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E poi venne l'Alghoritm

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Come avevo scritto, Machine sin da quei pochi secondi di ascolto era diventato uno dei singoli dell'ultimo cd degli Imagine Dragons più atteso per le sonorità alla Muse che sembrava promettere. Se la promessa è stata mantenuta abbastanza, visto che un gruppo non può dimenticare il suo stile distintivo, l'uscita definitiva di Simulation Theory, ampiamente anticipato da più di un anno con l'uscita del video di Dig Down, toglie qualunque dubbio: non c'è nessuno come i Muse!
Si potrebbe dire che è il fan che è in me a "parlare", ma quando la prima traccia di Simulation Theory ricorda in maniera tremendamente forte l'attacco di Absolution, in particolare Apocalypse Please, vuol dire che siamo di fronte a un album che al tempo stesso torna alle origini e proietta in avanti il gruppo, vista la forte commistione tra sonorità elettroniche, influenze anni Ottanta e arrangiamento orchestrale. Basta allora ascoltare proprio Alghoritm per rendersene conto:

Il resto del CD è un mix di sonorità e generi, un omaggio alla musica degli eighties, ma non solo. Emblematico, in questo senso, è Propaganda, che parte come un pezzo alla Prince per poi proporre una sezione in stile country esaltata nella versione acustica:

La chicca di tutto il progetto Simulation Theoryè che non è solo un concept album, ma persino i video rilasciati costituiscono una storia unica dallo stampo squisitamente dickiano e cyberpunk. D'altra parte fu lo stesso Philip Dick a suggerire l'ipotesi che viviamo in un universo simulato all'interno di una serie di universi paralleli anch'essi simulati. Per maggiori informazioni potete dare un'occhiata su simulation hypothesis e simulated reality, dove peraltro si trova un breve racconto del filosofo cinese Zhuangzi, Butterfly Dream, Il sogno della farfalla:
Once Zhuangzi dreamt he was a butterfly, a butterfly flitting and fluttering around, happy with himself and doing as he pleased. He didn't know he was Zhuangzi. Suddenly he woke up and there he was, solid and unmistakable Zhuangzi. But he didn't know if he was Zhuangzi who had dreamt he was a butterfly or a butterfly dreaming he was Zhuangzi. Between Zhuangzi and a butterfly there must be some distinction! This is called the Transformation of Things.
- traduzione di Burton Watson

Cosmic Mission: Kerbal Space Program a Milano - giorno 2

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Oggi pomeriggio gli insegnanti milanesi che hanno aderito alla proposta di portare in classe Kerbal Space Program sono giunti per il secondo incontro sul videogioco. In effetti è stato un pomeriggio abbastanza concentrato dove, utilizzando in gruppetti il videogioco, hanno portato a termine alcuni contratti fatti insieme in parallelo mentre sul mio portatile mostravo la costruzione del razzo, i comandi, come controllare il razzo quando è acceso il motore a combustibile liquido, cercando anche di fornire possibili spunti didattici. Fase delicata, come sempre, è l'apertura del paracadute nel momento più opportuno, e in effetti qualche astronauta non ha fatto una buona fine, ma per fortuna basta tornare indietro al momento del lancio o della costruzione del razzo per avere nuovamente disponibile lo sfortunato kerbaliano che si è sacrificato per permetterci di imparare a controllare ogni fase della missione.
Devo dire che in classe c'era un buon interesse e un deciso entusiasmo, con gli "studenti" che hanno anche provato qualcosa in autonomia rispetto a quanto mostrato sullo schermo, come variazioni sulla costruzione di base o provare contratti che non avrei avuto il tempo di mostrare. Inoltre coloro che non avevano il computer davanti partecipavano con suggerimenti alla costruzione del mio razzo e si lasciavano trascinare dai destini del razzo che lanciavo o dai razzi dei vicini. Ovviamente non sono mancate domande, che sono sempre il polso per capire se una "classe" non solo mostra interesse, ma prova sul serio a mettere in pratica quanto si sta imparando. Quindi, come già a Napoli (giorno 1, giorno 2, giorno 3), anche qui a Milano KSP sembra aver catturato "gli insegnanti qui convenuti".
Al percorso manca l'incontro di lunedì prossimo, facoltativo, dove proverò a farli mettere in orbita prima intorno a Kerbin, quindi intorno a Mun, la prima delle due lune del pianeta. Sarà una bella sfida prima di lasciar loro provare il gioco in autonomia fino a gennaio.


Topolino #3287: La solita routine

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Il numero successivo ai festeggiamenti per il 90.mo di Topolino, pur avendo nel suo sommario la terza puntata della storia celebrativa scritta da Francesco Artibani per la Egmont, perde il logo ufficiale del compleanno e torna più o meno alla solita routine, con un sommario ricco di paperi, con l'unica eccezione della saga di Artibani e di una storia dedicata a Indiana Pipps. In questo caso, però, almeno la situazione migliora rispetto al solito, visto che l'avventura ha una lunghezza comparabile con le storie principali del numero, inclusa la prima puntata di Droidi, nuova saga pikappika di Alessandro Sisti e Claudio Sciarrone.
Iniziamo, però, con la storia d'apertura del numero:
Tre papere irresistibili
Limitandosi agli sceneggiatori maschili, l'autore che più di tutti, in particolare nell'universo papero, si è soffermato sulla parte femminile è indubbiamente Marco Bosco. Indubbiamente confrontando le sue storie con altre simili scritte da sceneggiatrici (la prima che mi viene in mente è Francesca Agrati) risultano abbastanza efficaci e moderne. Più o meno in punta di piedi anche Vito Stabile, seguendo come nume ispiratore Rodolfo Cimino, prova a esplorare questa parte dell'universo papero e con la storia disegnata da Daniela Vetro si concentra sul trio Paperetta Yé-Yé, Paperina e Nonna Papera.
L'idea della storia è semplice: le tre papere, ognuna "gelosa" per motivi differenti, cercano di riconquistare i favori della migliore amica, del fidanzato e del garzone di fattoria, "distratti" rispettivamente da una visita da fuori città, un nuovo lavoro (peraltro ben pagato) come autista di una star del cinema, e da una nuova vicina dalla passione culinaria. Allo scopo le tre intraprendono la ricerca della leggendaria fonte dell'irresistibilità, ma non è tanto la ricerca della fonte a interessare Stabile, quanto le sue conseguenze.
Dei tre personaggi, il migliore risulta proprio Paperetta: mentre Paperina risulta ripiegata come sempre sul solito cliché della donna che vuole che il suo fidanzato abbia solo occhi per lei, anche a scapito del lavoro (cosa che Paperina ha effettivamente fatto in varie occasioni, prima fra tutte la barksianaPaperino estetista travolgente), Nonna Papera si mostra incredibilmente poco saggia e credulona laddove in altre occasioni, anche (e soprattutto) in storie ciminiane, si è mostrata un "porto sicuro" dove ottenere consigli. Il personaggio di Elvira Coot ha, in effetti, grandi potenzialità, ma è un vero peccato che al momento al di fuori di Bosco siano state rare le occasioni per avere un approfondimento che raggiungesse il livello di Nonna Papera Story, peraltro non accreditata ad alcun sceneggiatore specifico.
A questo c'è da aggiungere anche una Daniela Vetro non efficace come in altre occasioni: in particolare i personaggi sembrano, in molte occasioni, disegnati di fretta e con poca cura. Per rendersene conto basta confrontare la copertina con la vignetta a essa ispirata.
Nel complesso una storia leggera, tutto sommato non brutta, ma che forse non meritava l'apertura del numero.
Una giungla tropicale scozzese
Alla ricerca del perduto laboratorio di un alchimista scozzese, Indiana Pipps insieme con un gruppo di criminali che lo hanno rapito allo scopo, si ritrova a vivere un'avventura esotica nel bel mezzo della fredda Scozia dove incredibilmente cresce una vera e propria foresta tropicale. Ovviamente se ci dimentichiamo per un attimo che tale foresta sarebbe nata dall'opera di un alchimista, la storia di Gabriele Panini risulta abbastanza gradevole come lettura e veloce come ritmo, anche se forse in alcuni punti un po' scontata.
I disegni di Ettore Gula, rotondi e gradevoli, molto simili, anche vista l'ambientazione, ai disegni dell'anonimo autore del Comicup Studio che ha realizzato Il mondo dei luoghi comuni, mostrano nel finale una piccola perplessità: il finale della storia si apre con la didascalia
Tempo dopo, alla più vicina stazione di polizia...
e visto che siamo in Scozia risulta abbastanza incredibile trovarsi di fronte a un poliziotto americano. E' indubbiamente un dettaglio, che però in un mondo sempre più ricco di serie televisive provenienti da varie parti del mondo, potrebbe saltare agli occhi anche di un bambino di oggi e non solo di un adulto.
Tra Dick e Scott
Come scritto nell'introduzione, arriva su questo numero la prima puntata della nuova storia pikappika. Prendete allora questa sezione anche come una sorta di appunti in vista della più che probabile recensione totale che, si spera, verrà successivamente pubblicata su LSB.
Come al solito Sisti realizza una storia temporale, con Paperinik spedito nel 2179 al fianco del tempoliziotto Tyrrel Duckard alla ricerca di alcuni droidi fuggiaschi. L'ambientazione e l'atmosfera della storia sono indubbiamente un chiaro riferimento a Blade Runner, capolavoro di Ridley Scott tratto dal romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip Dick. Nel complesso la storia lancia una serie di spunti interessanti in cui Paperinik, ancora una volta, si trova coinvolto in un complesso intrigo in cui la verità non è solo ben nascosta, ma persino egli stesso potrebbe non essere chi crediamo che sia.
Ottimo il lavoro di Sciarrone ai disegni: riesce a rendere con efficacia l'ambientazione noir, in particolare gli esterni sotto la pioggia, e risulta particolarmente efficace nelle prime sei pagine grazie a una buona colorazione, probabilmente realizzata da una ditta esterna e supervisionata dallo stesso Sciarrone.

