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Con un nome come quello che hanno scelto i fondatori, la
band tedesca dei
Gamma Ray non poteva non proporre canzoni, rigorosamente
power metal, dal fascino scientifico, come ad esempio
Somewhere Out In Space. L'idea della canzone è quella di un viaggio tra le stelle, una fuga alla ricerca di un nuovo posto dove vivere. Una situazione, questa, che prima o poi dovremmo affrontare, sempre che non ci estingueremo prima o non decideremo di condividere il destino della Terra: venire fagocitata dal Sole.
Il problema principale di abbandonare il nostro pianeta natale è trovare una nuova destinazione. Il candidato più vicino è ovviamente Marte, ma va innanzitutto terraformato, cosa non semplice. A venirci in soccorso però è la ricerca dei pianeti extrasolari, che in questi anni è stata svolta con discreto successo grazie al satellite Kepler che utilizzando il
metodo dei transiti ha contribuito per la maggior parte al vasto catalogo costituito da oltre 3000 pianeti scoperti in una porzione di universo relativamente piccola. Ovviamente bisogna in qualche modo determinare se un pianeta è abitabile o meno, ma una volta stabilito ciò il problema al momento più insormontabile è raggiungere tale pianeta. Le navi spaziali che al momento utilizziamo per raggiungere e rifornire la Stazione Spaziale Internazionale sono appena sufficienti allo scopo. Al massimo, con uno sforzo comunque non indifferente dal punto di vista economico, si potrebbe arrivare sulla Luna, ma ancora, nonostante i proclami, Marte è lontano e ancora di più arrivare fino a e uscire da i confini del Sistema Solare (ovviamente utilizzando un equipaggio umano).
Il sogno di esplorare l'universo, però, è comune a molti scienziati, anche ai due pionieri della missilistica:
Konstantin Ciolkovskij e
Robert Goddard. Mentre il primo scrisse varie opere di fantascienza, tra cui
Sogni della terra e del cielo e gli effetti della gravitazione universale dove suggeriva di mettere in orbita un satellite artificiale della Terra, Goddard scrisse
The last migration. The notes should be read thoroughly only by an optimist, saggio dal titolo eloquente di cui è disponibile la versione sintetica,
The ultimate migration. A muovere i due scienziati è stata la fantascienza, su tutti
Jules Verne, ovvero gli stimoli, i pungoli e le ispirazioni che la fantasia degli scrittori pongono nella mente degli scienziati. A ben raccontare tale stimolo ci pensa proprio Ciolkovskij:
All'inizio c'è necessariamente un'idea, una fantasia, una fiaba, e poi vengono i calcoli scientifici; alla fine l'esecuzione corona il pensiero. Il mio lavoro ha a che fare con la fase centrale della creatività. Più di chiunque altro, sono consapevole del baratro che separa un'idea dalla sua realizzazione, perché per tutta la mia vita ho fatto non solo molti calcoli, ma ho anche lavorato con le mie mani. Ma ci dev'essere un'idea; l'esecuzione dev'essere preceduta da un'idea, i calcoli precisi dalla fantasia.
Navi generazionali
Pioniere della diffrazione a raggi X e della bilogia molecolare,
John Desmond Bernalè stato indubbiamente un bambino prodigio: all'età di sette anni, dopo aver letto
Chemistry of the candle di
Michael Faraday, chiese alla madre di scrivere al chimico locale per fornirle i materiali necessari per produrre ossigeno e idrogeno in casa. L'esperimento del piccolo Bernal, condotto in casa, fu quasi letale: l'incidente, però, insegnò al bambino a realizzare gli esperimenti in sicurezza (all'esterno della casa, ad esempio) e non scoraggiò il suo interesse per la scienza
().
Nel corso degli anni sviluppò, anzi, una concezione politica molto simile a una sorta di socialismo scientifico
, che ritenne la struttura politica essenziale non solo per una Terra unita sotto un unico governo, ma anche per viaggiare nello spazio. La sua idea era, però, la realizzazione della così detta
nave generazionale(), che venne descritta per la prima volta proprio dallo stesso Bernal in un saggio del 1929
().
