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Suspiria: l'horror lovecraftiano di Guadagnino

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Quando ho affrontato la visione di Suspiria di Luca Guadagnino, remake dell'omonima pellicola del 1977 di Dario Argento non avevo (e al momento di scrivere queste righe non ho ancora) visto l'originale. Solo dopo la visione ho dato un'occhiata alla trama del film di Argento, rendendomi conto che le differenze di contenuti tra le due pellicole sono sufficienti da farmi dire che, probabilmente, l'approccio di Guadagnino è stato molto meno splatter di quello di Argento, nonostante il film non risparmi scene di una certa crudezza.
Ad ogni modo, non avendo visto l'originale, non mi sembra il caso di perderci più tempo, per cui passo alle impressioni che il film di Guadagnino mi ha lasciato. Intanto l'ambientazione, una compagnia di ballo, gestita da un "allegro" gruppo di streghe, tra le quali una in particolare, che vediamo solo nella sanguinosa penultima scena, tale Marcos, titolare della compagnia, ritiene di essere la così della Madre dei sospiri. D'altra parte il suo titolo viene in qualche modo messo in dubbio per tutta la pellicola, ma l'età veneranda del personaggio suggerisce che, comunque, queste streghe compiano più o meno periodicamente riti per mantenere il loro aspetto giovane o giovanile il più a lungo possibile.
Oltre alle streghe, coprotagoniste del film sono in particolare due delle ballerine della compagnia, una delle quali un nuovo acquisto proveniente dagli Stati Uniti, in fuga dalla comunità amish dove era nata. In qualche modo ciò spiega anche il rapporto quasi carnale che la ragazza ha con il ballo, che gioca un ruolo chiave all'interno della trama, poiché è intorno al ballo che vengono tessuti molti degli incanti oltre che il rito finale. In questo senso la sensazione è che il ballo abbia sostituito letteralmente i riti sessuali tipici della stregoneria e questo è in parte merito anche delle belle coreografie che sono state realizzare per il film. Inoltre ci sono non poche suggestioni provenienti da Il cigno nero, come l'ossessione affinché i passi della danza siano perfetti e l'identificazione della ballerina con la creatrice dei passi, in un percorso che la porti a svuotarsi di se stessa per essere pronta ad accogliere in sé lo spirito creativo.
Guadagnino, poi, fa una scelta narrativa molto precisa, in qualche modo lovecraftiana, che parte sin da una fotografia che ricorda molto L'esorcista, più d'atmosfera che splatter. L'orrore non viene mai completamente mostrato, almeno fino al rito finale, che è la scena dove si concentra quasi tutto lo splatter della pellicola. Il senso di paura nello spettatore viene dunque veicolato non con ciò che viene mostrato, ma soprattutto con ciò che viene suggerito, proprio come nei racconti di Lovecraft. Inoltre la pellicola riesce a mantenere desta l'attenzione per tutte le quasi due ore e mezza della sua durata, cosa abbastanza rara e nonostante il ritmo narrativo non sia da film d'azione.
Tecnicamente, poi, Guadagnino mostra una serie di soluzioni sia registiche sia di effetti speciali valide, interessanti e molto moderne, con uno stile che, personalmente, mi ha fatto pensare a registi italiani come Paolo Sorrentino e Matteo Garrone. Nel complesso un bel film, quello che si potrebbe definire un horror d'autore, e che si spera possa essere l'inizio di una nuova serie, come lo fu il Suspiria originale.
Ultima nota conclusiva: grande prova d'attrice di Tilda Swinton, che interpreta non solo Madame Blanc e, anche se per poco, l'inquietante direttrice Marcos, ma anche il buon strizzacervelli dottor Kemplerer. Devo dire che era praticamente irriconoscibile, anche se il trucco non era così perfetto visto che mi sono accorto abbastanza facilmente che l'attore non era un ottuagenario, ma uno più giovane truccato all'uopo. Non saprei spiegarvi se siano stati gli occhi, alcune movenze in momenti particolari del film o solo la non perfezione del trucco che emergeva con alcune particolari inquadrature, ma a quanto ho capito sono stato uno dei pochi ad accorgersi di questo dettaglio, che forse è l'unico neo in una pellicola decisamente molto ben fatta.

Disegnare un buco nero

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Rispetto alla rappresentazione dell'intero universo cui ho dedicato diversi articoletti, rappresentare un buco nero è indubbiamente molto più semplice, avendo però sempre l'accortezza di ricordare che la forma del buco nero non è visualizzabile visto che non sappiamo praticamente nulla di questo particolare oggetto cosmico.
Dal punto di vista grafico si tende, infatti, a disegnare letteralmente un buco nel tessuto dello spazio tempo il cui bordo inferiore è nero e irraggiungibile: un modo pittorico per far comprendere come tutto cada al suo interno e nulla ne riesca a sfuggire. In effetti tale visione, se corretta, andrebbe replicata praticamente per ogni punto di una sfera arrivando così alla conclusione che un buco nero è una regione sferica di cui non conosciamo assolutamente nulla. Eppure esiste un modo più tecnico di rappresentare il buco nero ed è dovuto all'uomo che in pratica ha introdotto la topologia all'interno della fisica in generale e della relatività generale in particolare: Roger Penrose.
Prima di Penrose si sapeva che una sfera perfettamente sferica avrebbe potuto creare una singolarità come un buco nero, ma i fisici ritenevano che poiché nessuna stella è realmente sferica, allora la creazione di una singolarità poteva essere scongiurata. Penrose, però, dimostrò che una stella sufficientemente grande può generare una singolarità indipendentemente dalla sua forma(1). In particolare Penrose introdusse dei diagrammi per rappresentare il collasso sfericamente simmetrico di cui qui sotto vi presento una versione tratta da un testo del matematico britannico di cui ho perso il riferimento causa cambio di portatile avvenuto nel frattempo tra quando ho trovato l'immagine e quando ho scritto queste righe (colpa del mio notorio bradipismo!).
Successivamente Penrose insieme con Stephen Hawking estese il meccanismo del collasso stellare a situazioni cosmologiche(2), in qualche modo costruendo le basi per la successiva topologia cosmica. In questo senso è molto interessante osservare come uno dei matematici che possiamo considerare come il fondatore di questa nuova disciplina, Jean-Pierre Luminet, è stato anche il primo a realizzare la prima realistica simulazione di un buco nero sferico(3, 4):
Tutto questo, alla fine, mi porta a un interessante metodo utilizzato nel 1997 per determinare le proprietà di Sagittarius A*(5), il buco nero al centro della Via Lattea all'epoca identificato semplicemente come sorgente radio, ma con lo studio di cui sopra identificato proprio come buco nero. Di fatto i due ricercatori, Eckart e Genzel, studiarono le traiettorie delle stelle intorno al centro di emissione dei segnali radio e da queste, utilizzando la terza legge di Keplero, determinarono le proprietà di questo centro di attrazione gravitazionale. Su un metodo del genere si basa il software educativo SalsaJ che permette di esaminare immagini astronomiche e che propone come esercizio proprio quello di determinare la massa di Sagittarius A*. Esercizio che abbastanza periodicamente utilizziamo all'Osservatorio di Brera per un laboratorio con gli studenti delle scuole superiori.
  1. Penrose, R. (1965). Gravitational collapse and space-time singularities. Physical Review Letters, 14(3), 57. doi:10.1103/PhysRevLett.14.57 
  2. Hawking, S. W., & Penrose, R. (1970). The singularities of gravitational collapse and cosmology. Proc. R. Soc. Lond. A, 314(1519), 529-548. doi:10.1098/rspa.1970.0021 
  3. Luminet, J. P. (1979). Image of a spherical black hole with thin accretion disk. Astronomy and Astrophysics, 75, 228-235. 
  4. Carter, B. (2006, June). Half Century of Black‐Hole Theory: From Physicists’ Purgatory to Mathematicians’ Paradise. In AIP Conference Proceedings (Vol. 841, No. 1, pp. 29-50). AIP. doi:10.1063/1.2218167 (arXiv
  5. Eckart, A., & Genzel, R. (1997). Stellar proper motions in the central 0.1 pc of the Galaxy. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, 284(3), 576-598. doi:10.1093/mnras/284.3.576 