Cosmic Mission: Kerbal Space Program a Milano - giorno 3

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E oggi si è concluso il percorso di formazione con il videogioco Kerbal Space Program degli insegnanti milanesi. La giornata di oggi era facoltativa e dedicata alle operazioni per andare verso la Luna. In effetti i pochi insegnanti che sono venuti (una decina), hanno di fatto provato a costruire in modalità sandbox un razzo da mandare nello spazio per poi provare le manovre per realizzare l'orbita. Alla fine sono state realizzate un paio di orbite, la maggior parte dei razzi sono arrivati nello spazio, a parte uno che non si è capito bene per quale motivo, pur riuscendo a partire, perde di stabilità dopo pochi chilometri dallo stacco dalla superficie. Eppure il razzo sembrava assolutamente simile al razzo che avevo preparato per andare verso Mun!
Gli insegnanti giunti per l'ultimo giorno, però, hanno avuto una gradita sorpresa con l'arrivo di Samantha Cristoforetti che è passata a trovare gli "studenti", che ovviamente hanno chiesto una foto ricordo con la nostra astronauta. E ovviamente questa volta ero presente in una delle foto che sono state scattate:
Ovviamente la visita non ha distratto gli "studenti", che anzi hanno mantenuto l'entusiasmo verso l'impresa che veniva chiesta loro, senza dimenticare le domande di tipo didattico per avere spunti per portare il videogioco in classe. Ad esempio se è possibile calcolare quanto carburante portarsi dietro per raggiungere ad esempio lo spazio e magari provare a realizzare un'orbita intorno a Kerbin. Per fortuna KSP fornisce tutte le specifiche tecniche sia dei motori sia per le taniche di carburante, quindi basta utilizzare le informazioni sulla massa totale del razzo e dei vari stadi con l'equazione del razzo e le equazioni della balistica per avere un'idea più che sufficiente per capire se il razzo che abbiamo costruito ci permette di raggiungere lo scopo o se sono necessarie delle modifiche. Ciò che, come mostrato dall'esempio del razzo incontrollabile, è imponderabile è l'equilibrio del razzo e la sua controllabilità, che spesso dipende anche dal peso del razzo stesso e non solo dal numero e dalla simmetria degli elementi con cui lo stiamo costruendo, oltre che dalle condizioni atmosferiche.
In definitiva le difficoltà del videogioco sono molteplici ed è questo che lo rende molto interessante e appassionante.
Domani si replica a Bologna, dove giusto oggi iniziava il corso di formazione con la prima giornata. Sarò, dunque, all'Osservatorio di Bologna per la seconda e ultima giornata del corso, sperando che anche gli "studenti" bolognesi si riveleranno bravi e interessati quanto quelli napoletani e milanesi (ma le informazioni che mi sono arrivate direi che sono molto incoraggianti!). Per cui domani, sul tardi probabilmente, una chiusura completa dell'intera esperienza da Napoli a Bologna.

Cosmic Mission: Kerbal Space Program a Bologna

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Con oggi nella sede dell'Osservatorio di Bologna si è concluso il mio personale tour cosmico tra le sedi dell'INAF per i corsi di formazione legati al videogioco Kerbal Space Program e alla sua versione edu. Dopo la tre giorni a Napoli e il corso un po' spezzettato di Milano, la chiusura a Bologna è stata anch'essa nel segno dell'interesse e dell'entusiasmo. In questo caso il corso è stato tenuto da Sandro Bardelli che già ieri, mentre a Milano ci baloccavamo con razzi e orbite con un certo relax, strigliava i suoi "studenti" con una serie di concetti teorici che oggi sono stati completati con l'obiettivo di mostrare gli ultimi dettagli (come la registrazione dei dati di volo per la discussione in classe o la visione delle manovre orbitali legate alle posizioni radiali e normali al piano dell'orbita), da completare possibilmente con un... ammunaggio (la prima delle due lune di Kerbin si chiama Mun). Ho provato a fornire nella maniera più chiara possibile il modo di arrivare su Mun, quanto meno di programmare e gestire le manovre allo scopo (peraltro fatte in modalità carriera e in modo quasi manuale), e sono quasi riuscito ad arrivare sul satellite, ma essendo il mio primo tentativo, non sono riuscito a gestire nel modo migliore il carburante, finendo alla fine con una disintegrazione ignominiosa del pod. L'assalto alla superficie di Mun è solo rimandata, ma nel frattempo resta la soddisfazione di far parte di un progetto bello, appassionante e interessante e soprattutto la gioia negli occhi con cui tutti gli insegnanti sono andati via dai vari corsi, segno che l'idea può diventare vincente!


Una breve storia delle (poche) rilevazioni del bosone di Higgs

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A volte uscendo dall'ufficio si discute ancora di fisica con chi, come me, resta quasi fino alla chiusura di Palazzo Brera. E visto che si sa che sono un fisico teorico delle particelle, a volte succede che si discute di Modello Standard e, come questa sera, di bosone di Higgs. L'annuncio della scoperta avvenne nel luglio 2012 e visto che lavoro in un Osservatorio Astronomico, sorge inevitabile la domanda su misure indipendenti relative alla sua rilevazione e su quante volte sia stato osservato il bosone di Higgs dal 2012 in poi.
Nel caso di un esperimento così imponente e in assenza di un acceleratore di particelle in grado di rivaleggiare con l'LHC, l'idea per rendere solida la scoperta del bosone di Higgs è stata quella di ideare due rivelatori gestiti da due collaborazioni distinte, ATLAS e CMS, in modo da avere un esame distinto di dati più o meno differenti anche se provenienti dallo stesso run di misure (se preferite: dallo stesso giro di giostra delle particelle contenute nell'acceleratore).
Se questo forniva una verifica sulla scoperta, data dal fatto che sarebbe bastata l'assenza del segnale in uno qualsiasi dei due esperimenti per invalidare la scoperta nell'altro esperimento, la rarità di produzione del processo non poteva garantire osservazioni future. E così in effetti è stato per un certo periodo, anche a causa di un lungo stop per l'aggiornamento dell'acceleratore. In particolare, dopo la ripartenza del 2015, è esattamente di quest'anno una nuova osservazione del bosone di Higgs, in particolare del processo di decadimento di quest'ultimo in due quark, il top e l'antitop. I due quark, così come il bosone di Higgs, non vengono osservati direttamente, ma attraverso la ricostruzione statistica delle particelle che producono nel corso delle collisioni che avvengono in ogni istante nell'anello dell'acceleratore.
Certo, l'osservazione delle onde gravitazionali, che è stata peraltro messa in dubbio, in qualche modo risulta ancora più solida di quella del bosone di Higgs, ma avere una nuova rilevazione della particella responsabile del meccanismo con cui le particelle acquisiscono la loro massa (ricordo che ancora non si sa perché la massa dell'elettrone - e di tutte le altre particelle - è quella che è e non un'altra) è comunque qualcosa di prezioso, soprattutto se legata a un evento raro come il suo decadimento in una coppia di quark-antiquark.
Sirunyan, A. M., Tumasyan, A., Adam, W., Ambrogi, F., Asilar, E., Bergauer, T., ... & Flechl, M. (2018). Observation of t t¯ H Production. Physical Review Letters, 120(23), 231801. doi:10.1103/PhysRevLett.120.231801

Le grandi domande della vita: Dal Sole a Marte passando per i

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Come avrete notato DropSea ha subito un brusco rallentamento nella frequenza di pubblicazioni, e così pure l'amata (da un centinaio di lettori o qualcosa del genere) rubrica de Le grandi domande della vita. E anche se a sera tardi, giusto per non saltare il secondo mese di seguito, eccomi non proprio puntuale ma con una spinosa questione:
Il colore del Sole
Siamo tutti abituati ad associare il giallo come colore del Sole, perché è la frequenza che percepiamo quando proviamo a osservarlo per un fuggevole motivo. Eppure, se facciamo attenzione a un piccolo particolare, ci rendiamo conto quanto questa idea sia fallace. Basti pensare al famoso esperimento del prisma di Isaac Newton che mostrò come mettendo un prisma sul percorso di un raggio di luce bianca proveniente dal Sole si ottiene l'arcobaleno, ovvero la scomposizione della luce in tutte le sue frequenze.
D'altra parte c'è in giro gente che, rendendosi conto dalle fotografie diffuse dalla NASA e scattate fuori dall'atmosfera terrestre della colorazione bianca della nostra stella, scrive a tutto spiano che il Sole ha cambiato colore, confrontando le foto spaziali con le illustrazioni dell'antichità che tradizionalmente assegnano al sole colori accesi, come il giallo (soprattutto) e l'arancio, che sono anche i colori del fuoco. E tale associazione è anche culturalmente comprensibile, visto che il Sole, come il fuoco, ci riscalda.
Per chi è ancora piuttosto scettico, può essere interessante dare un'occhiata alle fotografie in What Color is the Sun?, in particolare a quella realizzata da Vasilij Rumyantsev che mostra come, ad altezze differenti del Sole sull'orizzonte, corrispondono colori percepiti differenti.
Un calcolo complesso
Visto che un po' di matematica non può mancare, anche se in una versione leggermente ridotta, vi propongo un'equazione complessa, ovvero determinare la soluzione dell'equazione \[x+i = i\] dove $i$ è l'unità immaginaria, ovvero $i = \sqrt{-1}$.
Facciamo un paio di calcoli: \[(1+i) x = i\] \[x = \frac{i}{1+i} = \frac{1+i}{2}\] Visto che la newsletter di quora mi ha anche proposto un classico su $1+1=2$, vi ricordo che ho affrontato la questione in una puntata speciale della rubrica dedicata a Ridi Topolino.
L'atmosfera su Marte
Vista la mia serie di articoli marziani sul canale instagram dell'Osservatorio Astronomico di Brera, mi sembra interessante provare a rispondere a una questione spinosa, che peraltro abbiamo anche affrontato durante la Notte dei Ricercatori 2018: come fu che Marte perse l'atmosfera.
Dai dati in nostro possesso, sembra che Marte abbia avuto tutti gli elementi per poter ospitare la vita, inclusa un'atmosfera. Oggi, però, essa è costituita soprattutto da anidride carbonica e da altri gas pesanti, mentre quelli più leggeri e fondamentali perché la vita così come la conosciamo possa prosperare sono praticamente assenti. Per cui deve esserci stato un evento nel passato che ha in qualche modo aiutato la perdita dei gas leggeri del pianeta rosso. Le ipotesi sul tavolo sono sostanzialmente due, che però non sono mutualmente esclusive e che anzi potrebbero aver concorso entrambe allo stravolgimento climatico di Marte. Da un lato, come è evidente da un'attento confronto dei due emisferi marziani, l'impatto con un gigantesco asteroide che, oltre ad aver portato via pezzi del pianeta, ha anche espulso i gas più leggeri. Dall'altro un raffreddamento precoce del nucleo del pianeta che ha ridotto fino a spegnerlo il campo magnetico del pianeta rosso. Questo fatto ha permesso al vento solare di spazzare via senza problemi l'atmosfera marziana, allontanando soprattutto i gas più leggeri.
Quale che sia la causa di questa perdita, la conseguenza è stata che le eventuali tracce di vita biologica così come la conosciamo presenti sulla superficie non hanno più avuto gli elementi per prosperare e rendere il pianeta un gemello della Terra.

