, cosa che le crea non pochi problemi con i suoi contatti. La storia raggiunge il suo apice dell'assurdo quando Paperina lascia Paperino a causa dell'attitudine anti-social di quest'ultimo: in questo la storia risulta particolarmente efficace, visto che il senso della stessa è quello di suggerire al giovane lettore i molti contro di un uso smodato dello strumento di condivisione.
Questo unico punto di merito non elimina, però, l'altra grande perplessità sul ruolo giocato dai nipotini, che sembrano perdere un paio di giorni di scuola per consentire a Paperino di diventare una star di Papergram in appena un giorno con un account nuovo di pacca!
Certo ciò va in contrasto con il pianto di Paperina che rivendica la fatica compiuta per arrivare ai suoi 5253 follower, ma resta il senso dell'assurdo che permea l'intera storia, che ha senso solo nell'ottica di voler descrivere come assurda la moda eccessiva sulla presenza su Instagram e gli altri social. Come al solito ottima Giada Perissinotto ai disegni, particolarmente efficace grazie al suo stile barbucciano. Di tutte le vignette mi piace segnalare la capocciata dell'amore tra Paperino e Paperina, un modo divertente e ironico per sintetizzare i problemi amorosi tra i due storici fidanzati paperopolesi.
  1. Norris, R.P.; Norris, P.M.; Hamacher, D.W.; Abrahams, R. (2013). Wurdi Youang: an Australian Aboriginal stone arrangement with possible solar indications. Rock Art Research. 30 (1): 55–65. arxiv:1210.7000 

Pi Day 2019: Lo sguardo della matematica

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Diffondete la lieta novella: il #piday 2019 sta arrivando! @MathisintheAir @maddmaths @rudimathematici @Pillsofscience @stefacrono @mediainaf @92sciencemusic @Scientificast @cosmobrainonair #carnevaledellamatematica
E come ogni anno, anche in questo 2019 si avvicina il 14 marzo, giorno del pi greco, meglio noto come pi day. E come ogni anno il Carnevale della Matematica dedicato al pi greco sarà ospitato proprio qui, su DropSea. In effetti la tradizione è iniziata nell'ormai lontano 2012, collezionando alla fine sei edizioni:
Carnevale #47 | #59 | #71 | #83 | #95 | #107 | #117
La prossima edizione sarà la #127 (che la #126 è ospitata sul blog dei Rudi Mathematici, che come da tradizione ospitano il Carnevale giusto il mese prima del pi day) e, come da tradizione, non avrà un tema portante: si può offendere in questo modo il buon $\pi$? Non credo proprio!
Per introdurre l'edizione 2019, però, ho pensato bene di creare una copertina ad hoc: quelli che vedete sono gli occhi di un noto cantante (o almeno il tentativo di disegnare gli occhi di un noto cantante) cui ho messo due $\pi$ al posto delle pupille. Chi sarà mai il cantante?
Nell'attesa che la sua identità venga chiarita, vi lascio con la serie della Breve storia del pi greco, giunta l'anno scorso alla quinta puntata e che, si spera, possa avere una sesta quest'anno: Ovviamente spero parteciperete numerosi!

Wikiritratti: Tobias Dantzig

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L'armonia dell'universo conosce solo una forma musicale, il legato, mentre la sinfonia del numero conosce solo il suo opposto, lo staccato. Tutti i tentativi di conciliare questa discrepanza si basano sulla speranza che uno staccato accelerato possa apparire ai nostri sensi come un legato.
Padre di George, considerato il padre della programmazione lineare, Tobias Dantzig nacque il 18 febbraio del 1884 in Lettonia, all'epoca territorio appartenente all'Impero Russo.
Dopo aver studiato a Parigi con Henri Poincaré, emigrò nel 1910 degli Stati Uniti.
All'inizio, mentre imparava l'inglese, lavorò come boscaiolo, operaio stradale, imbianchino nell'Oregon, fino a che grazie a Frank Griffin, matematico del Reed College, non riprese l'attività accademica. In questo modo ottenne il dottorato di ricerca in matematica nel 1917, presso l'Indiana University, dove insegnava. Successivamente andò alla Johns Hopkins University di Baltimora, alla Columbia University di New York e all'University of Maryland.
E' noto soprattutto per i suoi testi di matematica, Number: The Language of Science del 1930 e Aspects of Science del 1937.
A proposito del primo libro, tradotto anche in Italia nel 1973 come Il Numero: Linguaggio della Scienza, Albert Einstein ebbe modo di dire:
Questo è senza dubbio il libro più interessante sull'evoluzione della matematica che mi sia mai capitato fra le mani.
Per approfondire:
Monroe H. Martin, T. Dantzig, Historian and Interpreter of Mathematics (pdf)