Storia di Orione

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Orione verso l'alba - dipinto di Nicolas Poussin - via commons
La costellazione di Orioneè una delle più note e riconoscibili del cielo. Inoltre la sua vicinanza all'equatore celeste la rende visibile dalla maggior parte dei luoghi del pianeta. La figura che viene costruita dalle stelle che la costituiscono è quella stilizzata del cacciatore Orione, protagonista delle mitologie greca e romana. In particolare mi piace la figura di Orione rappresentata nella tradizione greca.
Figlio di Pseidone ed Euriale, Orione era un gigante cacciatore le cui peripezie iniziarono il giorno in cui decise di corteggiare Merope, la bella figlia del re dell'isola di Chio, Enopio. Come tutti i padri all'antica, anche Enopio era particolarmente geloso della figlia, così infuriato dalla corte di Orione, lo fece accecare. Persa la vista, Orione si rifugiò presso Efesto sull'isola di Lemno.
Qui la storia si divide in due diramazioni che però si riuniscono abbastanza velocemente. Nella prima, che mi sembra meno interessante, Efesto, con la guida di Cedalione, invia Orione verso est fino al punto dove sorge il sole: qui, grazie a Eos, l'aurora, ottiene la vista.
La versione che mi sembra più interessante è invece quella in cui Efesto costruisce due nuovi occhi per Orione: in fondo la tradizione degli automi viene fatta risalire proprio al fabbro degli dei, e dunque non è così incredibile vedere Efesto anche alle antichissime origini dei cyborg!
Ad ogni modo, dopo aver riacquistato la vista, Orione per la felicità riprende immediatamente a cacciare fino a che non si ritrova anche questa volta a est, proprio lì accanto a dove sorge il sole, e anche questa volta incontra Eos. Qui le due versioni si uniscono, poiché il cacciatore in entrambe si innamora della figlia dei Iperione e Teia. Come in tutte le belle storie, i due si sposano: la vita scorre felice, con Orione che si concede varie battute di caccia in compagnia del fido cane Sirio, che troviamo in cielo come stella bianca nella costellazione del Cane Maggiore. Una notte Artemide, dea della caccia e a volte compagna di battute di Orione, rompe gli indugi e, a dispetto della sua nota castità, rivolge esplicite offerte al buon cacciatore. Questi, però, rifiuta l'offerta della dea, affermando che non avrebbe mai potuto tradire la sua adorata sposa. Così Artemide, rispettando la fedeltà di Orione, si mette il cuore in pace.
Orione, però, non era così saldo nel suo amore, visto che si invaghì delle Pleiadi, le sette figlie di Atlante e Pleione, anche se i maligni suggeriscono che fosse quest'ultima il vero obiettivo del cacciatore. Tra l'altro nel cielo Orione viene rappresentato nell'atto di combattere contro la costellazione del Toro che si frappone tra lui e le Pleiadi. Di fatto nel mito greco di Orione non è presente alcun toro, quindi si può solo suppore che questa battaglia sia in realtà un riferimento al mito romano. Seconto quest'ultima mitologia, viveva in Beozia un contadino molto povero di nome Ireo. Un giorno Giove, Nettuno e Mercurio gli fecero visita sotto mentite spoglie e il contadino, nonostante la sua povertà, li accolse con grande ospitalità. A quel punto gli dei si rivelarono e Ireo, ripresosi dall'emozione, aggiunse a quanto già offerto loro anche il suo toro migliore. Dopo tanti onori, Giove concesse a Ireo un desiderio e questi, rimasto vedovo e deciso a non prendere più moglie, chiese un figlio. Allora Giove si fece portare la pelle del toro ucciso per loro e orinarono su di essa, quindi dissero a Ireo di seppellirla nel suo orto. Dopo nove mesi nacque proprio Orione. Quesrto, però, è l'unico legame esplicito del cacciatore con il toro.
Torniamo, però, al mito greco: Artemide, dopo aver appreso la notizia dell'interessamento di Orione per le Pleiadi, decise di vendicarsi dell'affronto subito. Già mi sembra di sentirla, la dea, urlare nelle sue stanze: Ma come? A me ha detto no con la scusa della fedeltà alla moglie e poi si lancia contro quelle sette gallinelle? Ora assaggerà la mia ira!
Così la dea mandò lo Scorpione (anche lui presente nei cieli stellati) presso la dimora di Orione. Qui, con grande pazienza, attese il rientro del cacciatore e del suo fido cane da caccia e quando i due furono profondamente addormentati, attaccò. Il suo mortale pungiglione colpì prima Orione e poi Sirio, che si era lanciato per difendere il padrone.
In effetti la storia, per quel che mi riguarda, finisce così, anche se, come per tutti i personaggi della mitologia, di morti il buon Orione ne ha diverse altre, una delle quali sempre per mano di Artemide che lo trivella a colpi di frecce sull'isola di Ortigia. Nella tradizione romana è invece Diana, l'alter ego latino di Artemide, a uccidere Orione, dopo che quest'ultimo aveva provato a violentarla.
In generale Orione emerge come un abile e forte cacciatore, ma il cui rapporto con le donne è quanto meno volubile e leggero: in questo senso è strano come in nessuna delle sue morti alternative né Eos né i suoi parenti cerchino in qualche modo di vendicarsi del tradimento subito (anche se non consumato). D'altra parte il mito di Orione si è probabilmente fuso con quello di Cefalo, semidio figlio di Ermes e di Erse, la cui incredibile bellezza spinse Eos a innamorarsi di lui. In una rappresentazione risalente all'incirca al quinto secolo prima di cristo, Cefalo ed Eos sono rappresentati uno accanto all'altra, con il primo in una posizione molto simile alla figura della costellazione di Orione e con un cane ai suoi piedi, probabilmente il Sirio del mito.

Copertine metalliche: Black Hole vs Metallica

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Cercando un qualche bel pezzo musicale da abbinare all'ultimo articolo sui buchi neri incappo nel gruppo death/black meal italiano dei Black hole. La loro produzione è piuttosto minimale, ma il loro primo lavoro lungo è l'album Land of Mystery uscito nel 1985 la cui copertina cimiteriale nel disegno ma psichedelica nei colori anticipa di appena un anno la più famosa copertina cimiteriale del metal, quella di Master of puppets uscito all'incirca l'anno dopo.
Dopo il confronto tra le due copertine, vi lascio con Demoniac city, traccia iniziale di Land of Mystery:


Vi lascio alla recensione su Metallized per qualunque considerazione tecnica.

Anarchica matematica

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\[f(x) = 2 + \sqrt{-(x-2)^2+1}\] \[g(x) = 2 - \sqrt{-(x-2)^2+1}\] \[h(x) = 3x - 3\] \[i(x) = -3x + 9\] \[j(x) = 0.2 x + 1.7\] Le equazioni qui sopra sono apparse su i muri di Bruxelles nel 2016. Ho realizzato il grafico iniziale del simbolo anarchico a partire dalle equazioni qui sopra utilizzando l'applicazione di geogebra per smartphone e tablet.

Topolino #3294: Solo per non saltare l'appuntamento

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Non fosse per la conclusione di Orgoglio e pregiudizio obiettivamente il numero ancora in edicola di Topolino avrebbe ben pochi spunti interessanti a sommario.
A livello di soggetto risulta abbastanza interessante la storia d'apertura, Paperino e i Bassotti ospitali di Gaja Arrighini e Nicola Tosolini: i rapporti tra Paperino e Paperone arrivano a un punto di attrito apparentemente di non ritorno, tanto che lo zione disereda e sfratta il nipote, che si vede costretto ad accettare l'ospitalità bassottesca. Il problema è la solita idea del "simpatico perdigiorno" che caratterizza il buon Paperino anche in questa occasione e che sarebbe anche sopportabile se non fosse per la preoccupazione di Paperino nei confronti dei nipotini, rimasti senza una casa. Il lettore, infatti, non può non restare perplesso di fronte a un personaggio che ben poco si cura della sua stessa sopravvivenza chiedendosi come possa anche essere lontanamente lo stesso Paperino tratteggiato da Carl Barks.
Il resto del numero è completato da un paio di storie brevi e dalla lunga Il malinteso criminoso di Roberto Moscato e Emmanuele Baccinelli. La storia mette in campo uno scambio di persona tra Pippo e l'inafferrabile ladro l'Ombra in quella che sembra una variazione per soggetto e caratterizzazione dei ladri che si accompagnano a Pippo de La gang della spider rossa, classico livedisneyano del 1976 diretto da Norman Tokar. Anche il ritmo della storia di Moscato in qualche modo è molto cinematografico, mentre i disegni di Baccinelli si stanno sempre più assestando sullo stile di Giorgio Di Vita, pur se con un'inchistrazione più marcata.
Ora non resta che attendere il prossimo numero di Topolino, sperando che il problema di sommario rilevato all'inizio risulti un po' più mitigato rispetto a quanto avvenuto questa settimana.

La fisica di Einstein a scuola

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Negli ultimi mesi dello scorso anno sono usciti un paio di miei articoli su Edu INAF sulla didattica della relatività in cui provo a raccontare un paio di attività didattiche relativistiche per gli studenti delle scuole (tendenzialmente superiori): Simulare lo spaziotempo e Il piccolo universo di un pallone in espansione. Se a questi aggiungiamo anche Misurare ka velocità della luce in classe, ecco un trittico che potrebbe essere interessante approfondire. A tale scopo mi è sembrata una buona idea proporvi (in particolare per gli insegnanti all'ascolto) le versioni openaccess laddove disponibili o i pdf degli articoli scientifico/didattici usciti su Physics Education utilizzati per scrivere quelli pubblicati su Edu INAF.
In particolare partirei da Simulare lo spaziotempo, perché propone il primo di una serie di tre articoli, che vi segnalo tutti insieme con la loro corrispondente versione su arXiv:
Kaur, T., Blair, D., Moschilla, J., Stannard, W., & Zadnik, M. (2017). Teaching Einsteinian physics at schools: part 1, models and analogies for relativity. Physics Education, 52(6), 065012. doi:10.1088/1361-6552/aa83e4 (arXiv)
Kaur, T., Blair, D., Moschilla, J., & Zadnik, M. (2017). Teaching Einsteinian physics at schools: part 2, models and analogies for quantum physics. Physics Education, 52(6), 065013. doi:10.1088/1361-6552/aa83e1 (arXiv)
Kaur, T., Blair, D., Moschilla, J., Stannard, W., & Zadnik, M. (2017). Teaching Einsteinian physics at schools: part 3, review of research outcomes. Physics Education, 52(6), 065014. 10.1088/1361-6552/aa83dd (arXiv)
Quindi ecco l'articolo sull'universo in un palloncino:
Xu, B., Su, J., & Wang, W. (2018). An expanding balloon: a small universe. Physics Education, 53(6), 065005. doi:10.1088/1361-6552/aad71f (4shared)
E infine ecco quello sulla velocità della luce in classe:
Heiszler, F. J. (2016). Measuring the speed of light in classroom. Physics Education, 52(1), 013009. doi:10.1088/1361-6552/52/1/013009 (4shared)
Come bonus track aggiungo un articolo fresco di stampa in cui un gruppo di ricercatori cercano di capire come insegnanti e studenti recepiscono l'introduzione, anche in livelli scolastici bassi, di concetti relativistici, iniziando dalle ormai in lungo e in largo famose onde gravitazionali, con risultati decisamente molto incoraggianti:
Foppoli, A., Choudhary, R., Blair, D., Kaur, T., Moschilla, J., & Zadnik, M. (2018). Public and teacher response to Einsteinian physics in schools. Physics Education, 54(1), 015001. doi:10.1088/1361-6552/aae4a4 (arXiv)
A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura a tutti!