Topolino #3288: Alla ricerca del francobollo perduto

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Nell'ultimo periodo è stato raro trovare un numero di Topolino soddisfacente quanto il #3288, che si apre con una bella storia a tema filatelico che però sarebbe stata perfetta anche per la serie de La storia dell'arte di Topolino.
Sulle tracce di Vincent Van Gogh
La leggenda filatelica, storia di apertura del numero, non solo rende omaggio allo sfortunato pittore Vincent Van Gogh, ma riunisce anche una coppia di maestri disneyani come Massimo Marconi e Massimo De Vita. La storia mette Topolino e Zapotec, quest'ultimo nel suo ruolo di direttore del Museo di Topolinia, sulle tracce dell'unica opera originale di Vincent Van Top. L'artista, non riuscendo a vendere i suoi quadri, andò via da Topolinia, spedendo però i suoi quadri al fratello Theo. Purtroppo gli originali delle sue opere andarono perduti nell'incendio della casa di Theo, a parte L'alba montana in possesso del nipote di Theo, Anton. Il quadro, però, non può più essere ceduto al museo, ma Anton in compensazione regala a Zapotec la collezione quasi completa di francobolli di Theo: proprio a partire da questa parte la ricerca di Topolino e Zapotec del perduto laboratorio artistico di Van Top.
La storia ha uno svolgimento semplice e lineare che permette al lettore di seguire la vicenda senza complicazioni, ma risulta in qualche modo scontata. La capacità di Marconi di proporre uno stile moderno e l'ottima gestione dei personaggi da un lato, mentre dall'altro i sempre efficaci disegni di De Vita, in quest'occasione in grado di spaziare agilmente dalle ambientazioni urbane a quelle montane, rendono nel complesso la storia gradevole da leggere, oltre che una delle migliori del numero.
Droidi: si finisce sempre troppo presto
In qualche modo anche il secondo episodio di Droidi di Alessandro Sisti e Claudio Sciarrone finisce troppo in fretta nonostante gli spunti lanciati al lettore dallo sceneggiatore. Le atmosfere dickiane continuano a essere predominanti, mentre si aggiunge un nuovo indizio che rafforza la sensazione che il Paperinik protagonista della saga non sia quello reale.
Sisti, comunque, riporta in scena Leonard Vertighel, comparso finora solo in PKNA #22, Frammenti d'autunno, qui all'inizio della sua carriera al lavoro nell'azienda di Odin Eidolon. Il lettore dickiano ha, in qualche modo, la sensazione di essere di fronte a una versione più gentile e ottimistica di Palmer Eldritch.
I disegni di Sciarrone, invece, risultano in qualche modo più efficaci: le inchiostrazioni, infatti, risultano più uniformi rispetto al primo episodio, dove alcune vignette presentavano delle chine più marcate non giustificate però da atmosfere più tese. Probabilmente ciò è dovuto anche alla maggiore presenza di vignette più ariose. Di tutti i personaggi, poi, colpisce in particolare l'androide Zyba, ispirato nel look agli anni Sessanta del XX secolo, caratterizzandola in maniera più forte ed efficace di quanto non faccia la sceneggiatura di Sisti.
L'episodio in se, preso separatamente dal suo contesto e con il semplice soggetto del poliziotto che insegue la "criminale", richiama molto al soggetto di Wet Moon di Atsushi Kaneko, e forse l'ispirazione anni Sessanta per Zyba magari proviene proprio da questo manga bello e surreale.
Due caotiche parole su Fizialetti
Visti i contenuti de Il mobile caotico di Fausto Vitaliano, ho deciso di scrivere le classiche due righe sulla storia sul Caffé del Cappellaio Matto, dove al momento trovate la recensione de Gli eroi di Monte Rattmore, per cui in questa sede mi spendo un po' di più su Umberto Fizialetti, il disegnatore della caotica e dinamica storia scritta da Vitaliano.
Come avevo già scritto qualche mese fa, lo stile di Fizialetti è chiaramente ispirato ad Alberto Lavoradori e la storia di Vitaliano non fa che esaltare lo stile al tempo stesso quadrato e in qualche modo surreale del giovane disegnatore, rendendolo così la scelta più opportuna per Il mobile caotico.

Fare harakiri ed essere contenti

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Serj Tankianè un cantante statunitense di origini armene meglio noto per essere il vocal leader dei System of a Down. In un post su facebook, che trovate tradotto sulla versione italiana di Rolling Stone, spiega i motivi per cui la bandè bloccata da un decennio. Il cantante però in questi anni non è rimasto con le mani in mano, realizzando dischi da solista e soundtrack per film, come per il recente Spitak, film armeno di Aleksandr Kott sul terremoto che colpì l'Armenia nel 1988.
Pur risultando "solo" il cantante dei SOAD, Serj nella sua carriera da solista si è dimostrato un abile compositore sia di testi sia di musica. Basti pensare al raffinato Orca Symphony No. 1 del 2013, che purtroppo non ha ricevuto alcun seguito, o ad Harakiri dell'anno prima. In una sorta di continuità narrativa tra i due progetti, Orca si occupa in maniera esplicita dell'ambiente, in particolare del mare, e in seconda battuta del genere umano, come ha spiegato lo stesso Tankian:
Orca is known as the killer whale, but is really a dark dolphin, a symbolism for human dichotomy.
In questa occasione, però, non mi preme scrivere di Orca, ma della title track di Harakiri, che rappresenta simbolicamente l'impegno di Tankian verso temi centrali in questi ultimi giorni grazie alla discussione sui cambiamenti climatici globali innescata dal COP24.
Harakiri non è solo da ascoltare per il suo stile metal o per il testo, al tempo stesso disperato e speranzoso, ma anche da vedere. Il video, che vi presento qui sotto, è ricco di immagini di disastri ecologici, guerre, carestie, emigrazioni climatiche e contiene una serie di numeri da brividi su cui soffermarsi, perché ogni giorno beviamo acqua, respiriamo aria, ci cibiamo dei prodotti di quello stesso pianeta che riempiamo di tutta una serie di prodotti, anche "naturali", di difficile smaltimento per lo stesso pianeta.

And we believe that they are free
'Cause I believe that they are me
Washed by the sun