Dimostrazioni senza parole: la formula di Hutton

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\[\frac{\pi}{4} = 2 \arctan \frac{1}{3} + \arctan{1}{7}\] Charles Hutton pubblicò questa formula nel 1776. Lo sloveno Jurij Bartolomej Vega (noto anche come Georg von Vega) nel 1794 utilizzò questa formula per migliorare il record di cifre decimali di $\pi$ che aveva già ottenuto nel 1789 con una formula simile a quella sviluppata da Leonard Euler.
L'immagine è realizzata con LaTeX e il pacchetto tickz: il codice sorgente su github
Vedi anche: Breve storia del pi greco / parte 5
Nelsen, R. B. (2013). Proof without words: The formulas of Hutton and Strassnitzky. Mathematics Magazine, 86(5), 350-350. doi:10.4169/math.mag.86.5.350 (jstor)

Una micro storia degli acceleratori di particelle

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Oggi pomeriggio sarei dovuto andare a Parabiago per l'ultima conferenza del ciclo di quest'anno dell'autoaggiornamento degli insegnanti del liceo Cavalleri, ma per problemi intercorsi all'altro relatore, l'incontro è stato rinviato a data da destinarsi. Ero abbastanza deciso a non pubblicare nulla sull'argomento della ricerca sperimentale sulle particelle elementari, ma avendo pronta la presentazione ed essendo essenzialmente basata su articoli già presenti su questo blog, alla fine ho deciso di pubblicare un paio di note con i link agli articoli e aggiungendo giusto quelle due o tre informazioni storiche sugli acceleratori.
Una storia di scoperte
Abbiamo già visto ampiamente la ricca storia legata alle scoperte di elettrone, protone, neutrone e neutrino. Se da un lato hanno contribuito dal punto di vista sperimentale allo sviluppo e alla verifica del Modello standard delle particelle elementari, dall'altro tutti gli esperimenti condotti erano in qualche modo "artigianali" e caratterizzati da un denominatore comune: targhetta fissa. Ovvero si bombardano alcuni atomi con delle particelle che vengono accelerate da un dispositivo progettato allo scopo. L'idea è, ovviamente, quella di far acquisire alle particelle stesse l'energia necessaria per superare i legami atomici e penetrare all'interno del nucleo stesso per interagire con i suoi componenti. Per accelerare le particelle, però, vennero perfezionati, quasi contemporaneamente, due dispositivi che portarono a un livello superiore la ricerca sulle particelle elementari:
  1. Nel 1931 Robert van de Graaf inventa l'acceleratore elettrostatico o a caduta di potenziale, ovvero un dispositivo che, tramite un'opportuna differenza di potenziale, accelera le particelle fino all'energia desiderata (si arrivava fino a un massimo di una decina di MeV, se non ricordo male)
  2. Nel frattempo nel 1928 Rolf Wideröe proponeva nella sua tesi di dottorato il progetto di un acceleratore lineare, che in pratica era concepito come una serie di acceleratori elettrostatici messi uno di seguito all'altro.
Oltre al problema di non poter accelerare le particelle oltre certe energie, c'era anche il problema di non poter accelerare tutte le particelle, visto che il campo elettrico all'interno dell'acceleratore fornisce energia solo alle particelle in fase con il campo. Per ovviare al primo problema arriva il ciclotrone, inventato nel 1930 da Ernest Orlando Lawrence. Questi altro non è che un anello all'interno del quale, tramite opportuni campi elettrici e magnetici, vengono acelerati due fasci di particelle per scontrarsi alla fine uno contro l'altro. Questo implicava che, a parità di accelerazione con quello lineare, all'interno del ciclotrone durante l'urto tra i fasci l'energia totale a disposizione veniva automaticamente raddoppiata.
Il miglioramento successivo al ciclotrone avviene negli anni quaranta del XX secolo grazie a Donald William Kerst e al suo betatrone, progettato per accelerare gli elettroni, che nel ciclotrone non ci si trovavano molto bene a viaggiare. Successivamente arrivarono i sincrotroni, nome dovuto al fatto che i campi elettrico e magnetico sono sincronizzati con il fascio di particelle iniettato nell'anello.
E di tutti i sincrotroni, il più famoso è indubbiamente l'LHC del CERN di Ginevra.
Ovviamente non posso non citare le scoperte sperimentali dei bosoni $W^\pm$ e $Z^0$ di Carlo Rubbia e Simon van der Meer o quella ben più famosa del bosone di Higgs, a proposito del quale vi ricordo sia della più recente rilevazione, avvenuta nel 2018, sia del fatto che, a quanto pare, >il bosone di Higgs non mostra alcuna interazione gravitonica, il che non esclude certo l'esistenza dei gravitoni, ma li rende un po' meno probabili (certo poi qualcuno deve anche andare a dirglielo, che non esistono!).