A night with Cosmo Brain

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Ieri è andata in onda la nuova puntata di Cosmo Brain dedicata alla Luna con Filippo Bonaventura che mi ha succeduto come ospite di Laura Paganini. Nel frattempo, per chi se la fosse persa, eccovi la puntata del 10 gennaio 2019 con me come ospite a parlare di Queen, astronomia e fisica.
Visto che mi piace anche condividere con voi i testi lunghi che avevo preparato per la trasmissione e che poi ho opportunamente riassunto per la diretta, vi propongo un pdf che ho preparato all'uopo e che è già organizzato pensando all'aggiunta dei testi per le nuove puntate dove sarò ospite!
Intanto, buon ascolto (o riascolto!):

Le quattro stagioni: l'inverno

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Le quattro stagioni sono quattro concerti per violino composti dall'italiano Antonio Vivaldi. Ognuna delle stagioni è suddivisa in tre movimenti ed è accompagnata da un sonetto, composto da un poeta anonimo (o forse dallo stesso Vivaldi). Quello che segue è il sonetto dell'Inverno, cui segue l'interpretazione rock di Ross Pike del primo movimento, l'allegro ma non troppo:
Agghiacciato tremar tra nevi algenti
Al Severo Spirar d'orrido Vento,
Correr battendo i piedi ogni momento;
E pel Soverchio gel batter i denti;
Passar al foco i dì quieti e contenti
Mentre la pioggia fuor bagna ben cento
Caminar sopra il ghiaccio, e a passo lento
Per timore di cadere bene;
Gir forte Sdrucciolar, cader a terra
Di nuovo ir sopra 'l ghiaccio e correr forte
Sin ch'il ghiaccio si rompe, e si disserra;
Sentir uscir dalle ferrate porte
Scirocco, Borea, e tutti i venti in guerra
Quest'è 'l verno, ma tal, che gioia apporte.

Topolino #3295: Dal Klondike all'Egitto e ritorno

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Come scrivevo nell'introduzione all'articolo dedicato a Lo scatto di soppiatto, il #3295 si è rivelato un numero migliore rispetto alle attese e non solo per la gradita presenza della nuova storia della serie de La storia dell'arte di Topolino. Ma bando agli indugi e iniziamo subito con la storia di copertina:
Ritorno al Klondike
Se tra gli autori storici a prendere spunti dalla linea narrativa di Don Rosa ci sono Carlo Panaro e Francesco Artibani, anche forti della tradizione scarpiana, sono soprattutto i nuovi sceneggiatori a proporre soggetti di chiaro gusto donrosiano, ovviamente conditi con un certo grado di italianità. Ad esempio Vito Stabile sviluppa i soggetti con un occhio alla linea letteraria di Rodolfo Cimino, mentre in questo numero con I tempi del Klondike tocca a Pietro Zemelo il compito di affrontare il passato di Paperon de Paperoni.
L'episodio che Zemelo approfondisce è, in pratica, l'ultima ricerca di un tesoro nel grande nord da parte di Paperone. Il soggetto, detto così, è effettivamente alla Don Rosa, ma la sua declinazione è più complessa. Infatti, subito dopo il flashback iniziale, la trama ha una svolta che ricorda in qualche modo Il debito d'onore di Giorgio Cavazzano, anche se il coprotagonista della vicenda non è un minatore come nella storia del 1989. Lo sviluppo successivo, invece, è un chiaro riferimento Ricomincio da capo, film del 1993 diretto da Harold Ramis e con Andie MacDowell e Bill Murray. Il lieto fine, in qualche modo scontato, non ne inficia la qualità, sia nello sviluppo del soggetto, ricco di spunti disneyani ma non solo, sia nella gestione dei personaggi. In questo senso anche i soliti e un po' stantii battibecchi tra zione e nipote risultano più sopportabili del solito anche grazie all'importanza narrativa che Zemelo assegna loro.
A dare un'ultima spinta alla storia ci pensano, infine, i sempre belli ed evocativi disegni di Fabio Celoni. Il disegnatore mette in campo tutto il suo repertorio, mostrato quasi sin dai suoi esordi, come ben sa chi ha letto Torna a casa Paperino del 1995 scritta da Fabio Michelini: ricordi che compaiono accompagnati da un vento mistico che trasporta ombre e nebbia; vignette d'atmosfera che enfatizzano i momenti chiave della trama; alcune scelte di inquadratura nonché alcune vignette che in qualche modo richiamano alla parodia Dottor Ratkyll e Mister Hyde.87 Tutto alla fine concorre alla realizzazione di una bella storia d'apertura, completata dall'altrettanto bella copertina di Cavazzano.
Crossover pippide
Generalmente gli incroci narrativi, meglio noti come crossover, tra personaggi che normalmente non si frequentano sono tipici del mondo supereroistico. In qualche modo anche L'alleanza piramidale di Giuseppe Zironiè un crossover: presenta l'elemento supereroistico grazie a Super Pippo e l'incrocio narrativo con la presenza di Indiana Pipps, che normalmente si confronta con il cugino esclusivamente nella sua identità civile.
I due si ritrovano coinvolti in una storia a metà strada tra un classico di Indiana Jones e la trilogia de La mummia iniziata nel 1999 con il film di Stephen Sommers che permette a Zironi di disegnare vignette di chiaro gusto supereroistico, come la splash page in cui Super Pippo emerge dalle sabbie del deserto con la piramide del faraone Tut-Tut. Forse un po' scontato l'avversario scelto per la storia, il buon vecchio Kranz, ma assolutamente coerente con la trama della storia, sviluppata con una buona alternanza di ritmo tra le scene di spiegazioni e quelle d'azione.
Arte urbana
Doppio Roberto Gagnor questa settimana, che, in coppia con Paolo De Lorenzi, chiude il numero con La contesa del capannone. Il protagonista, Pico de Paperis, ha il compito di mettere pace tra due gruppi di giovani artisti, i Ducks, dei rapper di strada, e i Goose, dei graffitari, che hanno iniziato a litigare per non si sa bene quale motivo. Pico, dopo un iniziale approccio poco efficace, entra nelle grazie di entrambi i gruppi, riuscendo alla fine a scoprire il vero motivo del litigio e riportando la pace tra Ducks e Goose e anche nel quartiere.
In qualche modo la storia di Gagnor è una parodia di film e telefilm ambientati nelle strade americane sulle gang di giovani sbandati declinate però con la solita tranquillità disneyana e condite con una sottotrama di truffa edilizia tipica di ambientazioni in quartieri periferici. Gagnor, però, sfrutta la storia per portare avanti ancora una volta il discorso artistico de La storia dell'arte di Topolino, di cui questa Contesa del capannone potrebbe essere considerato in qualche modo uno spin-off (o un assaggio di future storie dedicate ai due argomenti del rap e dei graffiti, quelli moderni of course). Buoni i disegni di De Lorenzi, sia nella gestione dei personaggi, tratteggiati con tratto chiaro e inchiostrazione marcata, sia nelle ambientazioni, inchiostrate in maniera più leggera.