L'arte matematica di Piero della Francesca

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Spesso prendiamo Leonardo da Vinci come simbolo della commistione tra arte e scienza. In realtà quello di Leonardo è solo il massimo degli esempi dell'approccio degli artisti alla scienza (anche se, a mio giudizio, è da ritenersi più uno scienziato con abilità artistiche, che non un artista con abilità scientifiche), visto che il pittore Piero della Francesca, oltre a realizzare opere d'arte apprezzate in tutto il mondo, ottene anche degli interessanti risultati in campo matematico.
Nato nel 1415 a Borgo San Sepolcro in Toscana, si suppone abbia iniziato la sua carriera artistica sotto il pittore locale Antonio di Giovanni d'Anghiari nel corso del 1432. Ben lungi dal voler ripercorrere la carriera artistica di Piero della Francesca, mi interessa in questa sede limitarmi alla sua sola attività matematica: il pittore, in fatti, non si limitò a usare, ma studiò la matematica che utilizzava nelle sue opere, scrivendo anche alcuni trattati sul campo. In particolare i suoi studi lo portarono ad approfondire i campi della geometria solida con il Libellus de Quinque Corporibus Regularibus e della prospettiva con il De Prospectiva Pingendi, senza dimenticare la matematica finanziaria dell'epoca, come attesta il Trattato d'Abaco. Molti dei risultati ottenuti da Piero della Francesca vennero successivamente riproposti (senza fornire dimostrazione, ma anche senza accreditarli(1)) nei lavori di Luca Pacioli, come per esempio la parte dedicata alla geometria solida presente nel De divina proportione, peraltro illustrato da Leonardo Da Vinci.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta del 1400 si interessò ai lavori di Archimede, che ricopiò in un manoscritto di 82 fogli, custodito presso la Biblioteca Riccardiana.
Nella giusta prospettiva
L'introduzione della prospettiva nell'arte avviene grazie a Filippo Brunelleschi mentre la sua prima definizione in qualche modo scientifica è dovuta a Leon Battista Alberti nel De Pictura, opera interamente dedicata a Brunelleschi. Se ne può dare la seguente definizione:
i raggi di luce viaggiano in linea retta dai punti della scena osservata fino all'occhio, formando una sorta di piramide con l'occhio come vertice. Il dipinto dovrebbe rappresentare una sezione di quella piramide con un piano. (1)
Questa definizione operativa di prospettiva(2) venne riformulata e matematizzata proprio da Piero della Francesca.
Prendiamo la figura seguente:
Abbiamo un quadrato di lato $BC$ visto dal punto $A$, con $AD$ l'altezza da terra. Si collega $A$ con i punti $B$, $C$ e $G$ e si identificano le intersezioni $H$ ed $E$ con il quadrato. Quindi dai punti $A$ ed $E$ si tracciano due parallele a $BC$ e sulla prima parallela si fissa il punto $A'$ che rappresenta l'osservatore della definizione di Alberti. Quindi si tracciano i segmenti $A'B$ e $A'C$ e si determinano le loro intersezioni $D'$ ed $E'$ sul segmento passante per $E$. Il quadrilatero $BCE'D'$ è il quadrato visto in prospettiva(1)!
Piero della Francesca, però, non si accontentò di proporre questa costruzione della prospettiva, ma aggiunse anche la dimostrazione della congruenza dei segmenti $EH$ ed $E'D'$: era il primo teorema matematico a venire dimostrato in Europa dopo Fibonacci(1).
La dimostrazione non dovrebbe essere difficile da ricostruire utilizzando i teoremi di Talete e propone una serie di proporzioni tra segmenti che conducono alla fine a un'uguaglianza tra $EH$ ed $E'D'$: \[\frac{E'D'}{BC} = \frac{A'E'}{A'C} = \frac{AE}{AC} = \frac{DB}{DC} = \frac{EH}{CG}\] che completa la dimostrazione semplicemente osservando che $CG = BC$ visto che sono i lati dello stesso quadrato.
Solida mente
I risultati più interessanti, però, Piero della Francesca li ottiene nella geometria solida, trattata nel Libellus. In particolare nel terzo libro, che è un'artimetizzazione del 14 libro degli Elementi di Euclide, il primo problema propone la determinazione del lato di un ottaedro regolare inscritto in un tetraedro regolare di lato 12, corrispondente alla proposizione 2 del libro 15 di Euclide.
Il risultato è 6, ma i fatti interessanti sono due: il primo è l'interesse del pittore in un problema prettamente matematico, il secondo è nel modo in cui Piero risolve il problema. Utilizza una serie di trinagoli all'interno del solido, mostrandone le non ovvie similitudini e lavorando di buona lena con le radici quadrate. Ad esempio osserva come $\sqrt{108} - \sqrt{12} = \sqrt{48}$.
Altro risultato estremamente interessante è la determinazione dell'altezza e da qui del volume di un tetraedro dati i suoi lati. Piero della Francesca utilizza, anche grazie a quell'intuizione spaziale che ne ha fatto un apprezzato artista, i calcoli aritmetici dell'epoca insieme con il teorema di Pitagora e la formula di Erone per ottenere una risposta che in termini moderni sarebbe equivalente a questa(1): \[144 V^2 = - a^2b^2c^2 - a^2d^2e^2 - b^2d^2f^2 - c^2e^2f^2 + a^2c^2d^2 + b^2c^2d^2+\] \[+ a^2b^2e^2 + b^2c^2e^2 + b^2d^2e^2 + c^2d^2e^2 + a^2b^2f^2 + a^2c^2f^2 + a^2d^2f^2+\] \[+ c^2d^2f^2 + a^2e^2f^2 + b^2e^2f^2 - c^4d^2 - c^2d^4 - b^4e^2 - b^2e^4+\] \[- a^4f^2 - a^2f^4\] Forse il suo risultato più sorprendente è il calcolo del volume e della superficie di una volta a crociera, realizzato ben prima che l'analogo calcolo sull'unghia di Archimede venisse scoperto (cosa avvenuta solo agli inizi del XX secolo). Certo c'è da ricordare che il pittore conosceva comunque le tecniche di calcolo del suo illustre predecessore matematico e in qualche modo nel suo calcolo propose una costruzione geometrica in qualche modo archimedea: due cilindri incastrati a formare una sorta di tetto e quindi una sfera, un cono circolare retto e una piramide inscritti uno nell'altro e i cui volumi sono tutti legati uno all'altro fino alla determinazione, peraltro corretta, del volume della volta a crociera(1).
Le abilità matematiche di Piero della Francesca risultano abbastanza rare nel mondo artistico dell'epoca, ma non certo l'interesse verso tale disciplina. Indubbiamente si potrebbe avere il dubbio di quali sarebbero stati i suoi risultati nel campo della matematica, se si fosse dedicato completamente a tale disciplina, ma mi viene da obiettare che forse sono le abilità artistiche ad avergli permesso di ottenere dei risultati così interessanti e innovativi nel campo della geometria solida. Molto probabilmente le due abilità si sono influenzate e arricchite a vicenda, come avviene spesso quando si mantiene il cervello allenato.
  1. Peterson, M. A. (1997). The geometry of Piero della Francesca. The Mathematical Intelligencer, 19(3), 33-40. doi:10.1007/BF03025346 (html
  2. Un esempio della tecnica prospettica di Piero della Francesca si trova nella Flagellazione, dipinto esaminato nell'articolo: Wittkower, R., & Carter, B. A. R. (1953). The Perspective of Piero della Francesca's' Flagellation'. Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 16(3/4), 292-302. doi:10.2307/750368 (jstor

Misurare la velocità della luce in classe

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Il famoso esperimento di Michelson e Morley per la misurazione della velocità della luce era costituito da un sistema più o meno complicato di specchi rotanti. Senza realizzare sistemi complicati, si può provare a misurare la velocità della luce anche in classe: l'obiettivo, però, non è quello di determinare tale valore nel vuoto, ma in differenti mezzi, in modo da far comprendere agli studenti come la velocità della luce non sia la stessa in ogni occasione.
Per lo scopo si utilizza un misuratore di distanza laser, ovvero uno strumento che determina la distanza utilizzando un laser. Tale dispositivo è stato costruito per le misurazioni in aria, e dunque la velocità della luce da considerare è quella nell'aria, ovvero \[c_{air} = 29970551819 \frac{m}{s}\] Poiché la misurazione è fatta per un viaggio di andata e ritorno, la distanza visualizzata sullo schermo $s_l$ è data dalla formula \[s_l = c_{air} \cdot \frac{t}{2}\] Se si utilizza un laser di questo genere per misurare la lunghezza di un oggetto trasparente, confrontando la distanza visualizzata sullo schermo con le dimensioni reali $s_r$ dell'oggetto è possibile ricavare la velocità della luce nel mezzo.
In particolare, poiché \[s_r = c_{mezzo} \cdot \frac{t}{2}\] è un facile esercizio di confronto ricavare la velocità della luce nel mezzo: \[c_{mezzo} = \frac{s_r}{s_l} \cdot c_{air}\] A questo punto si possono mettere ai capi del laser vari materiali trasparenti. Nel caso dei liquidi si può utilizzare un contenitore trasparente da riempire di volta in volta con un liquido differente.
Risulta interessante esaminare i risultati ottenuti, anche nell'ottica del livello scolastico degli studenti: la prima e più ovvia osservazione è quella sul legame tra la velocità della luce nel mezzo e la densità di quest'ultimo - più è grande quest'ultima, più è bassa la velocità della luce; una seconda e più profonda osservazione può essere fatta quando si considera che la velocità della luce è maggiore in aria, poi diminuisce nei liquidi e diventa molto bassa nei poliacrilici. Questo fatto, però, è in contraddizione con il comportamento delle onde, come ad esempio il suono, poiché la velocità aumenta all'aumentare della densità del mezzo attraversato. E questo permette di introdurre alla discussione quantistica sulla doppia natura della luce.
Heiszler, F. J. (2016). Measuring the speed of light in classroom. Physics Education, 52(1), 013009. doi:10.1088/1361-6552/52/1/013009

Scienza sotto l'albero: classici da regalare

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L'iniziativa scienza sotto l'albero partita da un'idea di @astro_filo ha ricevuto molte adesioni in giro per instagram e non solo da parte di divulgatori scientifici (per lavoro o per passione che sia). Così, dopo aver realizzato un template personalizzato in Gimp, sono pronto per raccontarvi brevemente le mie scelte:
  • Il mondo senza di noi di Alan Weisman:
    Ne ho anche scritto la recensione, quindi più che altro cerco di sintetizzare al meglio. Il libro di Weisman risulta illuminante su ciò che stiamo facendo al nostro pianeta e sul fornire al lettore una visione del nostro ecosistema a più lungo periodo.
  • Armi acciaio e malattie di Jared Diamond:
    Un classico della letteratura scientifica. Diamond fornisce una serie di strumenti molto più scientifici (la disponibilità delle risorse primarie) per leggere la storia del pianeta. In qualche modo è anche un libro naturalmente libertario, perché fornisce una serie di assist alle idee anarchiche.
  • Non è mica la fine del mondo
  • di Francesca Riccioni e Tuono Pettinato:
    Ho perso le tracce della recensione nel senso che ero convinto che fosse già stata pubblicata su LSB, ma così non è stato. Spero che si possa recuperare il più velocemente possibile (per quel che riguarda i miei compiti, spero di riuscire ad assolverli a breve). Recupero, in questa occasione, l'occhiello che ho scritto per quella ancora inedita recensione: Francesca Riccioni e Tuono Pettinato, con intelligenza e ironia esaminano il modo con cui stiamo sfruttando le risorse del pianeta partendo da una premessa semplice ma efficace: la Terra dopo la nostra estinzione. In qualche modo è legato alla prima scelta, ma questo mi sembra il periodo migliore per cercare di migliorare la nostra consapevolezza ecologica.
Infine c'è la bonus track per bamini:
  • Il professor Astro Gatto di Dominic Walliman e Ben Newman:
    In realtà il consiglio non è su uno specifico volume (anche se personalmente ho recensito L'avventura atomica) di quella che è una serie di tre (l'ultimoè uscito da un paio di mesi). L'idea è questa: entrate in libreria o in fumetteria, cercate i volumi sul personaggio, dategli un'occhiata e sceglietene uno. Sono scritti molto bene, adatti ai bambini, ma anche agli adulti, ricchi di illustrazioni scientificamente precise e con dei personaggi molto ben definiti e chiari, quindi in generale libri di facile lettura che permettono di avvicinare i bambini alla scienza. E magari anche appassionarli!eina
Ad ogni modo: leggete e fate leggere, non solo a Natale!

Scappare, da qualche parte nello spazio

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#GammaRay #powermetal #astronomyforabetterworld #esplorazione #spazio #universo cc @astrilari @Pillsofscience @stefacrono
Con un nome come quello che hanno scelto i fondatori, la band tedesca dei Gamma Ray non poteva non proporre canzoni, rigorosamente power metal, dal fascino scientifico, come ad esempio Somewhere Out In Space. L'idea della canzone è quella di un viaggio tra le stelle, una fuga alla ricerca di un nuovo posto dove vivere. Una situazione, questa, che prima o poi dovremmo affrontare, sempre che non ci estingueremo prima o non decideremo di condividere il destino della Terra: venire fagocitata dal Sole.