La fine dell'era dei dinosauri

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Nella puntata precedente di questa serie dedicata a 01011001 degli Ayreon di Arjen Anthony Lucassen avevamo lasciato il popolo dei Forever con la necessità di trovare una nuova casa per il loro patrimonio genetico. Identificata nella Terra, hanno inviato una cometa con i semi della loro rinascita. Riprendiamo da The Fifth Etinction, il pezzo con cui si apre il secondo cd di 01011001 dall'eloquente titolo di Earth.
Estratti dal testo
Vediamo alcuni passi che ritengo in qualche modo significativi all'interno del testo della canzone.
Now the die is cast, the first step taken
A glimmer of hope lights up our lives
Questa coppia di versi mostra un elemento interessante: il termine die indica non solo morire come tempo verbale, ma anche dado come sostantivo. La scelta da parte di Lucassen di die e non, ad esempio, di dice verrà in qualche modo esplicata alcuni versi più tardi, anche se già
Remember all life has to give
è più che chiarificatrice degli effetti del viaggio della cometa da Y alla Terra. Il riferimento alla cometa e alla panspermia, ad ogni modo, è presente nel verso
Behold our target, a world to plant our seeds
Arriviamo ai versi, cantati dallo svizzero Steve Lee, che chiariscono molto bene la scelta di die:
There must be life
First remove any trace of doubt!
They may all die; don't you think we should check it out?
I Forever sono più che consapevoli di ciò che stanno facendo: generare una gigantesca estinzione di massa, che come vedremo più sotto non è nemmeno la più grossa avvenuta sul nostro pianeta. L'autogiustificazione per questa scelta viene affidata alla voce di Daniel Gildenlöw:
We have no choice, we waited far too long
This is our planet, this is where they belong
Eppure la calda voce di Jørn Lande, all'epoca cantante dei Masterplan, non rinuncia a dire le cose come stanno:
We may regret this
Is this the way it's supposed to be?
A cold execution, a mindless act of cruelty!
Come vedremo più avanti, sulla Terra all'epoca c'erano molti rettili, come sottolineato anche dal verso che segue, e che sembra riportare il tutto verso quella forma di autogiustificazione di cui scrivevo prima:
I see mainly reptiles
A lower form of intelligence
Mere brainless creatures with no demonstrable sentience
Non ci è dato sapere se gli abitanti del pianeta scomparsi durante la quinta estinzione fossero realmente delle forme di intelligenza inferiori, né se avrebbero o meno sviluppato un'intelligenza paragonabile a quella umana, ma in qualche modo questo elemento interessante viene utilizzato da Lucassen per presentare delle dinamiche molto umane anche tra i Forever.
Le grandi estinzioni
L'intera canzone, come evidente dal titolo, si riferisce all'ultima delle grandi estinzioni avvenute sul pianeta: nel 1982 Jack Sepkoski e David M. Raup identificarono cinque grandi estinzioni di massa(4):
La prima estinzione. Avvenuta tra i 450 e i 440 milioni di anni fa nel passaggio tra l'era ordoviciana e quella siluriana, ha visto lo sterminio del 27% di tutte le famiglie, il 57% di tutti i generi e tra il 60% e il 70% di tutte le specie. Si ritiene che sia stata la seconda più grande tra le cinque estinzioni principali avvenute sulla Terra.
La seconda estinzione. Tra i 375 e i 360 milioni di anni fa, sul finire del devoniano si è verificato un periodo di estinzioni lungo all'incirca 20 milioni di anni che ha visto la sparizione del 19% delle famiglie, del 50% dei generi e di almeno il 70% delle specie.
La terza estinzione. 252 milioni di anni fa, sul finire del permiano, avvenne la più grande estinzione di massa della Terra. Sono scomparse il 57% di tutte le famiglie, l'83% di tutti i generi e tra il 90% e il 96% di tutte le specie, inclusi gli insetti che sono tra i più resistenti in assoluto a tali eventi. Perfino una delle specie marine fino a quel momento di maggior successo, il trilobite, si è estinta in quel periodo. La Grande Moria(1) ha portato alla fine della supremazia dei Terapsidi, rettili simili ai mammiferi che si ritiene possano essere in qualche modo loro antenati. La vita dopo questa terrificante estinzione di massa ha avuto bisogno di diversi milioni di anni (dai 10 ai 30), anche se lo spazio lasciato libero ha permesso agli arcosauri (gruppo cui appartengono i coccodrilli odierni) di svilupparsi. Nel mare, invece, una grossa percentuale di specie sessili (ovvero ancorate al fondo marino) è andata perduta, mentre specie mobili come ricci di mare, chiocciole e granchi ha iniziato a diffondersi sempre di più.