Aquaman, il film

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Settimana scorsa sono finalmente riuscito ad andare al cinema per vedere il tanto atteso Aquaman, la pellicola della Warner che porta sul grande schermo il re di Atlantide, uno dei supereroi della DC Comics.
La storia, come ben era evidente sin dal trailer, è basata sulla riscrittura del personaggio operata da Geoff Johns durante New 52, ma gli stessi sceneggiatori sembra si siano molto più che ispirati alle storie di Johns e in qualche modo si ha la sensazione che sia la stessa sceneggiatura del film a essere farina del sacco dello sceneggiatore DC Comics, anche se non gli è ufficialmente accreditata.
Ad ogni buon conto siamo di fronte a un film sfarzoso, con un'estetica in qualche modo non molto differente da quella di un videogioco fantasy (o da uno Star Wars) e una storia non molto differente per struttura: l'eroe, recalcitrante, viene coinvolto in una "cerca" che gli farà scoprire (o riscoprire) nuovi poteri e una forza che non era ovvio possedesse.
Jason Momoa ha indubbiamente il fisico adatto per interpretare Arthur Curry, in particolare la versione con barba e capelli lunghi che si è imposta nel corso degli anni Novanta del XX secolo. Il suo carattere da surfista completa una caratterizzazione basata su quella di un eroe che deve gestire, a volte mal volentieri, le responsabilità di essere a metà strada tra i due mondi dell'oceano e della terra ferma. Al suo fianco Mera, interpretata da Amber Heard, in qualche modo una sorta di Diana di Atlantide, che si fa carico della responsabilità della pace nonostante il suo stesso padre. In questo senso Aquaman si inserisce sulla stessa linea di Wonder Woman: non solo il protagonista è, come l'eroina delle amazzoni, diviso tra due mondi, ma deve anche combattere per poter essere a tutti gli effetti un ambasciatore della pace.
In qualche modo Aquaman e un po' tutti i film e i fumetti di supereroi rappresentano in maniera incredibilmente efficace il paradosso della società umana, di cui quella statunitense è un esempio lampante: l'inconciliabile necessità di dover combattere per mantenere la pace. No, non sta partendo il discorso anarco-libertario, tranquilli, ma è una semplice constatazione, che però rende spesso molto apprezzabili film come i due Ant-Man, che in pratica si concentrano su tematiche relativamente più leggere.
Questo non vuol dire che Aquaman non sia divertente o un brutto film, ma anzi riesce a soddisfare lo spettatore sia per quel che riguarda l'aspetto visivo, sia per quel che riguarda lo sviluppo della storia, con regista e sceneggiatori che sviluppanpo la vicenda con i tempi che ritengono necessari, accelerando o rallentando nei momenti più opportuni. Non sono, però, tutte rose e fiori: se alcune (poche) battute risultano un po' forzate, in particolare l'accompagnamento musicale è sembrato spesso fuori luogo, oltre a risultare uno scimmiottamento del riff coinvolgente e travolgente ideato per Wonder Woman. Inoltre, nonostante Atlantide e molte delle civiltà sue coeve sono sprofondate negli oceani, lo spettatore più pignolo (presente!), mentre Orm, interpretato da Patrick Wilson, schiera l'esercito atlantideo sul fondale oceanico, si chiede come sia possibile sott'acqua costruire sottomarini da guerra così sofisticati. Poi, però, la battaglia inizia e la domanda, letteralmente, si scioglie nell'acqua!
Molto gradevole e divertente, invece, la parte alla Indiana Jones che a mio parere dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, come George Lucas sia uno degli autori più influenti nel genere supereroistico moderno, pur non avendo mai scritto o girato nessun film ascrivibile a tale genere.

Le grandi domande della vita: Il mondo esatto delle particelle

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Per questa nuova puntata de Le grandi domande della vita la fa da padrone la fisica delle particelle, cui si aggiunge la matematica immaginaria e un'anticipazione del pi day, assolutamente necessaria come vedrete leggendo l'ultima sezione di questa puntata.
Solide certezze
Ricordate il famoso discorso di Richard Feynman? Quello che fa C'è tanto spazio lì sotto? Bene. Anche se non formulata esattamente in questo modo, una possibile conseguenza dell'affermazione di Feynman è quella di porsi la domanda su come mai, con così tanto vuoto nella materia, quella solida è, effettivamente, così solida, in particolare nel senso del tatto.
Una possibile risposta possiamo provare a darla utilizzando un articolo proprio di Feynman sulle forze all'interno delle molecole(1). Fondamentalmente l'idea è quella usuale: i nuclei di carica positiva sono circondati da nuvole di elettroni che orbitano intorno a essi. Gli atomi, in forza di queste nuvole elettroniche che interagiscono tra loro grazie al movimento degli elettroni, tendono a costituire dei legami, sostanzialmente retti dalla legge di Coulomb, grazie all'attrazione che le nuvole elettroniche esercitano sui nuclei. In qualche modo, dunque, sono ad esempio le nuvole elettroniche dei nostri elettroni esterni che vengono respinte dalle nuvole elettroniche degli elettroni esterni ad esempio della tastiera dove sto scrivendo, rendendo la tasiera stessa impenetrabile dalle mie dita.
Immagina. Puoi!
Mi sono reso conto che non ho mai raccontato molto sui numeri immaginari. Per cui colgo l'occasione della richiesta di risoluzione dell'equazione $x^2 + 16 = 0$ per parlare di questi particolari numeri.
L'equazione di cui sopra, infatti, ha una risoluzione non molto difficile. Vediamone i passaggi: \[x^2 = -16\] \[x = \sqrt{-16}\] A questo punto, proprio come farebbe un matematico greco, ci fermeremmo ricordandoci che per anni ci hanno insegnato che non è possibile estrarre la radice quadrata da un numero negativo. Più o meno la stessa cosa era sul punto di fare anche Erone di Alessandria, che durante i suoi calcoli per trovare il volume di una sezione piramidale, si era imbattuto proprio in qualcosa del genere. Erone fu molto vicino dallo scoprire (o inventare) i numeri negativi: per aggirare il problema, infatti, decise di far sparire il segno negativo.
Passano i millenni e nel 1545 sull'Ars Magna di Girolamo Cardano si trovano le soluzioni delle equazioni cubiche e quartiche. Una delle soluzioni contenute nel libro è $5 \pm \sqrt{-15}$. Cardano così commenta il suo risultato:
Lasciando da parte le torture mentali e moltiplicando $5 + \sqrt{-15}$ per $5 -\sqrt{-15}$, otteniamo $25 - (-15)$. Pertanto il prodotto è $40$ (...) e così lontano arriva la sottigliezza matemaica, per cui il fine è, come ho detto, così sottile da essere inutile.
Poi nel 1572 arriva un altro italiano, Rafael Bombelli che introdusse l'unità immaginaria $i$ e per primo descrisse l'algebra di quelli che oggi chiamiamo numeri complessi, ovvero costituiti da una parte reale e da una parte immaginaria. Qualcosa come $2 + 3i$.
I numeri immaginari e complessi non vennero molto utilizzati fino all'arrivo di due dei più geniali matematici di tutti i tempi, Leonhard Euler e Carl Friedrich Gauss, mentre fu Caspar Wessel a introdurre la loro descrizione geometrica come punti su un piano costituito da un asse dedicato ai numeri reali e un asse dedicato ai numeri immaginari. Successivamente arrivò William Rowan Hamilton con i quaternioni, ma questa è una storia che ho già raccontato.
Quindi siamo pronti per fornire la soluzione all'equazione da cui siamo partiti: \[x = \pm 4i\]
Le particelle di Weyl
Esistono, più o meno anche in natura, tre tipi differenti di fermioni, quelli di Dirac, quelli di Majorana e quelli di Weyl. Per cui è più che legittimo chiedersi quali siano le differenze tra queste tre tipologie. Facendola il più semplice possibile, sia i fermioni di Majorana sia quelli di Weyl nascono da modifiche all'equazione di Dirac, che a sua volta è una delle due versioni relativistiche dell'equazione di Schroedinger. In particolare Majorana determinava soluzioni che avevano come conseguenza l'esistenza di una particella neutra che è al tempo stesso la propria anti-particella. Weyl, invece, con l'omonima equazione, descisse una particella di spin semi-intero priva di massa(2).
In effetti non è mai stata osservata una particella fondamentale con le caratteristiche di quella di Weyl, ma fermioni di Weyl possono emergere come quasiparticelle in sistemi di materia condensata a bassa energia. Prima di aggiungere altri dettagli val bene spendere un paio di parole sulle quasiparticelle facendo un esempio: un elettrone che si muove all'interno di un semiconduttore, può essere descritto o come l'elettrone stesso disturbato dagli elettroni e dai nuclei del semiconduttore, o come un elettrone libero con una massa differente rispetto a quella nota. In quest'ultima descrizione l'elettrone è una quasiparticella.
Detto ciò, la prima osservazione di un fermione di Weyl è avvenuta nella seconda metà del 2015(3), quando il fermione di Weyl è risultato abbinato a un arco di Fermi, ovvero una zona di densità nulla all'interno di un superconduttore. L'osservazione era stata preceduta l'anno prima da un lavoro teorico che suggeriva come utilizzare l'arsenide di tantalio per la realizzazione di uno stato di fermione di Weyl(4).
I fermioni di Weyl potrebbero essere utilizzati nell'elettronica grazie alla loro grande mobilità o, come fatto nel 2017 da un gruppo di ricerca dell'Università di Vienna(5), per sviluppare dei nuovi materiali.
L'esattezza di $\pi$
Iniziamo a entrare nello spirito del pi day, che sarà tra poco più di due mesi, con una bella domanda dedicata, ovvero se $\pi$ è un numero esatto o inesatto. Per una volta ho provato a rispondere direttamente su Quora e dunque vi propongo esattamente quella risposta:
Partiamo dalla definizione di numeri esatti e inesatti, presa da una presentazione on-line. Un numero si dice esatto se il suo valore è fornito senza incertezza, ovvero se è noto in maniera esatta. Ad esempio ci sono esattamente dodici oggetti in una dozzina, non 12.01 o 11.99. Oppure in una stanza ci sono 7 persone, mai 6.99 o 7.03.
Un numero inesatto è un numero il cui valore è noto con un certo grado di incertezza. Si parla di numeri inesatti ogni volta che si compie una misura. Un esempio di numero inesatto è la massa dell'elettrone: conosciamo il suo valore con una certa incertezza.
Quindi possiamo dire di non conoscere il valore esatto di $\pi$, ma non possiamo affermare che $\pi$ è un numero inesatto, perché non possiamo fornire alcuna incertezza sul suo valore.
In ogni caso $\pi$, in quanto costante, non possiede incertezza, quindi possiamo dire che $\pi$ è un numero esatto.
D'altra parte, il valore di $\pi$ calcolato sperimentalmente è un numero inesatto. Ad esempio possiamo calcolare $\pi_{exp}$ misurando il raggio e la circonferenza di un cerchio, e poiché entrambe le due misure hanno un'incertezza, anche $\pi_{exp}$ ha un'incertezza, e quindi $\pi_{exp}$ è un numero inesatto.