Il problema principale di abbandonare il nostro pianeta natale è trovare una nuova destinazione. Il candidato più vicino è ovviamente Marte, ma va innanzitutto terraformato, cosa non semplice. A venirci in soccorso però è la ricerca dei pianeti extrasolari, che in questi anni è stata svolta con discreto successo grazie al satellite Kepler che utilizzando il metodo dei transiti ha contribuito per la maggior parte al vasto catalogo costituito da oltre 3000 pianeti scoperti in una porzione di universo relativamente piccola. Ovviamente bisogna in qualche modo determinare se un pianeta è abitabile o meno, ma una volta stabilito ciò il problema al momento più insormontabile è raggiungere tale pianeta. Le navi spaziali che al momento utilizziamo per raggiungere e rifornire la Stazione Spaziale Internazionale sono appena sufficienti allo scopo. Al massimo, con uno sforzo comunque non indifferente dal punto di vista economico, si potrebbe arrivare sulla Luna, ma ancora, nonostante i proclami, Marte è lontano e ancora di più arrivare fino a e uscire da i confini del Sistema Solare (ovviamente utilizzando un equipaggio umano).
Il sogno di esplorare l'universo, però, è comune a molti scienziati, anche ai due pionieri della missilistica: Konstantin Ciolkovskij e Robert Goddard. Mentre il primo scrisse varie opere di fantascienza, tra cui Sogni della terra e del cielo e gli effetti della gravitazione universale dove suggeriva di mettere in orbita un satellite artificiale della Terra, Goddard scrisse The last migration. The notes should be read thoroughly only by an optimist, saggio dal titolo eloquente di cui è disponibile la versione sintetica, The ultimate migration. A muovere i due scienziati è stata la fantascienza, su tutti Jules Verne, ovvero gli stimoli, i pungoli e le ispirazioni che la fantasia degli scrittori pongono nella mente degli scienziati. A ben raccontare tale stimolo ci pensa proprio Ciolkovskij:
All'inizio c'è necessariamente un'idea, una fantasia, una fiaba, e poi vengono i calcoli scientifici; alla fine l'esecuzione corona il pensiero. Il mio lavoro ha a che fare con la fase centrale della creatività. Più di chiunque altro, sono consapevole del baratro che separa un'idea dalla sua realizzazione, perché per tutta la mia vita ho fatto non solo molti calcoli, ma ho anche lavorato con le mie mani. Ma ci dev'essere un'idea; l'esecuzione dev'essere preceduta da un'idea, i calcoli precisi dalla fantasia.
Navi generazionali
Pioniere della diffrazione a raggi X e della bilogia molecolare, John Desmond Bernalè stato indubbiamente un bambino prodigio: all'età di sette anni, dopo aver letto Chemistry of the candle di Michael Faraday, chiese alla madre di scrivere al chimico locale per fornirle i materiali necessari per produrre ossigeno e idrogeno in casa. L'esperimento del piccolo Bernal, condotto in casa, fu quasi letale: l'incidente, però, insegnò al bambino a realizzare gli esperimenti in sicurezza (all'esterno della casa, ad esempio) e non scoraggiò il suo interesse per la scienza(1).
Nel corso degli anni sviluppò, anzi, una concezione politica molto simile a una sorta di socialismo scientifico2, che ritenne la struttura politica essenziale non solo per una Terra unita sotto un unico governo, ma anche per viaggiare nello spazio. La sua idea era, però, la realizzazione della così detta nave generazionale(1), che venne descritta per la prima volta proprio dallo stesso Bernal in un saggio del 1929(2).
Una nave spaziale di questo genere si basa sull'idea che un gruppo più o meno nutrito si metta in viaggio verso le stelle dotata di un sistema completamente autosufficiente nella produzione dell'energia e delle materie prime essenziali per il mantenimento della vita dell'equipaggio. Poiché il destino della nave è viaggiare per un tempo indefinito, l'equipaggio sarà costituito da veri e propri coloni, che proseguiranno la razza nel corso del loro viaggio spaziale, probabilmente senza mai fermarsi veramente da qualche parte, ma alleggerendo il peso del tasso di crescita della popolazione lasciando sui pianeti abitabili coloro che sentiranno l'esigenza di esplorare nuovi mondi(3).
La realizzazione di una nave di tal genere può avvenire in modi differenti: ad esempio, come suggerisce Bernal, costruendola direttamente nello spazio utilizzando i minerali a disposizione nello spazio e presenti negli asteroidi(1). Oppure, come suggerisce ad esempio Leslie R. Shepherd(4), si potrebbe catturare un asterioide sufficientemente grande da scavare al suo interno per ricavare gli ambienti per la vita quotidiana dei pionieri, dotarlo di un motore, magari nucleare, e degli strumenti astronomici per osservare l'universo alla ricerca di un buon posto dove dirigersi.
Ovviamente l'idea era molto ghiotta per qualunque scrittore di fantascienza, visto che la nave generazionale fornisce un ottimo strumento per percorrere in maniera plausibile le distanze interstellari e al contempo raccontare storie, come ad esempio in The living galaxy di Laurence Manning o Space for industry di John W. Campbell. Tra le opere divulgative si segnala anche Islands in space: the challenge of the planetoids di Dandridge Cole, libro forse non molto interessante, per come lo recensisce Frank Edmondson su Science, ma che ha il pregio di descrivere da un punto di vista un po' più scientifico la cattura di meteoriti e asteroidi proprio con l'obiettivo del viaggio interstellare, e che il recensore definisce la parte più controversa(5).
Su questa linea, però, la proposta più interessante è indubbiamente quella di Freeman Dyson, che per gli appassionati di fantascienza e i sognatori dei viaggi interstellari ha fornito un bel po' di materiale per alimentare i nostri sogni. Corre, infatti, l'obbligo di citare le sfere di Dyson, che ho avuto modo di approfondire, mentre in questa sede non posso non citare l'albero di Dyson, una pianta geneticamente modificata per poter essere in grado di crescere sulla superficie di una cometa. Come ricorda il famoso fisico teorico, le comete posseggono tutti gli elementi necessari per permettere alla vita di prosperare sulla sua superficie. Da qui la proposta di utilizzarle per viaggiare nello spazio, viste anche le loro orbite solitamente molto eccentriche.
Probabilmente è proprio questa idea che ha fatto sognare molti relativamente a ʻOumuamua, il primo oggetto interstellare scoperto all'interno del sistema solare. Osservato per la prima volta il 19 ottobre del 2017 dall'astronomo canadese Robert Weryk mentre si trovava presso l'osservatorio hawaiano di Haleakala, prende il nome dalla parola locale che indica l'esploratore. Un recente studio dei segnali provenienti da questo pezzo di roccia proveniente dallo spazio esterno al nostro sistema solare ha, però, mostrato la completa assenza di segnali artificiali(6), e dunque ʻOumuamua non è l'equivalente di una cometa di Dyson o di una qualche nave generazionale aliena.
Propulsione nucleare e vele solari
Dyson, però, si ritrovò in qualche modo coinvolto anche in un ambizioso progetto chiamato Orion. Nel 1958, infatti, insieme con Ted Taylor guidò un gruppo per lo sviluppo e la realizzazione di un razzo con motore nucleare basato sui progetti e i calcoli svolti tra il 1946 e il 1947 da Stanislaw Ulam e Frederick Reines. In effetti il razzo era progettato con una combinazione tra i motori usuali e quelli nucleari che avrebbero fornito la spinta nello spazio per dirigersi verso il punto dell'universo designato. Il progetto, però, presentava una serie di problemi, come l'uso di esplosioni atomiche ripetute, l'eventuale creazione di turbolenze, che non era ben chiaro se avrebbero fornito disturbo o meno alla propulsione stessa e vari altri piccoli problemi, non ultimo l'impossibilità di effettuare un test del razzo prima di mandarlo nello spazio.
La Orion, con le sue dimensioni massime previste di venti chilometri, i cui progetti vennero vagliati da Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick per l'astronade di 2001 odissea nello spazio, ci porta nel mondo delle astronavi colossali, come quelle proposte dall'astronomo Maurice G. de San in The ultimate destiny of an intelligent species. In questo caso de San propone dei veri e propri mondi viaggianti nello spazio, delle relativamente piccole biosfere artificiali autonome e autosufficienti di struttura cilindrica lunghe 200 chilometri e del diametro di 12 chilometri popolate da dieci milioni di abitanti. Anche in questo caso gli asteroidi avrebbero fornito la materia prima per la costruzione della nave.
In qualche modo a tirare le fila di tutto ciò ci pensarono Antony Martin e Alan Bond che nel 1984 proposero la realizzazione di una vera e propria flotta di astronavi-mondo dove trasportare quanto più possibile del pianeta d'origine e della propria cultura, animali inclusi. Nel progetto era anche prevista la presenza di un piccolo oceano, profondo all'incirca un chilometro, dotato anche di pesci e mammiferi acquatici come balene e delfini. Anche in questo caso la propulsione prevista era atomica o fotonica.
Alternativa alla propulsione fotonica c'è quella basata sulle vele solari, ovvero degli strumenti in grado di sfruttare la pressione di radiazione del Sole in particolare e delle stelle in generale. Tale sistema di propulsione venne proposto in maniera più o meno ripetuta da vari scienziati sin dai tempi di Johannes Kepler, ma forse uno dei progetti più interessanti è quello di Carl Atwood Wiley non foss'altro per la rivista dove venne pubblicato l'articolo in cui proponeva il sistema: Clipper ships of space, questo il titolo dell'articolo, uscì nel 1951 su Astounding Science Fiction, la rivista di fantascienza diretta da John Campbell, scritto con lo pseudonimo di Russell Saunders. E per il decennio era da considerarsi un'idea abbastanza innovativa e sicuramente alternativa, visto che ben pochi erano gli ingegneri che avrebbero scommesso sullo sviluppo di un sistema di navigazione senza alcun genere di carburante. Tra l'altro l'idea venne ripresa sette anni più tardi da Richard Lawrence Garwin, che sviluppò le prime specifiche tecniche per le vele solari. Alcuni decenni più tardi (1990) fu poi Robert Lull Forward a proporre un brevetto su un dispositivo del genere, accreditando però l'idea proprio a Wiley. Magari in futuro riusciremo a costruire delle navi spaziali molto simili a quelle dei gioviani nella serie di storie con Paperino protagonista realizzate da Luciano Bottaro, ma nel frattempo dobbiamo accontentarci dei pannelli solari, che raccolgono l'energia che serve alla Stazione Spaziale Internazionale o ai nostri satelliti di avere la necessaria energia elettrica per poter funzionare.
Questo più o meno breve excursus spaziale iniziato dal power metal dei Gamma Ray e finito con i mangiatori di metallo del Giove disneyanoè abbondantemente ispirato al saggio Migrare verso le stelle di Fabio Feminò posto in appendice all'edizione italiana di Universi in fuga di Charles Sheffield.
  1. Simone Caroti, The Generation Starship in Science Fiction: A Critical History, 1934–2001 
  2. John Desmond Bernal, The World, the Flesh & the Devil. An Enquiry into the Future of the Three Enemies of the Rational Soul 
  3. Isaac Asimov, Civiltà extraterrestri (recensione
  4. L.R. Shepherd, Interstellar flight (pdf
  5. Edmondson, F. K. (1965). Islands in Space: The Challenge of the Planetoids. Dandridge M. Cole and Donald W. Cox. Chilton, Philadelphia, 1964. xii+ 276 pp. Illus. $6.95. 
  6. Harp, G. R., Richards, J., Jenniskens, P., Shostak, S., & Tarter, J. C. (2018). Radio SETI observations of the interstellar object′ OUMUAMUA. Acta Astronautica. doi:10.1016/j.actaastro.2018.10.046 (arXiv