La Grande Moria, però, presenta anche altri elementi di interesse, non solo perché la sua durata risulta piuttosto dibattuta, ma anche per le cause. L'ipotesi più interessante vede nella causa scatenante la caduta di uno o più asteroidi sulla superficie della Terra. Nel sottosuolo australiano è stato, infatti, ritrovato un cratere di circa 120 chilometri datato proprio al periodo della Grande Moria. A questo si aggiunge anche l'enorme cratere della Terra di Wilkes in Antartide di 450 chilometri di diametro e risalente a circa 250 milioni di anni fa.
Inoltre al largo delle Isole Falkland è stata misurata un'anomalia gravitazionele che potrebbe essere compatibile con un enorme cratere sottomarino, forse generato da un impatto con un asteroide risalente a circa 250 milioni di anni fa.
L'ipotesi dell'asteroide, comunque, non sembra incompatibile con quella legata a un aumento dell'attività vulcanica del pianeta, considerata la principale alternativa, poiché tale attività potrebbe essere stata attivata proprio dalla caduta di un asteroide di grandi proporzioni. Ad ogni modo l'aumento dell'attività dei vulcani ha molto probabilmente portato a un aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera oltre il limite dei 1000 ppm(2). Questo livello di CO2 avrebbe avvelenato gli oceani ed eroso lo scudo di ozono, rendendo la vita sul pianeta proibitiva per la maggior parte delle specie viventi.
La quarta estinzione. L'estinzione che ha caratterizzato il passaggio dal Triassico al Giurassico ha causato la scomparsa di circa il 23% delle famiglie, il 14% dei generi e tra il 70% e il 75% di tutte le specie. L'estinzione fu particolarmente pesante per le terre emerse, lasciando ai dinosauri ben poca competizione, mentre negli oceani si estinsero "solo" il 20% delle famiglie e il 55% dei generi marini. Questa è l'era resa famosa da film come Jurassic Park, dai documentari e dagli archeologi che in un modo o nell'altro riuscirono a recuperare (e continuano ancora oggi) le ossa di questi giganteschi rettili che dominarono la superficie del pianeta 200 milioni di anni fa. La loro era iniziò probabilmente per varie concause, su tutte le variazioni climatiche che portarono a un riscaldamento globale tale da rendere arida la superficie del pianeta.
La quinta estinzione. La più famosa delle estinzioni è indubbiamente l'ultima, non solo perché ha liberato nicchie ambientali per i mammiferi, ma anche perché la maggior parte dei dinosauri, quelli giganteschi, si sono estinti. All'incirca 65 milioni di anni fa, tra il Cretaceo e il Paleocene, almeno un enorme asteroide si è schiantato sulla superficie della Terra. Ad avanzare tale ipotesi era stato Luis Alvarez, premio Nobel per la fisica nel 1968(3), insieme con il figlio geologo, Walter Alvarez. I due, insieme con i chimici Frank Asaro e Helen Vaughn Michel, scoprirono che in diversi detriti provenienti da varie parti del mondo e risalenti proprio al periodo dell'estinzione dei dinosauri si riscontrava una concentrazione di iridio di molto superiore rispetto a quella normalmente presente sulla Terra. Questo è un metallo di transizione scoperto nel 1803 da Smithson Tennant e piuttosto raro sulla superficie del nostro pianeta, mentre si trova in grande abbondanza sugli asteroidi. Fu questa constatazione, alla fine, a spingere il gruppo dei due Alvarez a proporre l'idea della caduta di un gigantesco asteroide come causa dell'estinzione dei dinosauri. Le tracce fossili di alcuni giganteschi impatti, come ad esempio quelle trovate nella penisola dello Yucatan, sembrano effettivamente avvalorare tale tesi. Tali tracce suggeriscono che l'asteroide-killer doveva avere un diametro di circa 15 chilometri circa, generando durante l'urto un'energia paragonabile a quella di un miliardo di bombe atomiche. Questa energia venne liberata attraverso gigateschi tsunami che portarono per molti chilometri nell'entroterra diverse forme di vita marine, come dimostrano i molti fossili di tal genere ritrovati in zone dove il mare non è mai stato presente.
L'idea degli Alvarez, però, non era nemmeno così nuova: nel 1953 i geologi Allan O. Kelly e Frank Dachille, analizzando la geologia del pianeta, suggerirono che nel suo passato la Terra fosse stata colpita da diversi asteroidi giganti, causando uno spostamento angolare dell'asse terrestre, inondazioni in tutto il mondo, incendi, formazione di nubi di polveri nell'atmosfera fino all'estinzione dei dinosauri. All'epoca non c'erano prove sufficientemente solide per avvalorare la tesi dei due geologi: si è così dovuto attendere le osservazioni puntuali del gruppo degli Alvarez e le successive verifiche geologiche.
Spendo le ultime due righe sulla questione dell'intelligenza dei dinosauri: questa è una questione piuttosto dibattuta. La tesi più accreditata è quella di un livello di intelligenza più basso rispetto ai loro discendenti (uccelli, coccodrilli e i rettili in generale). Molti però pensano che, senza gli eventi catastrofici che hanno colpito la Terra, sarebbe potuta spuntare tra i teropodi una piccola specie di dinosauri con un'intelligenza paragonabile a quella umana.