L'impatto della guerra sulla società: la battaglia di Antietam

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Articolo aggiornato con l'aggiunta dell'immagine e una sistemata a link e formattazione dopo la prima, frettolosa pubblicazione
La battaglia di Antietamè una delle più importanti delle guerre civili statunitensi. Combattuta il 17 settembre del 1862 presso Sharpsburg nel Maryland. E' considerata come una delle battaglie più importanti della guerra civile, poiché, pur se costituì un pareggio militare, diede all'Unione un primo vantaggio strategico e politico sulla Confederazione. Inoltre è anche considerata come la battaglia più sanguinosa tra quelle da un giorno. A fronteggiarsi erano George McClellan per l'Unione e Robert Lee per i Confederati. Le perdite furono ingenti per entrambi gli schieramenti: 12401 su 87000 (circa il 14%) per l'Unione, e 10316 su 45000 (quasi il 23%) per la Confederazione per un totale di 22717, circa il 17% dei soldati scesi in campo.
Il motivo per cui oggi vi scrivo due righe sulla battaglia Antietam e della guerra civile americana è semplice: come avrete notato ho iniziato a pubblicare contenuti a tema pi greco, non solo perché mi è capitata la domanda nella casella di posta elettronica, ma anche perché nei giorni scorsi ho messo un po' d'ordine tra le notizie pi greche dei Carnevali passati per ordinarle in un piccolo pdf, anche se lo scopo di tale ordinamento è leggermente differente dal desiderio di... ordine! E ordinando mi sono imbattuto in un articolo di Alessandra King per la sua ribrica Math for real su Mathematics Teaching in the Middle School. Da quell'articolo ho messo in piedi una breve ricerca che mi ha fatto finire sull'articolo della King dedicato proprio alla battaglia di Antietam(2). E così ecco la curiosità di capire se effettivamente questa battaglia è stata una delle più sanguinose.
Se prendiamo i numeri, ne calcoliamo le percentuali e le confrontiamo senza tenere conto della durata della battaglia, scopriamo che di battaglie ben più sanguinose ce ne sono state nel corso della guerra civile. Se però spalmiamo le percentuali su tutte le giornate di battaglia, scopriamo che non è solo la battaglia più sanguinosa tra quelle da un giorno, ma che potrebbe essere anche la più sanguinosa di tutte, sempre parlando in termini percentuali(1).
Sempre ispirato da quanto scritto dalla King nel suo articoletto didattico, ho provato a capire l'incidenza delle perdite sulla popolazione statunitense dell'epoca: le perdite totali, tra Unione e Confederazione, furono 787798 su una popolazione totale di 33.2 milioni di persone (fonte Wolfram Alpha), ovvero poco meno del 2.4% della popolazione statunitense. Per poter, però, valutare nel modo più completo l'impatto della guerra sulla società statunitense, si dovrebbe conoscere anche il tasso di occupazione della popolazione, dato che non sembra essere disponibile. Avrebbe potuto fornire qualche indicazione in più anche la distribuzione per sesso ed età della popolazione, ma anche in questo caso non ci sono dati disponibili.
Quello che possiamo dire è che oggi la popolazione nella fascia dai 18 ai 64 anni (quella dei lavoratori) è di 198.8 milioni di persone, su un totale di circa 324 milioni, ovvero all'incirca il 61%. Se supponiamo che tale percentuale non sia cambiata molto nel tempo, potremmo stimare la cifra della popolazione in età da lavoro in all'incirca 20 milioni di persone. La cifra reale è, probabilmente, molto più bassa, se consideriamo che molte delle donne delle fasce alte della società non lavoravano, ma tenendo per buona la cifra, le perdite della guerra civile ammontano a circa il 4%, una cifra che avrebbe permesso tranquillamente di far ripartire l'economia. Il problema della guerra, però, non è il post-, ma il pre- visto che durante questi momenti la politica tende ad arruolare in maniera più o meno coatta ampie fasce della popolazione, in particolare quella maschile. In questo caso, facendo una valutazione da considerarsi molto spannometrica (visto che non si sa quanti soldati hanno combattuto più di una battaglia), i due eserciti messi in campo hanno contato all'incirca 4.5 milioni di soldati, all'incirca il 14% della popolazione (e il 22.5% della popolazione potenzialmente lavoratrice, secondo la stima di cui sopra), cui andrebbero aggiunti i soldati arruolati ma che non sono scesi in battaglia e tutte le maestranze necessarie per assistere da ogni punto di vista logistico degli eserciti così ampi. In questo caso si può effettivamente affermare che la guerra civile ha inciso in maniera significativa sulla società statunitense dell'epoca.
Infine i calcoli delle perdite e del loro livello percentuale potrebbero avere nel caso di alcune campagne, degli errori dovuti a una mia stima personale legata a dati non sempre certi, come il numero di soldati effettivamente impiegati in battaglia o delle perdite reali. I dati sono stati estrapolati da en.wiki andando a leggere le pagine di tutte le battaglie ed escludendo quelle navali, a parte quelli per la battaglia di Antietam che ho preso da it.wiki.
  1. In termini assoluti, la battaglia più sanguinosa è stata indubbiamente la battaglia dei sette giorni con quasi 360000 perdite. 
  2. Alessandra King (2014). The Battle of Antietam. Mathematics Teaching in the Middle School. Vol. 19, No. 9, p. 576 doi:10.5951/mathteacmiddscho.19.9.0576 

Topolino #3296: Paperinik salva tutti

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Avendo dedicato la domenica del Caffé del Cappellaio Matto a Werner Heisenberg, visto il giorno della memoria, e rinviando così a lunedì l'usuale recensione di una delle storie di Topolino (non sono riuscito a pubblicarla ieri), ho deciso che anche su DropSea la recensione del resto del numero, decisamente poco memorabile, poteva attendere qualche ora per essere scritta e pubblicata.
Questione di...Signora in Giallo!
Marco Boscoè indubbiamente un abile sceneggiatore, ma anche uno di quelli che ti fa disperare: è al tempo stesso in grado di scrivere grandi storie o altre decisamente dimenticabili. A volte riesce, però, a porsi nel mezzo, con storielle abbastanza semplici spesso ispirate, come atmosfera e svolgimento, proprio al serial che cito nel titolo di questa sezione, La signora in giallo.
Non sfugge a questa catalogazione nemmeno la storia con Paperinik protagonista, La forza perduta, che si trova a sommario come seconda del numero, nonostante la splendida copertina di Andrea Freccero dedicata al più famoso alter ego di Paperino. Quest'ultimo, dopo non essere riuscito a provare a causa del rinculo la nuova pistola congelante di Archimede Pitagorico, decide di iscriversi in palestra per rinforzare i suoi muscoli, che secondo l'inventore sono la causa del mancato collaudo. Di ritorno dalla palestra, nei panni di Paperinik per fare prima, si imbatte in un forzutissimo criminale, che lo sconfigge facilmente. Inizia, così, un'indagine neanche troppo complessa che, tra un equivoco e l'altro, porta l'eroe alla cattura del criminale con in più un piccolo bonus.
Fondamentalmente la struttura è quella del tipico giallo da televisione, con l'aggiunta degli elementi tecnologici tipici delle storie di Paperinik, ma con una chicca interessante: Bosco, infatti, riesce a sviare molto bene il lettore, non tanto con la trama (abbastanza scontato l'equivoco congegnato dallo sceneggiatore), ma con gli indizi sulla vera identità dell'avversario di Paperinik, che pur se presenti, sono decisamente ben nascosti, anche grazie a Paolo De Lorenzi, disegnatore della storia, che evita di metterli in evidenza, come invece spesso avviene proprio in vari serial giallistici.
De Lorenzi, da parte sua, pur se alla prova con una storia di impianto classico, mostra in un paio di vignette le potenzialità del suo tratto, ad esempio con la quadrupla in cui il ladro forzuto esce dalla banca o con un primissimo piano sugli occhi determinati di Paperino. Aggiungo, infine, che lo stile di De Lorenzi, per costruzione dei personaggi e gestione delle espressioni, ricorda molto Franco Valussi, che tra le molte storie che ha realizzato nella sua carriera conta la serie Alla ricerca della pietra zodiacale di Bruno Sarda, dove si è alternato ai disegni con Massimo De Vita.
Pippo o Paperoga?
Il primo dubbio che ne L'invadente ammiratrice la caratterizzazione di Pippo sia stata troppo calcata su quella di Paperoga arriva alla sesta pagina della storia, quando l'amico di Topolino scambia un nome comune, intrepido, per un nome proprio, ribadendo alla donzella che diventerà l'ammiratrice del titolo, il suo nome, Pippo. La conferma, in qualche modo, arriva poi con le battute delle due pagine successive, che alla fine rendono la storia di Roberto Moscato decisamente sconclusionata, per riprendere il nome dell'aggeggio volante con cui si apre l'avventura, lo sconclusiottero.
I disegni, invece, sono affidati a Renata Castellani, che tutto sommato compie un buon lavoro: un tratto abbastanza classico, che però viene impreziosito da alcune chicche gradevoli, come un'ottima gestione delle espressioni (su tutte a titolo di esempio un intenso primo piano di Topolino nelle fasi finali) o le due ottime pagine d'azione che costituiscono il climax di una storia che obiettivamente è dimenticabile.
All'appello manca solo la storia d'apertura, L'ambiziosa trainsoceanica, di cui leggerete domani sul Cappellaio Matto, ma nel complesso il Topolino #3296 ha un solo merito: creare con la sua mediocrità una certa attesa per l'esordio della nuova serie ideata da Marco Bosco, Il conte di Anatrham.
Un'ultima stoccata prima di lasciarvi andare: la scelta di affidare alcune copertine a Freccero si sta rivelando nel complesso controproducente, visto che sia Orgoglio e pregiudizio sia la nuova serie in costume sono introdotte da due copertine obiettivamente dimenticabili di Alessandro Perina. Forse sarebbe il caso di dare maggior fiducia al tratto carpiano di Freccero.