Topolino #3289: Droidi, un esercizio di stile

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Con una copertina dedicata alla storia di apertura, dove Topolino e Peter Quarky, versione disneyana di Piero Angela, si trovano sull'asteroide 7197 pieroangela, si presenta il Topolino #3289, che oltre alla nuova storia griffataTopolino Comics&Science, di cui scriverò entro poche ore (si spera!) Al Caffé del Cappellaio Matto, ha in sommario anche il terzo e ultimo episodio di Droidi, la nuova saga pikappika realizzata da Alessandro Sisti e Claudio Sciarrone.
Scontato un tanto al chilo
Come già le puntate precedenti, anche questa, nonostante la chiusura di tutti i nodi narrativi aperti dagli autori, risulta incredibilmente veloce, lasciando la sensazione al lettore non solo che la storia, ma anche tutta la saga si sia conclusa in maniera troppo rapida. Rispetto alle saghe precedenti, in particolare quelle di Francesco Artibani, che forse avrebbero giovato di una o due puntate in più, Droidi sarebbe stata molto più efficace come storia autoconclusiva in un unico numero di Topolino o al massimo due.
Inoltre le atmosfere della storia, che richiamavano chiaramente a Philip Dick, e gli indizi seminati sin dal primo numero, hanno reso il finale scontato e atteso, tanto che una conclusione differente avrebbe deluso molto di più del finale ideato da Sisti.
In conclusione Droidi riesce allo stesso tempo a soddisfare e a deludere: soddisfare perché il tema portante viene sviluppato secondo i canoni della letteratura dickiana, senza tradirli ma adattandoli al settimanale disneyano; deludere perché la storia è nel complesso troppo rapida e la sua pubblicazione su più numeri ne ha spezzato il ritmo generale, togliendo parte dell'efficacia del soggetto proposto da Sisti. La struttura delle pagine, però, ha per contro permesso a Sciarrone di proporre ora pagine dense di vignette ora pagine più ariose con poche ma ampie vignette.
Una miniera per Paperone
Visto che de La sorgente del tempo ho già scritto, per questo numero non mi rimane altro che scrivere qualche riga su I misfatti nell'oscurità di Carlo Panaro e Renata Castellani.
La storia di Panaro è abbastanza classica: Paperone si reca in una delle sue miniere di diamanti sparse in giro per il mondo insieme ai nipoti per indagare su alcuni misteriosi furti che avvengono ai suoi danni. Anche in questo caso la storia risulta in qualche modo scontata, in particolare per i lettori di Panaro e più in generale per gli amanti del genere mystery. La storia, però, ha il pregio di proporre un Paperino leggermente diverso rispetto al solito, molto barksiano come spesso succede nei soggetti di Panaro. Questo rende comunque la storia gradevole da leggere fino alla sua conclusione.
Inoltre i disegni della Castellani completano a dovere la storia di Panaro, grazie a uno stile a metà strada tra il tratto rotondo alla Lucio Leoni e quello più squadrato e cartoonesco di Donald Soffritti.

I rompicapi di Alice: Cubi, cubi, sempre cubi

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Potrebbe essere una domanda più adatta a Le grandi domande della vita, ma visto che sorge sulle colonne della storica rubrica Mathematical games di Martin Gardner sul quarto numero del 1965 di Scientific American direi che può benissimo trovare spazio tra i Rompicapi di Alice.
In particolare la questione è:
è possibile tagliare un cubo in un numero infinito di altri cubi più piccoli nessuno dei quali identico a un altro?(1)
La risposta è: no. E per capirlo ragioniamo per assurdo. Supponiamo, cioè, che sia possibile "cubizzare un cubo". Prendiamo la prima delle figure proposte da Gardner nel suo articolo.
Se partiamo da un quadrato la struttura che otteniamo al secondo passo è un tris di quadrati in cui quello più piccolo è il centrale. E proseguendo con suddivisioni successive i quadrati più piccoli saranno sempre e comunque circondati da quadrati più grandi. Allo stesso modo se proviamo a suddividere un cubo in cubi più piccoli: il cubo più piccolo che tocca il tavolo deve essere circondato da cubi più grandi(1). Questo implica che intorno alle pareti del cubo più piccolo sorgeranno quattro cubi più grandi di questo che impediranno a un cubo più grande di trovarsi in cima. E questa situazione si andrà a ripetere per ciascuno dei cubi che andremmo a suddividere ulteriormente. Questo, però, porta a una regressione infinita che contraddice con l'assunto iniziale, ovvero che il problema sia risolvibile.(1)
Gli aspetti più interessanti, ma anche più curiosi, della regressione infinita si trovano, però, nell'introduzione al problema. Ad esempio Gardner riesce con poche righe a raccontare i teoremi di incompletezza di Kurt Godel. Secondo Gardner, infatti, il matematico austriaco
è stato in grado di mostrare che non esiste una singola matematica inclusiva di tutto, ma solo una regressione infinita si sistemi sempre più ricchi.(1)
L'aspetto più interessante, però, è che tale regressione infinita di matematiche era in qualche modo stata intravista anche da Lewis Carroll, come mostrato nel suo articolo What the tortoise said to Achilles, pubblicato su Mind nell'aprile del 1895.
L'idea di Carroll è abbastanza semplice: una volta che il pelide ha raggiunto la tartaruga, quest'ultima intraprende con l'eroe un altro genere di inseguimento, basato sulla logica, in cui costringe Achille a intraprendere una serie infinita di dimostrazioni legate ai lati di un triangolo.
In particolare date le proposizioni:
A. Due elementi che sono uguali a un terzo sono uguali tra di loro.
B. I due lati di questo triangolo sono uguali al terzo.
la loro verità implicherebbe la verità di
Z. I due lati di questo triangolo sono uguali tra di loro.
L'arguzia della tartaruga, però, non accetta che la verità di Z discenda da quelle di A e B, così Achille è costretto ad aggiungere sempre nuove proposizioni prima di soddisfare la sete di dimostrazione della tartaruga(2).
Lo stesso Carroll ha in qualche modo utilizzato la regressione infinita in maniera leggermente più sottile, come ricorda lo stesso Gardner: in Attraverso lo specchio, infatti, lo scrittore e matematico ricorda al lettore che non è solo Alice a sognare il Re Rosso, ma che la bambina fa anche parte del sogno di un Re Rosso addormentato(1)!
Si potrebbe allora concludere con la classica domanda su quanto sia reale il nostro universo, ma d'altra parte che importanza ha per il punto luminoso nel gioco della vita di Conway se il suo universo è generato da un computer o meno? Per lui resta sempre un posto reale.
  1. Martin Gardner, 1965, 'Mathematical Games', Scientific American, vol. 212, no. 4, pp. 128-135 doi:10.1038/scientificamerican0465-128 
  2. I rompicapi di Alice: La storia di Achille e della tartaruga, in corso di ripubblicazione su Science Backstage 

Un espresso per stanarli

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E arriva il momento della conclusione del ciclo 2018 della serie di conferenze pubbliche dei Cieli di Brera. Mercoledì 12 dicembre, sempre alle 18:00 presso la Sala della Passione della Pinacoteca di Brera, in via Brera 28, in collaborazione con la Pinacoteca di Brera e l'Istituto Lombardo, l'Osservatorio Astronomico di Brera propone l'ultima conferenza del 2018, Esopianeti: un Espresso per stanarli, presentata da Marco Landoni:
A partire dalla prima scoperta di un esopianeta, 51 Pegasi b, avvenuta nel 1995 da parte degli astronomi svizzeri Michel Mayor and Didier Queloz una vera e propria rivoluzione nel campo dell'astrofisica moderna ha preso atto. Svariati strumenti, sia da terra che dallo spazio, sono stati progettati e costruiti al fine di rivelare un sempre maggior numero di pianeti extrasolari orbitanti attorno a stelle della galassia in cui viviamo.
Per la prima volta abbiamo la possibilità di disporre di uno strumento in grado di raggiungere la sensibilità richiesta per scoprire pianeti rocciosi simili alla nostra Terra ospitati da stelle simili al nostro Sole. Nell'intervento si affronterà una breve carrellata di come sia possibile scoprire pianeti al di fuori del sistema solare e quale sarà il ruolo dello spettrografo ESPRESSO (in cui l'Istituto Nazionale di Astrofisica ha coperto un ruolo fondamentale) nella ricerca di pianeti abitabili nella Via Lattea.
Come al solito l'ingresso è libero fino all'esaurimento dei posti disponibili (100 al massimo).
Per chi non potesse venire o non riuscisse a entrare nella sala, è a disposizione lo streaming su YouTube della conferenza.
Per chiudere le informazioni sul conferenziere:
Marco Landoni consegue il dottorato di ricerca in Astrofisica nel 2014 e fin dalla tesi di dottorato si occupa di interfaccia tra scienza e tecnologia legata principalmente a strumentazione da Terra. Ha seguito la progettazione, implementazione e collaudo presso l'Osservatorio ESO a Paranal di due sottosistemi dello strumento ESPRESSO per la guida del campo e la misura del flusso entrante nello spettrografo. Si interessa inoltre di calcolo scientifico e distribuito in ambito astrofisico per simulazioni complesse.