  1. E' termine tecnico e non semplicemente una traduzione che vuole citare la lettera che Totò detta a Peppino in Totò, Peppino e la... malafemmina
  2. Parti per milione, ovvero l'equivalente di 1 milligrammo per chilogrammo. In pratica 1000 ppm di anidride carbonica sono 1 grammo di anidride carbonica per ogni chilogrammo di atmosfera. 
  3. "per il suo contributo determinante alla fisica delle particelle elementari, in particolare, la scoperta di un gran numero di stati di risonanza, resa possibile attraverso il suo sviluppo della tecnica della camera a bolle con l'impiego di idrogeno e l'analisi dei dati
  4. Raup, D.; Sepkoski Jr, J. (1982). Mass extinctions in the marine fossil record. Science. 215 (4539): 1501–03. doi:10.1126/science.215.4539.1501 
  5. Alvarez, L.W.; Alvarez, W.; Asaro, F.; Michel, H. V. (1980). "Extraterrestrial cause for the Cretaceous–Tertiary extinction". Science. 208 (4448)

Topolino #3300: Di bastoni e barbabietole

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Lo ammetto: non attendevo altro che il #3300 solo per la copertina di Andrea Freccero, che vorrei copertinista unico del Topo per almeno un paio di decenni. La bella copertina è, peralro, realizzata per introdurre Il bastone tubetano, storia esotica disegnata dal suo "allievo" Stefano Zanchi, che più passa il tempo, più diventa indistinguibile dallo stesso Freccero, il che forse non è proprio un punto di merito. Zanchi, però, è bravo quindi ha indubbiamente tutto il tempo per migliorare e magari introdurre elementi di distinzione nel tratto rispetto a quello di Freccero. D'altra parte fossero dello stesso livello gli epigoni di Giorgio Cavazzano forse non ci sarebbe ancora bisogno del maestro sulle pagine di Topolino.
Bando ai sentimentalismi, passiamo però alla storia d'apertura:
Un insolito sport
Con una storia dall'evidente gusto ciminiamo, Vito Stabile spedisce Paperino e Paperone nel Tubet, evidente riferimento al Tibet reale, in un villaggio sconsciuto da cui nessuno può più andare via a meno di non vincere una sfida nello sport locale: il wakayak, che può essere tradotto come football e che si gioca a cavallo di uno yak con un bastone legato a un piede con il quale colpire un pallone per farlo finire contro il gong dell'avversario.
Pur rilevando gli stessi difetti riscontrabili nella maggior parte delle storie di Topolino relativamente alla caratterizzazione abbastanza granitica e stantia dei personaggi disneyani, in particolare dei paperi, la storia di Stabile, ad ogni modo abbastanza fedele allo schema tipico delle avventure scritte da Rodolfo Cimino, risulta comunque una ventata di aria fresca, non solo per i riferimenti a altre saghe, come il flashback di mezza vignetta ambientato nell'universo di Paperino Paperotto, ma anche per un prefinale non scontato, che controbilancia il classico inseguimento tra zio e nipote con il quale si conclude la storia, senza dimenticare l'ottima caratterizzazione di Paperino durante la sfida di wakayak, che in qualche modo ricorda quella di Paperino ne L'odissea nello strazio di Nino Russo e Francesco Guerrini durante la sfida di rollerball.
Intermezzo cosmico
Uno degli elementi più notevoli di questo numero è indubbiamente l'intervista a Linda Raimondo, la giovane italiana famosa come Astro Linda sui social con il sogno di diventare astronauta. A intervistarla ci pensa Federico Taddia, che in questi anni si è più volte occupato di scienza e in particolare di astronomia, anche in forza del libro scritto a quattro mani con Margherita Hack nel 2010.