Ritratti: Lewis Carroll

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Il 27 gennaio del 1832 vicino a Daresbury nel Cheshire nasceva Charles Lutwidge Dodgson, passato agli annali della cronaca letteraria con lo pseudonimo di Lewis Carroll, l'autore di Alice nel paese delle meraviglie.
La figura di Carroll è spesso presente non solo nella serie di articoli dei Rompicapi di Alice, che però pescano anche all'esterno del corpus carrolliano, ma anche su molti altri articoli di matematica ricreativa. D'altra parte il buon Dodgson ha scritto qualcosa come 256 lavori pubblicati in vita, lista che si allunga fino a 900 con materiale recuperato dai suoi archivi. Di questi 16 sono libri, di cui 6 per bambini e 10 dedicati alla matematica e alla logica, sebbene, come dimostra proprio Alice, la passione per la matematica e i rompicapi era ben presente anche nei suoi scritti per i giovani lettori.
Tutto questo corpus letterario è sostanzialmente frutto del molto tempo che Dodgson aveva a disposizione. La sua biografia, d'altra parte, è abbastanza scarna, come ricordava Warren Weaver in Lewis Carroll: mathematician pubblicato su Scientific American nell'aprile del 1956.
Nato in una famiglia dalla tradizione ecclesiastica, studiò a Oxford a partire dal 1850, dopo aver passato sei anni infelici nelle scuole pubbliche inglesi. Alla fine del 1852 ottenne il massimo dei voti in matematica e gli fu conferito uno studentship, l'equivalente di un fellowship attuale, a patto di rimanere celibe (cosa che, a quanto pare, fece solo formalmente) e prendere gli ordini sacerdotali. Ottenne il bachelorato in matematica nel 1854 e il master nel 1857. Nel frattempo nel 1855 gli venne assegnata una borsa di studio da venti sterline l'anno e fu nominato studente senior presso la Christ Church e successivamente docente di matematica presso l'università. Visse nel college di Tom Quad dal 1868 fino al 1898, anno della sua morte.
La sua vita accademica può essere riassunta così: insegnò matematica e nel frattempo divenne sottobibliotecario nel 1855, venne ordinato diacono nel 1861 e curatore della Sala Comune nel 1861.
I suoi contributi alla matematica, invece, a differenza di quel che si potrebbe essere portati a credere, non furono così incredibilmente fondamentali. D'altra parte vedeva con diffidenza la geometria non-euclidea, nonostante qualcuno veda nel party del Cappellaio Matto un riferimento ai quaternioni e nonostante in Curiosa Mathematica. Part I: A New Theory of Parallels Dodgson provò a sostituire il quinto postulato di Euclide, quello delle rette parallele che veniva "scartato" dalle geometrie non-euclidee, con uno di sua elaborazione.
I contributi più importanti furono, allora, sostanzialmente due: un piccolo lavoro legato al calcolo matriciale e soprattutto i suoi libri sulla logica: The game of logic e Symbolic logic, libro in due parti di cui la seconda ritrovata postuma, proprio quella da cui è tratto il rompicapo del coccodrillo.
Pioniere della logica moderna
In effetti i libri sulla logica di Carroll erano abbastanza interessanti anche per le capacità di divulgatore dello scrittore, senza dimenticare che fu il suo paradosso del barbiere a ispirare Bertrand Russell per il suo rivoluzionario lavoro sulle fondamenta logiche della matematica.
Una barbieria ha tre barbieri, A, B, e C. (1) A è infermo, quindi se lascia il negozio, B deve andare con lui. (2) I tre barbieri non possono allontanarsi insieme, quindi il loro negozio non sarà mai vuoto. Con queste due premesse, supponiamo che C esca. Allora segue che se A esce, per la premessa (2) B deve restare dentro. Però, per la premessa (1), se A esce, anche B deve uscire. Così la nostra supposizione che C esce ci ha condotto a una conclusione che sappiamo essere falsa. Quindi l'assunzione è falsa e C non può uscire. Questa, però, è una sciocchezza, poiché C ovviamente può uscire senza disobbedire a nessuna di queste restrizioni. C infatti può uscire ogni volta che A rimane. Quindi un ragionamento rigoroso da premesse apparentemente coerenti porta a due conclusioni mutualmente contraddittorie.
Russell ha provato ad aggirare la difficoltà asserendo che l'assunto "Se A esce allora B deve uscire" non è in contraddizione con "Se A esce allora B deve restare dentro". Secondo Russel entrambe le frasi possono essere vere nella condizione che "A resti dentro".(1) Ovviamente non è stato l'unico a sfidare il paradosso carrolliano, che era stato pubblicato per la prima volta sulla rivista Mind e che era nato come disputa logica nel 1893 tra Dodgson e John Cook Wilson.
Altro interessante paradosso esaminato da Carroll è il noto paradosso del mentitore:
Se un uomo dice "Sto dicendo una bugia" e dice la verità, egli sta dicendo una bugia, e perciò dice il falso, ma se egli dice il falso non sta dicendo una bugia, e perciò dice la verità.
E' interessante notare come la soluzione cui arriva Dodgson non sia molto differente da quella cui arrivano i logici moderni:
Il modo migliore per uscire dalla difficoltà sembra sia quello di sollevare la questione se la proposizione "Sto dicendo una bugia" si possa supporre ragionevolmente tale da riferirsi a se stessa come proprio oggetto.(2)
La sua conclusione era che la frase in oggetto non poteva riferirsi a se stessa, poiché avrebbe portato a un'assurdità, ma in generale l'autorefernzialità non è "malvagia" in quanto tale, poiché la frase "Sto dicendo la verità" non porta ad alcuna assurdità. In questo modo Dodgson supera la posizione di molti logici del XX secolo che escludevano in maniera categorica l'autoreferenzialità.
Dodgson, però, non si limita a ciò nella sua attività da logico, che per la maggior parte si è sviluppata nell'ultimo decennio della sua vita: nel 1896 aveva sviluppato una procedura per testare la validità logica delle frasi, di cui una similare sarebbe stata successivamente sviluppata (in maniera indipendente) da Leopold Löwenheim; nel 1894 utilizzava le tavole della verità, che sarebbero state comunemente utilizzate solo a partire dal 1920, per determinare le soluzioni di alcuni problemi logici; infine nel 1896 aveva sviluppato il metodo degli alberi che applica ad esempio nel precedentemente citato rimpicapo del coccodrillo. In pratica Carroll controllava
(...) se una conclusione ipoteticamente assunta come falsa, una volta congiunta con una serie di premesse assunte vere, avrebbe portato a una contraddizione o a una assurdità.(2)
In qualche modo, allora, si potrebbe affermare che Dodgson anticipò la logica moderna con la sua opera di scardinazione della logica aristotelica, ma non viene molto amabilmente considerato come un pioniere del campo essenzialmente per via dell'unico punto aristotelico della sua filosofia: enunciati del tipo "Tutti" asseriscono necessariamente l'esistenza dei loro soggetti, cosa che invece è comunemente negata all'interno della logica booleana. L'ironia della situazione è che i risultati di Carroll nel campo della logica sono abbastanza facilmente riconducibili all'interno della logica booleana.
  1. Warren Weaver (1956). Lewis Carroll: Mathematician. Scientific American, 194(4), 116-130. jstor:26171977 
  2. Bartley, W. W. (1972). Lewis Carroll's lost book on logic. Scientific American, 227(1), 38-47. jstor:24927382 