Il nostro piccolo universo piatto

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Ultimamente trovo che ci sia in giro una particolare enfasi nel tentativo di spiegare che l'universo è piatto, eppure, forse per il mio approccio da fisico teorico, la cosa non mi suona. In particolare è quell'è a darmi fastidio. Cerco di spiegarmi meglio.
Per valutare la curvatura di uno spazio, si traccia un triangolo e si misurano gli angoli interni. Se il valore è all'incirca pari a 180°, lo spazio è piatto; se è superiore a 180° gradi, lo spazio è tipo sfera; se inferiore a 180°, lo spazio è una specie di sella. Per valutare la curvatura di uno spazio abbiamo, però, bisogno di trovare dei triangoli sufficientemente grandi: se proviamo a tracciare un triangolo a terra, molto probabilmente sarà un triangolo piatto, ma se proviamo a tracciare un triangolo, dallo spazio, con gli estremi della Sicilia, avremo un triangolo sferico. Allo stesso modo per l'universo bisogna determinare un triangolo il più grande possibile. A questo punto si potrebbero prendere tre stelle e tracciare un triangolo: unica complicazione è scovare tre stelle che si trovano alla stessa epoca dall'istante in cui è iniziata l'espansione cosmica, e questa cosa non è esattamente facile da determinare. Questo costringe a esaminare un segnale diffuso che siamo certi provenga dallo stesso periodo nella timeline dell'universo: la radiazione cosmica di fondo.
Esaminare tale radiazione ci ha portato alla conclusione che l'universo è piatto(1), perché prendendo un triangolo su questa mappa, esso risulta un triangolo piatto. La radiazione cosmica di fondo, però, risale alla così detta epoca della ricombinazione, quindi sarebbe più corretto affermare che l'universo era piatto. Se lo sia stato sempre nel corso della sua evoluzione o se lo sia adesso questo è un discorso completamente differente. Inoltre non è detto che un universo piatto non possa avere una forma curva: negli anni Cinquanta del XX secolo John Nash e Nicolaas Kuiper suggerirono l'esistenza di un particolare toro piatto quadrato, come la plancia di Pac-Man, che venne finalmente visualizzato come superficie tridimensionale nel 2012(2). Ecco: l'universo potrebbe possedere una forma toroidale e risultare piatto proprio come le figure di Nash e Kuiper, ma dovrebbe possedere anche una struttura frattale, cosa che al momento non è stata verificata, ma che non sarebbe incompatibile con l'inflazione cosmica.
Tutto questo giro di parole, però, l'ho fatto essenzialmente per introdurre l'articoletto che volevo segnalare quest'oggi, sempre pescato da quel pozzo ancora piuttosto pieno delle mie bozze: The equivalence principle and QFT: Can a particle detector tell if we live inside a hollow shell?
We show that a particle detector can distinguish the interior of a hollow shell from flat space for switching times much shorter than the light-crossing time of the shell, even though the local metrics are indistinguishable. This shows that a particle detector can read out information about the non-local structure of spacetime even when switched on for scales much shorter than the characteristic scale of the non-locality.
A quanto scritto sopra non dobbiamo dimenticare che la porzione di universo che siamo in grado di osservare è molto più piccola di quella che potrebbe essere, in particolare se fosse corretto il modello dell'inflazione cosmica. Questo vorrebbe dire che l'universo potrebbe tranquillamente non essere piatto, in barba alla piattezza del nostro universo che dovremmo considerare locale, per quanto vasto qualche decina di miliardi di anni luce.
  1. de Bernardis, P., Ade, P. A., Bock, J. J., Bond, J. R., Borrill, J., Boscaleri, A., ... & Ferreira, P. G. (2000). A flat Universe from high-resolution maps of the cosmic microwave background radiation. Nature, 404(6781), 955. doi:10.1038/35010035 (arXiv
  2. Borrelli, V., Jabrane, S., Lazarus, F., & Thibert, B. (2012). Flat tori in three-dimensional space and convex integration Proceedings of the National Academy of Sciences doi:10.1073/pnas.1118478109 

Storia di un anti-eroe

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Il mio primo contatto con l'epica finlandese era avvenuto nel 2001 sulle pagine di Zio Paperone #136 grazie a La ricerca di Kalevala di Don Rosa. Per cui, quando ho messo le mani sulla Storia di Kullervo di J.R.R. Tolkien, notando in particolare il saggio conclusivo sul Kalevala, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di aggiungere nuove informazioni su un'epica che mi sembrava molto affascinante.
A voler essere pignoli, quella del Kalevala non è considerata una vera e propria epica, almeno non al livello di quella asgardiana od olimpica, giusto per fare dei paragoni più noti, ma una serie di poemi, non molto coerenti uno con l'altro, raccolti in un'opera unica dal filologo finlandese Elias Lönnrot. Non è di questa sede la discussione sulle motivazioni di Lönnrot per la redazione di tale opera, né se la sua operazione sia stata corretta dal punto di vista filologico, storico e in qualche modo archeologico o meno. Di questa parte del discorso, perlatro, ci sono giusto alcuni cenni nell'introduzione di Verlyn Flieger, curatore del volume, che raccoglie sia il racconto di Tolkien sia il saggio che scrisse per una conferenza presso l'Exeter College Essay Club.
Quella di Kullervo è, indubbiamente, una storia tragica: sopravvissuto alla strage della famiglia ad opera del fratello del padre, ne passa di tutti i colori fino al finale di sangue in cui si vendica del torto subito e alla fine si uccide per mano della sua spada magica, anche a causa del senso di colpa per l'incesto perpetrato ai danni della sorella (sebbene a sua discolpa c'è da dire che non ne conosceva l'identità) e che spinse quest'ultima al suicidio.
L'operazione di Tolkien su Kullervo risulta, come mostrato dai saggi di accompagnamento, molto più interessante della semplice proseizzazione della sua storia: non solo lo scrittore approfondisce il carattere del personaggio, ma lo abbruttisce nell'aspetto, come se questo venisse influenzato non solo dalle ferite del corpo, ma anche da quelle dell'animo, e ne racconta in maniera più coerente i vari passaggi della biografia, che nel poema originale sembrano a volte discordanti uno con l'altro. Stilisticamente, poi, è qui che inizia a sperimentare un modo di narrare le storie che avrebbe utilizzato un po' in tutti i suoi racconti e romanzi successivi: l'alternanza di prosa e poesia, tendenzialmente delle ballate. Infine è proprio dalla figura di Kullervo e dall'esperimento di riscrittura personale del suo mito che discende la figura di Turin Turambar, uno dei tragici figli dell'altrettanto tragico Hurin, tutti personaggi immortalati nel racconto I figli di Hurin (a voler essere pignoli, viene considerato un vero e proprio romanzo, pubblicato in questa forma nel 2007 sebbene l'intera vicenda era stata narrata in vari pezzi presenti ne Il Silmarillion, Racconti incompiuti e The History of Middle-earth).
Inoltre l'aggiunta del saggio di Tolkien sul Kalevala nelle due versioni ritrovate nei suoi appunti e il testo inglese a fronte arricchiscono la lettura permettendo di apprezzare la cura con cui lo scrittore britannico ha affrontato l'epica in generale e la fabula in particolare.