Una nave spaziale di questo genere si basa sull'idea che un gruppo più o meno nutrito si metta in viaggio verso le stelle dotata di un sistema completamente autosufficiente nella produzione dell'energia e delle materie prime essenziali per il mantenimento della vita dell'equipaggio. Poiché il destino della nave è viaggiare per un tempo indefinito, l'equipaggio sarà costituito da veri e propri coloni, che proseguiranno la razza nel corso del loro viaggio spaziale, probabilmente senza mai fermarsi veramente da qualche parte, ma alleggerendo il peso del tasso di crescita della popolazione lasciando sui pianeti abitabili coloro che sentiranno l'esigenza di esplorare nuovi mondi
().
La realizzazione di una nave di tal genere può avvenire in modi differenti: ad esempio, come suggerisce Bernal, costruendola direttamente nello spazio utilizzando i minerali a disposizione nello spazio e presenti negli asteroidi
(). Oppure, come suggerisce ad esempio
Leslie R. Shepherd(), si potrebbe catturare un asterioide sufficientemente grande da scavare al suo interno per ricavare gli ambienti per la vita quotidiana dei pionieri, dotarlo di un motore, magari nucleare, e degli strumenti astronomici per osservare l'universo alla ricerca di un buon posto dove dirigersi.
Ovviamente l'idea era molto ghiotta per qualunque scrittore di fantascienza, visto che la nave generazionale fornisce un ottimo strumento per percorrere in maniera plausibile le distanze interstellari e al contempo raccontare storie, come ad esempio in
The living galaxy di
Laurence Manning o
Space for industry di
John W. Campbell. Tra le opere divulgative si segnala anche
Islands in space: the challenge of the planetoids di
Dandridge Cole, libro forse non molto interessante, per come lo recensisce
Frank Edmondson su
Science, ma che ha il pregio di descrivere da un punto di vista un po' più scientifico la cattura di meteoriti e asteroidi proprio con l'obiettivo del viaggio interstellare, e che il recensore definisce la parte più controversa
().
Su questa linea, però, la proposta più interessante è indubbiamente quella di
Freeman Dyson, che per gli appassionati di fantascienza e i sognatori dei viaggi interstellari ha fornito un bel po' di materiale per alimentare i nostri sogni. Corre, infatti, l'obbligo di citare le sfere di Dyson, che ho
avuto modo di approfondire, mentre in questa sede non posso non citare l'
albero di Dyson, una pianta geneticamente modificata per poter essere in grado di crescere sulla superficie di una cometa. Come ricorda il famoso fisico teorico, le comete posseggono tutti gli elementi necessari per permettere alla vita di prosperare sulla sua superficie. Da qui la proposta di utilizzarle per viaggiare nello spazio, viste anche le loro orbite solitamente molto eccentriche.
Probabilmente è proprio questa idea che ha fatto sognare molti relativamente a
ʻOumuamua, il primo oggetto interstellare scoperto all'interno del sistema solare. Osservato per la prima volta il 19 ottobre del 2017 dall'astronomo canadese
Robert Weryk mentre si trovava presso l'osservatorio
hawaiano di Haleakala, prende il nome dalla parola locale che indica l'
esploratore. Un recente studio dei segnali provenienti da questo pezzo di roccia proveniente dallo spazio esterno al nostro sistema solare ha, però, mostrato la completa assenza di segnali artificiali
(), e dunque ʻOumuamua non è l'equivalente di una
cometa di Dyson o di una qualche nave generazionale aliena.
Propulsione nucleare e vele solari
Dyson, però, si ritrovò in qualche modo coinvolto anche in un ambizioso progetto chiamato
Orion. Nel 1958, infatti, insieme con
Ted Taylor guidò un gruppo per lo sviluppo e la realizzazione di un razzo con motore nucleare basato sui progetti e i calcoli svolti tra il 1946 e il 1947 da
Stanislaw Ulam e
Frederick Reines. In effetti il razzo era progettato con una combinazione tra i motori usuali e quelli nucleari che avrebbero fornito la spinta nello spazio per dirigersi verso il punto dell'universo designato. Il progetto, però, presentava una serie di problemi, come l'uso di esplosioni atomiche ripetute, l'eventuale creazione di turbolenze, che non era ben chiaro se avrebbero fornito disturbo o meno alla propulsione stessa e vari altri piccoli problemi, non ultimo l'impossibilità di effettuare un test del razzo prima di mandarlo nello spazio.