I rompicapi di Alice: Di arance e salsicciotti

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Era il 1611 quando Johannes Kepler si chiese quale era il modo migliore per ringraziare a costo zero (o il più basso pèossibile) il suo munifico mecenate, Johannes Matthaus Wacker von Wackenfels. Decise di scrivere un libro e dedicarglielo: Il fiocco di neve esagonale.
Kepler partiva dall'osservazione che i fiocchi di neve formavano cristalli di simmetria esagonale(1). La domanda aleggia già nell'aria: perché questa simmetria?
La risposta dell'astronomo e matematico era molto semplice: la simmetria esagonale è il modo più efficiente di accostare cerchi in un piano(1).
Ovviamente Kepler non si limitò solo ai cerchi nel piano, ma si chiese se anche con le sfere esisteva una qualche regola analoga. Di fatto per impilare oggetti di forma sferica, come le palle di un cannone o le arance, si possono in principio utilizzare tre impacchettamenti regolari: esagonale, cubico e cubico a facce centrate.
Il primo lo si ottiene impilando uno sull'altro strati di sfere a loro volta impacchettate con simmetria esagonale. In questo caso i centri delle sfere si ritrovano esattamente uno sull'altro. L'impacchettamento cubico è analogo a quello esagonale, con la differenza che ogni strato è impacchettato con la simmetria di un quadrato. E i centri sono sempre allineati uno sull'altro.
L'impacchettamento cubico a facce centrate è, invece, quello che applicano normalmente i fruttivendoli quando impilano le arance: ogni strato ha simmetria esagonale, ma lo strato superiore è incastrato nello strato inferiore facendo combaciare i centri delle sfere superiori con i vuoti dello strato inferiore(1).
Anche in questo caso Kepler arriva alla conclusione che l'impacchettamento cubico e facce centrate è il più efficiente possibile. E entrambe le affermazioni di Kepler vennero dimostrate solo nel XX secolo.
La congettura della salsiccia
Prima di esaminare la prima dimostrazione, andiamo a esaminare un problema in qualche modo connesso con quello di impacchettamento di Kepler. Supponiamo di avere un certo numero di cerchi e di volerli circondare con la curva più breve possibile. Con sette cerchi la disposizione più ovvia sarà metterli uno attaccato all'altro e quindi disegnare una curva che li circonda, come la sezione di una salsiccia:
Supponendo per semplicità raggio 1 per ciascun cerchio, l'area racchiusa da questa curva risulta 27.141. Per ottimizzare la disposizione, però, possiamo disporre i cerchi con simmetria esagonale. In questo caso la curva che avviluppa i sette cerchi occuperà un'area inferiore, pari a 25.533:
Se però prendiamo sette sfere e le si avviluppa con la superficie che occupa il volume più piccolo possibile, la soluzione è quella di realizzare un vero e proprio salsicciotto. E questa forma risulta la più efficiente fino a un massimo di 56 sfere. Con 57 sfere la forma diventa leggermente più bombata.
Visto che i matematici, trovato un problema, tendono a generalizzarlo, anche perché con qualcosa bisognerà pur divertirsi ogni tanto, allora si inizia a studiare casi analoghi in dimensioni superiori. Ci si aspetterebbe che aumentando il numero delle dimensioni, il numero di sfere n-dimensionali che si dispongono in maniera più efficiente secondo i termini del problema iniziale nella forma a salsicciotto diventi sempre più grande. Peccato che nel 1975 Laszlo Fejes Toth, matematico ungherese che occupò buona parte della sua attività a studiare gli impacchettamenti, ha formulato la così detta congettura della salsiccia(2), secondo la quale, per dimensioni uguali o superiori a 5, la disposizione delle ipersfere che occupano l'ipervolume più piccolo possibile è sempre quella a salsiccia.
E visto che è una congettura, come potete immaginare, non è stata ancora dimostrata: il risultato migliore è stato raggiunto nel 1998 da Ulrich Betke, Martin Henk e Jorg Willis che hanno dimostrato la congettura di Toth fino alla dimensione 42 compresa(1).
Arance al mercato
Come ci aiuta tutto ciò per risolvere il problema di Kepler? Semplice: è sempre Toth che nel 1940(1) ha dimostrato che la disposizione migliore nel piano è proprio quella a simmetria esagonale(3).
Il problema, però, è quando si passa al caso tridimensionale. Il problema sta sempre nella generalizzazione: prendiamo la dimostrazione di Carl Friederich Gauss datata 1831. In quel caso il matematico tedesco dimostrò che la congettura di Kepler era vera nel caso di disposizioni regolari per il primo strato. Peccato che esistono un'infinità di disposizioni irregolari e ciò rende la dimostrazione particolarmente difficile.
La stessa storia della dimostrazione della congettura è particolarmente difficile: nel 1953 Toth(4) (sempre lui!) mostrò che il problema poteva essere ridotto a un numero finito, per quanto grande, di calcoli. Questo implicava l'esistenza di una dimostrazione per esaurimento e su questo fatto puntò Thomas Hales, che mise in campo le possibilità offerte dai moderni calcolatori elettronici. Aiutato dallo studente Samuel Ferguson, Hales completò la dimostrazione nel 1998, tutta basata su calcoli numerici, ovvero sul verificare tramite un apposito algoritmo tutte le possibili disposizioni di sfere intorno ad altre sfere.
Visto che i matematici non sono mai contenti e non si accontentano dell'articolo del 2005 dove Hales pubblicò la parte non computazionale della sua dimostrazione, nel gennaio del 2003 annunciò la partenza di un progetto collaborativo per realizzare una dimostrazione formale completa della congettura di Kepler. L'idea era quella di utilizzare anche in questo caso un software apposito in grado di verificare i passaggi della dimostrazione stessa. A dispetto della previsione di Hales, che riteneva l'impresa completabile in 20 anni, il progetto, denominato Flyspeck, concluse i lavori il 10 agosto del 2014, 9 anni prima del previsto. L'articolo in cui la dimostrazione viene presentata è stato successivamente pubblicato su Forum of Mathematics nel 2017(6).
Si conclude così la storia di uno dei 23 problemi del secolo identificati nel 1900 da David Hilbert, le cui difficoltà sono state ben raccontate dallo stesso Hales sulle Notices of AMS nel 2000(5).
Per cui ora non avete più scuse: anche la matematica ha dimostrato che la migliore disposizione delle palline da biliardo della vostra collezione è quella delle arance del fruttivendolo. Correte a metterle in ordine!
  1. Ian Stewart (2010). La piccola bottega delle curiosità matematiche del professor Stewart. La biblioteca de Le Scienze
  2. Hajnal, A., & Tóth, L. F. (1975). Research problems. Periodica Mathematica Hungarica, 6(2), 197–199. doi:10.1007/bf02018822
    In effetti Hajnal ha semplicemente adattato in inglese il risultato di Toth. 
  3. Poiché buona parte della produzione di Toth ha titoli in tedesco, non sono riuscito a capire quale dei suoi articoli del 1940 fosse quello corretto, ma di certo nel 1950 è uscito un articolo in inglese nel quale ottiene lo stesso risultato narrato da Ian Stewart:
    Tóth, L. F. (1950). Some packing and covering theorems. Acta Sci. Math. Szeged, 12(A), 62-67. 
  4. Fejes Tóth, L. (1953), Lagerungen in der Ebene, auf der Kugel und im Raum, Die Grundlehren der Mathematischen Wissenschaften in Einzeldarstellungen mit besonderer Berücksichtigung der Anwendungsgebiete, Band LXV, Berlin, New York: Springer-Verlag 
  5. Hales, T. C. (2000). Cannonballs and honeycombs. Notices-American Mathematical Society, 47(4), 440-449. (pdf
  6. Hales, Thomas; Adams, Mark; Bauer, Gertrud; Dang, Tat Dat; Harrison, John; Hoang, Le Truong; Kaliszyk, Cezary; Magron, Victor; McLaughlin, Sean; Nguyen, Tat Thang; Nguyen, Quang Truong; Nipkow, Tobias; Obua, Steven; Pleso, Joseph; Rute, Jason; Solovyev, Alexey; Ta, Thi Hoai An; Tran, Nam Trung; Trieu, Thi Diep; Urban, Josef; Vu, Ky; Zumkeller, Roland (29 May 2017). "A Formal Proof of the Kepler Conjecture". Forum of Mathematics, Pi. 5: e2. doi:10.1017/fmp.2017.1 

Fare astronomia con poco

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E' notizia recente la scoperta da parte di un gruppo di astronomi giapponesi di un planetesimo del diametro di circa 1.3 km. L'importanza della notizia non risiede solo nell'osservazione del planetesimo in se o dell'uso del metodo dell'occultazione, ma degli strumenti utilizzati: un paio di telescopi amatoriali posti sul tetto di una scuola. Un ottimo spot per l'astronomia, che potrà andare a chiedere fondi anche per progetti a poco costo. Poi gli verrà risposto qualcosa del tipo: i fondi per comprare i telescopi amatoriali ci sono, quelli per gli stipendi no, ma tanto visto che fate tutto con poco, va bene lo stesso, vero?
Arimatsu, K., Tsumura, K., Usui, F., Shinnaka, Y., Ichikawa, K., Ootsubo, T., … Watanabe, J. (2019). A kilometre-sized Kuiper belt object discovered by stellar occultation using amateur telescopes. Nature Astronomy. doi:10.1038/s41550-018-0685-8 (4shared)
P.S.: avrei voluto scrivere un articoletto più dettagliato e non questo trafiletto un po' avvelenato, ma leggendo meglio la news (che questa mattina ho visto in maniera superficiale) e l'articolo stesso, mi è poi partito l'embolo, partorendo le righe che avete letto. E senza nemmeno il pentimento di condividervi di straforo l'articolo stesso.