Una bella intervista che potrà sicuramente ispirare i lettori e soprattutto le lettrici di Topolino!
Seminare zizzania
Continua sempre mantenendosi su un ottimo livello Il conte di Anatrham, giunto al quinto episodio. Marco Bosco, come nelle puntate precedenti, arricchisce la narrazione di elementi interessanti e storicamente coerenti con l'ambientazione scelta (il primo decennio del XX secolo), mentre le vicende dei paperi di Anatrham vengono complicate dalle trame tessute dietro le quinte da Ameliova da un lato e da De Rockfort dall'altro.
Dal punto di vista dei personaggi, mentre per ora la presenza di Jack il vagabondo è più utile per caratterizzare al meglio gli altri personaggi della casa, in particolare Mrs. Coot e Archie Meed, ovvero quelli con cui Jack ha interagito di più fino a ora, spiccano, nonostante la presenza in poche pagine, il direttore del Daily, il quotidiano di De rockfort, e l'investigatore Bogarty.
Quest'ultimo, come ovvio, viene utilizzato da Bosco per risolvere il mistero delle stoviglie scomparse, e come classico per il personaggio, dopo un ingresso trionfale in cui l'investigatore si mostra forte e sicuro di sé, in questo ottimamente visualizzato dal bravo Nico Picone, ecco arrivare la risoluzione errata causata da un'equivoca interpretazione delle interazioni tra gli abitanti della villa di Anatrham.
Il direttore del Daily, invece, per il quale Picone ha trovato un'interessante e molto particolare caratterizzazione grafica, permette a Bosco sia in questo numero, ma anche nel precedente di gettare un po' di luce sul mondo dell'informazione.
I quotidiani trovano le loro origini nell'atnica Roma quando venivano affissi ogni giorno gli Acta Diurna populi Romani, che contenevano una raccolta degli atti pubblici governiativi e un resoconto degli avvenimenti più importanti accaduti nella capitale.
Per avere il quotidiano nella sua forma moderna, bisogna attendere il 1650 quando a Lipsia il libraio Timothäus Ritzsch fondò e diede alle stampe il Einkommende Zeitungen, prima a cadenza settimanale e poi, dal 1660, quotidiana. Il primo quotidiano italiano è, invece, la Gazzetta di Mantova, fondata nel 1664, mentre il primo quotidiano a tiratura nazionale nacque nel 1867 a Torino: era la Gazzetta Piemontese che nel 1894 avrebbe cambiato nome per diventare La stampa.
L'Italia ha anche visto nascere il primo periodico in lingua inglese, stampato intorno al 1620 da Joris Veseler. Dopo la pubblicazione di una sorta di libri di notizie stampati a Londra, per avere il primo vero quotidiano britannico bisogna attendere il 1702 con l'uscita del Daily Courant grazie alla stampatrice Elizabeth Mallet. All'epoca in cui è ambientato Il conte di Anatrham, il 1916, sono attivi a Londra due giornali con daily nel nome: il Daily Telegraph, noto soprattutto come The Telegraph, e il Daily Mail, cui probabilmente pensa in particolare Bosco per il Daily di De Rockfort. Ovviamente la presenza di un quotidiano nella saga ideata da Marco Bosco è funzionale per la riflessione del ruolo del giornalismo all'interno della società e della politica e nel caso specifico del suo abuso per forzare le decisioni dei governanti in materia economica, come progettato dall'avversario di Paperon Pound.
In attesa del nuovo spunto che verrà proposto nel prossimo episodio, ma già evidente dall'ultima vignetta della storia, non mi resta che salutarvi fino alla prossima recensione topolinesca o, se vi va, fino al prossimo articolo qui sulle pagine di DropSea!
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