L'ultima luna d'autunno

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Quest'anno l'autunno è iniziato il 23 settembre e si concluderà il 21 dicembre. Dal punto di vista astronomico la stagione è definita dall'equinozio d'autunno, che ne determina l'inizio, e il solstizio d'inverno, che ne determina la conclusione. Se andiamo a consultare il calendario delle fasi lunari (la versione originale della NASA è disponibile su archive.org: ho utilizzato la versione del 10 aprile 2014) scopriamo che le lune nuove d'autunno cadono il 9 ottobre alle 3:47, il 16 novembre alle 16:02 e il 7 dicembre alle 7:20, e visto che sono tutte date passate al momento della pubblicazione di questo articoletto, mi scuso con tutti per la prontezza di riflessi.
Ciò che però potrebbe suonare interessante per tutti gli appassionati tolkenianiè il giorno di Durin, il primo giorno dell'anno nuovo dei Nani che cade il primo giorno dell'ultima luna nuova crescente d'autunno. In particolare Bilbo Baggins e la compagnia di nani che lo accompagna giungono finalmente presso la Montagna Solitaria dove il drago Smaug dimora all'interno dei possedimenti dei Nani, custodendo per se il loro tesoro.
Rispetto alla definizione classica, Tolkien definisce l'autunno come la stagione che va dal giorno a metà tra solstizio d'estate ed equinozio d'autunno fino al giorno a metà tra l'equinozio d'autunno e il solstizio d'inverno, o più semplicemente tra il 3.o e il 4.o cross quarter-day. Questo vuol dire che l'ultima luna d'autunno cadrà, secondo il nostro calendario, tra fine ottobre e inizio di novembre (nel caso del 2018 sarebbe il 9 ottobre). In particolare ne Lo Hobbit il calcolo della prima luna d'autunno risulta fondamentale, perché è proprio la luce prodotta dalla luna in questo particolare giorno che permette di identificare la porta segreta che da accesso alla dimora di Smaug. Per fare questo calcolo, nei panni di Bilbo Baggins, potremmo utilizzare queste due regole(1):
  1. Una luna nuova cadrà nella stessa data ogni 19 anni
  2. Una luna nuova cadrà due giorni più tardi rispetto a 160 anni prima
A questo punto creiamo il contesto fisico che ci permetterà di ricavarle: si definisce il tempo $t = 0$ la mezzanotte del 7 novembre dell'anno in cui il giorno di Durin cade il 7 novembre. Inoltre si prende come asse delle coordinate quello centrato sulla Terra, mentre il Sole sarà posto nella posizione fissa (2,0) e la luna si muoverà lungo la circonferenza di raggio 1 e centro (0,0).
La posizione della luna lungo questa traiettoria sarà descritta da equazioni trigonometriche dipendenti dal tempo e dalla frequenza $\nu$ del moto periodico della luna stessa. In questo sistema di coordinate le fasi della luna possono essere descritte attraverso l'intersezione tra l'asse verticale e la retta che unisce Sole e luna, che è una funzione periodica, $V(t)$, dipendente dal tempo:
\[V(t) = \frac{2 \sin (2\pi \nu t)}{2-\cos (2\pi \nu t)}(u-2)\] Come spiegato da Simonson(1) il 7 novembre nella definizione di Tolkien è l'ultimo giorno d'autunno. Quindi l'ultima luna d'autunno cadrà in un giorno compreso tra l'8 ottobre e il 7 novembre, che diventa così l'ultimo estremo possibile per fissare il giorno di Durin. La scelta è comunque arbitraria e serve per produrre i grafici che tracciano la posizione della Luna nel cielo vicino alla mezzanotte del 7 novembre di vari anni:
Come potete notare i grafici dopo 19 e 38 anni dallo 0 sono molto simili a quelli dell'anno 0.
Inoltre, consultando il calendario delle fasi lunari che linkavo all'inizio del post, si riesce a scoprire che il giorno di Durin per la Terra cade nella stessa data, anche se a orari differenti, negli anni 1994-2013, 1995-2014, 1996-2015(1) e 1999-2018.
Per applicare la seconda delle due regole è necessario utilizzare una versione normalizzata della $V(t)$ \[W(t) = \frac{\sqrt{3}}{2} V(t)\] Al di là delle osservazioni tecniche per la determinazione dell'intervallo di 160 anni, c'è da osservare anche un altro piccolo dettaglio: a causa della precessione degli equinozi, anche le date di inizio e fine delle stagioni subiscono delle modifiche. In particolare nel corso di 160 anni si guadagnano all'incirca 2 giorni, quindi vuol dire che il giorno di Durin dopo 160 anni cadrà due giorni più tardi, come avviene negli anni 2013-2173, 2014-2174 e 2015-2175(1).
Ovviamente, mentre le date e gli anni sono riferiti alla Terra e al calendario giuliano e dunque sarebbero differenti per quel che riguarda la Terra di Mezzo, la matematica e la fisica necessarie per portare a termine i calcoli sono indipendenti in quanto universali.

  1. Simoson, A. (2014). Bilbo and the last moon of autumn. Math Horizons, 21(4), 5-9. doi:10.4169/mathhorizons.21.4.5 (jstor

Le grandi domande della vita: Speciale Terra di Mezzo

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Che ne pensiamo de "La relatività con Il Signore degli Anelli?" cc @stefacrono @Pillsofscience @astrilari @MathisintheAir @Scientificast @Popinga1
Come spesso succede, organizzo i post in gruppi, a volte consecutivi, altre più o meno sparsi. E così, giusto perché una trilogia è sempre meglio di una coppia, ecco che dopo la recensione de La storia di Kullervo e l'articolo sull'ultima luna d'autunno arriva uno speciale de Le grandi domande della vita dedicato alla Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien.
La forma della Terra di Mezzo
Steven Weinbergè uno dei più noti fisici teorici del XX secolo. Insieme con Abdus Salam e Sheldon Glashow ha vinto il Premio Nobel per la fisica nel 1979 per l'unificazione della forza debole con quella elettromagnetica. Nell'introduzione del suo poderoso libro Gravitation and cosmology: principles and applications of the general theory of relativity discute le origini della geometria non-euclidea e propone una mappa interessante con tanto di domanda intrigante: La Terra di Mezzo è piatta?
Come spiegavo qualche giorno fa, per determinare la curvatura o meno di una superficie, un metodo pratico è quello di misurare gli angoli di un triangolo sufficientemente grande tracciato sulla sua superficie. Se però prendiamo quattro punti distinti sulla superficie, possiamo prendere le 6 distanze relative tra i quattro punti scelti per determinare, attraverso una relazione più o meno complicata, la metrica della superficie. In particolare se i quattro punti fanno parte di una rete semplicemente connessa(1) o più in generale di un piano allora la relazione seguente risulta verificata: \[0 = d_{12}^4d_{34}^2 + d_{13}^4d_{24}^2 + d_{14}^4d_{23}^2 + d_{23}^4d_{14}^2 + d_{24}^4d_{13}^2 + d_{34}^4 d_{12}^2+\] \[+ d_{12}^2 d_{23}^2 d_{31}^2 + d_{12}^2 d_{24}^2d_{41}^2 + d_{13}^2d_{34}^2d_{41}^2 + d_{23}^2d_{34}^2d_{42}^2+\] \[- d_{12}^2d_{23}^2d_{34}^2- d_{13}^2d_{32}^2d_{24}^2 - d_{12}^2d_{24}^2d_{43}^2 - d_{14}^2d_{42}^2d_{23}^2+\] \[- d_{13}^2d_{34}^2d_{42}^2 - d_{14}^2d_{43}^2d_{32}^2 - d_{23}^2d_{31}^2d_{14}^2 - d_{21}^2d_{13}^2d_{34}^2+\] \[- d_{24}^2d_{41}^2d_{13}^2 - d_{21}^2d_{14}^2d_{43}^2 - d_{31}^2d_{12}^2d_{24}^2 - d_{32}^2d_{21}^2d_{14}^2\] Se si utilizzano i valori presenti sulla mappa tratta dal libro di Weinberg l'espressione di cui sopra risulta non verificata. Inoltre, anche se non ho controllato i calcoli nella risposta di achille hui, la Terra di Mezzo si trova su un pianeta sferico, il cui raggio potrebbe avere uno dei seguenti valori: 919 km o 1116 km, quindi un pianeta piuttosto piccolo se confrontato con la nostra Terra, che ha un raggio di circa 6371 km. Al momento non sono stati scoperti pianeti così piccoli all'esterno del Sistema Solare, a parte Kepler-37b che è però all'incirca il doppio della Terra di Mezzo, il cui raggio è, invece, compatibile con quello di Plutone (1188 km), che al momento è classificato come pianeta nano.
Matematica elfica
Vista la saggezza mostrata in varie occasioni dagli elfi, è più che normale chiedersi quali fossero le loro conoscenze matematiche. Per quanto Tolkien non abbia mai scritto esplicitamente nulla sul caso, si può supporre innanzitutto che il loro sistema di numerazione fosse in base 12, non solo per via della struttura del loro calendario, ma anche perché in una lettera a Edmund Meskys del novembre del 1972 lo scrittore britannico mostra una decisa predilezione per il sistema a base 12. D'altra parte durante la rivoluzione francese si era considerata seriamente l'ipotesi di utilizzare tale sistema in luogo di quello in base 10, considerando quello in base 12 come più naturale.
Inoltre in qualche modo erano in grado di portare a termine calcoli astronomici più o meno semplici, quindi avevano comunque una certa conoscenza dell'algebra. D'altra parte gli elfi possedevano delle buone abilità ingegneristiche, almeno relativamente alla costruzione degli edifici, e quindi si potrebbe concludere che le loro conoscenze matematiche erano "limitate" alla matematica applicata di tipo medioevale.
Un elemento interessante è, però, l'osservazione delle loro capacità logiche e deduttive che suggerirebbe come risulterebbero particolarmente abili nella programmazione informatica.
Per cui se è probailmente difficile ritenere gli Elfi in grado di sviluppare una matematica raffinata come quella, ad esempio, del Modello Standard, non è improbabile pensare che in campo logico le loro abilità e conoscenze fossero almeno di livello carrolliano.
La dimostrazione matematica come il viaggio di Frodo
L'ultima sezione di questa puntata speciale è dedicata a Marcus du Sautoy con la traduzione di un estratto dedicato alla dimostrazione matematica tratta da un suo intervento durante l'evento Narrative and proof organizzato dall'Università di Oxford:
Una dimostrazione è come il diario di viaggio di un matematico. Fermat guardò fuori dalla finestra della matematica e individò in lontananza questo picco matematico: l'affermazione che le sue equazioni non hanno soluzioni per numeri interi. La sfida per le generazioni successive di matematici fu quella di trovare un percorso che conducesse dai territori familiari che il matematico ha già navigato verso nuove terre sconosciute.
[E'] un po' come le avventure di Frodo ne Il Signore degli Anelli. Una dimostrazione è una descrizione del viaggio dalla Contea fino a Mordor. All'interno dei confini della familiare terra della Contea ci sono gli assiomi della matematica, le ovvie verità sui numeri insieme con quelle proposizioni che sono già state dimostrate. Questa è l'impostazione per l'inizio della ricerca. Il viaggio da questo territorio è quindi vincolaro alle regole della deduzione matematica, come le mosse legittime di un pezzo degli scacchi, che prescrive i passi che è permesso compiere attraverso questo mondo.
A volte, potrete arrivare in quella che sembra una impasse ed è necessario prendere quel caratteristico passo laterale, spostandosi di lato o addirittura indietro per trovare un modo per girarvi intorno. A volte è necessario aspettare che vengano create nuove entità matematiche, come i numeri immaginari o il calcolo, così da poter compiere il prossimo passo. La dimostrazione è la storia del viaggio e della mappa che traccia le coordinate del viaggio. Il diario del matematico.


  1. Uno spazio semplicemente connessoè uno spazio senza buchi, ovvero uno spazio dove qualunque percorso può essere in qualche modo ridotto a un punto. 
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