Il postulato di Weyl

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Hermann Weyl non si è occupato solo di particelle, ma anche di universo, formulando un postulato che prende il suo nome. Il postulato stabilisce che le traiettorie di osservatori speciali, identificati con le galassie, formano dei fasci di linee che non si intersecano tra loro. Di conseguenza esiste un'unica linea che attraversa ogni punto dello spazio e del tempo.

Nella figura a destra le traiettorie sono distribuite in un modo semplice e ordinato, senza intersecarsi. Nella figura a sinistra, invece, le traiettorie sono disordinate e le intersezioni consentite. In questo caso non è possibile identificare una traiettoria unica che congiunge due punti dello spaziotempo, a differenza del caso precedente.
Le galassie si muovono come nel caso ideale e per ognuna di esse si può identificare un osservatore unico. Tali osservatori sono detti osservatori fondamentali.
Illustrazione e bibliografia: Elements of Cosmology di Jayant V. Narlikar

Giuseppe Peano e il tacchino di Bertrand Russell

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Un giorno il logico e matematico Bertrand Russell ideò la seguente storiella:
Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.

Giuseppe Peano - via commons
L'idea di Russell era quella di criticare il metodo induttivo, in cui una serie di inferenze positive successive è considerata sufficiente per trarre una legge più generale su quanto accade nel mondo. Cardine del pensiero filosofico positivista, oltre a cozzare con la pratica sperimentale usuale in scienze come la fisica o la chimica, si scontra anche con il principio di induzione formulato nel 1889 da Giuseppe Peano nei suoi Arithmetices Principia. Peano elaborò cinque assiomi con lo scopo di definire l'insieme dei numeri naturali. Si dimostra che il quinto assioma è equivalente al principio di induzione e afferma che se una certa proprietà $P$ vale per $0$ e per un dato $n = k$, con $k$ numero naturale, e se essendo vera per $n$ è vera anche per $n+1$, allora la proprietà $P$ è vera per ogni numero naturale uguale o maggiore di $k$.
Su questo principio si basa la dimostrazione per induzione, che è cosa molto diversa e molto più solida del metodo per induzione dei positivisti.

Topolino #3297: Il conte di Anatrham e altre storie

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In linea con l'alternanza di qualità che sta caratterizzando questi ultimi numeri di Topolino, il #3297 propone un sommario di livello superiore a quello della settimana scorsa e non solo grazie all'esordio de Il conte di Anatrham, storia in costume ambientata nella Gran Bretagna del 1906 scritta da Marco Bosco per i disegni di Nico Picone.
Una società in cambiamento
Libero dal dover necessariamente seguire una parodia specifica con la quale confrontarsi, Bosco nel complesso realizza un ottimo primo episodio dove pone le basi per la vicenda in divenire, ricca di molti spunti interessanti, primo su tutti la trasformazione sociale ed economica della società. Da un lato c'è la sempre maggiore apertura finanziaria ai mercati stranieri, che in qualche modo non va molto a genio agli industriali locali: di fatto la borsa così come la intendiamo noi è nata in Francia nella prima metà del XIX secolo, sebbene le società per azioni esistevano sin dal XVII secolo, sempre create in Francia. In questo senso Paperon Pound rappresenta, in maniera un po' inconsueta, il vecchio mondo ancorato ai suoi privilegi: il personaggio, modellato sul primo Paperone barksiano e in parte su quello martiniano, non sembra gradire di buon occhio i crescenti successi di una nuova società misteriosa e dell'arrivo dell'erede del conte Basil Quackley, che sta arrivando dagli Stati Uniti per prendere il controllo del patrimonio. In questo senso è significativa la battuta che Paperon pronuncia all'uscita dallo studio del notaio di Quackley.
Interessante, poi, la relazione di parentela tra Puond e Quackley: sono cognati. La definizione di questo statusè la seguente:
Fratello, o sorella, del coniuge, o coniuge del fratello o della sorella.
il che vorrebbe dire che ci dovrebbe essere una qualche moglie da qualche parte. Direi che questo dettaglio potrebbe non essere trascurabile, considerando che negli episodi successivi potrebbe entrare in gioco Brigitta nel ruolo di Lady Brygitt, anche in questo caso in cerca di un buon partito. La speranza è che, ovviamente non si perda per strada (non Brigitta, ma l'aleggiante presenza di una moglie!). Inoltre la presenza/assenza di Basil Quackley promette uno spunto interessante su un possibile finale aperto per la serie.
Altro personaggio interessante è Paperina Quackley, che rappresenta la crescente anima femminista dell'epoca. Il movimento femminista, che ha le sue radici nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791 redatta da Olympe de Gouges e dedicata a Maria Antonietta, vedeva all'epoca l'attivismo delle suffragette, nate nel 1897 grazie all'impegno di Millicent Garrett Fawcett proprio in Inghilterra. Bosco combina i movimenti femministi con il tema economico proponendo uno spunto interessante e in qualche modo inconsueto, soprattutto considerando l'epoca di ambientazione della storia. Questo permette un utilizzo di Paperina molto meno scontato e molto più interessante del solito, dimostrando ancora una volta che Bosco è uno dei pochi sceneggiatori a riuscire a rappresentare il personaggio in maniera meno banale rispetto alla media.
Tra gli altri personaggi, spendo giusto due parole su Quentin, Quintin e Quinton: Bosco, con un colpo d'arguzia decisamente raro, recupera la caratterizzazione più antipatica del trio, tre discoli in continuo movimento che si completano le frasi a vicenda emettendo parole a turno.
Il resto dei personaggi spero di approfondirlo nei successivi episodi, ma nel frattempo una lode su questo primo episodio e l'ottimo utilizzo degli attori disneyani messi in campo da Bosco, sì coerenti con il loro ruolo originario, ma comunque con qualche carta nascosta da giocare, pescata proprio dalla loro lunga storia editoriale. Infine aver assegnato una storia a episodi di Bosco a Nico Picone dimostra anche quanto la crescita di questo bravo disegnatore stia proseguendo in maniera spedita. Epigono di Stefano Intini, grazie a un tratto leggermente più tozzo risulta al tempo stesso riconoscibile rispetto al suo maestro. E lo stesso disegnatore sembra puntare soprattutto su queste differenze piuttosto che sulle similitudini, che pure sono tante e riemergono fortemente in particolare nelle architetture e nelle ambientazioni e in alcuni dei personaggi di contorno.
Atmosfere alla Mickey Mouse Mystery Magazine.
Il soggetto di Topolino nel mirino sarebbe stato perfetto per la mitica Mickey Mouse Mystery Magazine: Topolino, come al solito impegnato in un'indagine al fianco di Basettoni, diventa testimone nel processo a un importate imprenditore topolinese; così, per proteggerlo dagli attacchi dei sottoposti dell'imprenditore, il nostro eroe entra nel programma di protezione dei testimoni.
Alessandro Sisti propone ai lettori un quasi-procedurale: l'assenza dell'ufficio del procuratore in qualche modo non permette una completa identificazione della storia in quel sottogenere del thriller (o del giallo, per dirla all'italiana). Se vogliamo è l'unica mancanza in una storia decisamente originale per il settimanale, visto che il tema non è mai stato affrontato (almeno non in questi termini). Inoltre Sisti riesce a sviluppare una vicenda quasi spiazzante anche per l'usuale appassionato del genere, trasformando la SWAT nella meno letale ma altrettanto efficiente SPLAT.
I disegni di Marco Palazzi, ordinati e puliti grazie al tratto classico del disegnatore, risultano in qualche modo ingabbiati dalla griglia classica, come mostra la 14.ma pagina della storia, unica vera uscita dalla struttura usuale delle storie topolinesche. Forse, per l'occasione, si sarebbe potuto osare di più con una costruzione della pagina più vicina a PKNE: il sospetto che l'indicazione sia originata più dalla redazione che dagli autori nasce proprio dal fatto che comunque, Palazzi, ha provato questa soluzione sia nella pagina indicata sia, in maniera un po' più timida, all'inizio della 16.ma pagina.
Certo tutto ciò non inficia la bontà del prodotto finale, ma avrebbe impreziosito Topolino nel mirino, soprattutto se la confrontiamo con il modo più libero con cui Francesco D'Ippolito ha giocato con la griglia nella più che mediocre Ammirazione a percussione, storiella di Gabriele Panini ambientata nel mondo dei Wizards of Mickey con Gambadilegno protagonista e che ho letto pensando alla continuity interna della serie, ma che non credo continuerò a leggere (le storielle di Panini, non la serie principale).
Mania collezionistica
Ultima menzione, in un numero come detto ricco, va a Lo spirito del collezionista, gag story di Enrico Faccini che vede Paperino andare in giro alla ricerca dell'ultimo numero dell'agognata rivista Flic & Floc. Faccini, come spesso accade nelle sue storie da autore completo, segue fedelmente la lezione barksiana: la vicenda, dall'antefatto esplicativo, è un alternarsi di piccole gag più o meno efficaci che però nel complesso ottengono una somma armoniosa, gradevole e divertente fino all'effetto comico finale che spinge il lettore a leggere l'ultima battuta ad alta voce!
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