La
Orion, con le sue dimensioni massime previste di venti chilometri, i cui progetti vennero vagliati da
Arthur C. Clarke e
Stanley Kubrick per l'astronade di
2001 odissea nello spazio, ci porta nel mondo delle astronavi colossali, come quelle proposte dall'astronomo
Maurice G. de San in
The ultimate destiny of an intelligent species. In questo caso de San propone dei veri e propri mondi viaggianti nello spazio, delle relativamente piccole biosfere artificiali autonome e autosufficienti di struttura cilindrica lunghe 200 chilometri e del diametro di 12 chilometri popolate da dieci milioni di abitanti. Anche in questo caso gli asteroidi avrebbero fornito la materia prima per la costruzione della nave.
In qualche modo a tirare le fila di tutto ciò ci pensarono
Antony Martin e
Alan Bond che nel 1984 proposero la realizzazione di una vera e propria flotta di astronavi-mondo dove trasportare quanto più possibile del pianeta d'origine e della propria cultura, animali inclusi. Nel progetto era anche prevista la presenza di un piccolo oceano, profondo all'incirca un chilometro, dotato anche di pesci e mammiferi acquatici come balene e delfini. Anche in questo caso la propulsione prevista era atomica o fotonica.
Alternativa alla propulsione fotonica c'è quella basata sulle vele solari, ovvero degli strumenti in grado di sfruttare la pressione di radiazione del Sole in particolare e delle stelle in generale. Tale sistema di propulsione venne proposto in maniera più o meno ripetuta da vari scienziati sin dai tempi di
Johannes Kepler, ma forse uno dei progetti più interessanti è quello di
Carl Atwood Wiley non foss'altro per la rivista dove venne pubblicato l'articolo in cui proponeva il sistema:
Clipper ships of space, questo il titolo dell'articolo,
uscì nel 1951 su Astounding Science Fiction, la rivista di fantascienza diretta da
John Campbell, scritto con lo pseudonimo di
Russell Saunders. E per il decennio era da considerarsi un'idea abbastanza innovativa e sicuramente alternativa, visto che ben pochi erano gli ingegneri che avrebbero scommesso sullo sviluppo di un sistema di navigazione senza alcun genere di carburante. Tra l'altro l'idea venne ripresa sette anni più tardi da
Richard Lawrence Garwin, che sviluppò le prime specifiche tecniche per le vele solari. Alcuni decenni più tardi (1990) fu poi
Robert Lull Forward a proporre un brevetto su un dispositivo del genere, accreditando però l'idea proprio a Wiley. Magari in futuro riusciremo a costruire delle navi spaziali molto simili a quelle dei gioviani nella serie di storie con Paperino protagonista realizzate da
Luciano Bottaro, ma nel frattempo dobbiamo accontentarci dei pannelli solari, che raccolgono l'energia che serve alla Stazione Spaziale Internazionale o ai nostri satelliti di avere la necessaria energia elettrica per poter funzionare.
Questo più o meno breve
excursus spaziale iniziato dal
power metal dei
Gamma Ray e finito con i mangiatori di metallo del Giove
disneyanoè abbondantemente ispirato al saggio
Migrare verso le stelle di
Fabio Feminò posto in appendice all'edizione italiana di
Universi in fuga di
Charles Sheffield.
- Simone Caroti, The Generation Starship in Science Fiction: A Critical History, 1934–2001
- John Desmond Bernal, The World, the Flesh & the Devil. An Enquiry into the Future of the Three Enemies of the Rational Soul
- Isaac Asimov, Civiltà extraterrestri (recensione)
- L.R. Shepherd, Interstellar flight (pdf)
- Edmondson, F. K. (1965). Islands in Space: The Challenge of the Planetoids. Dandridge M. Cole and Donald W. Cox. Chilton, Philadelphia, 1964. xii+ 276 pp. Illus. $6.95.
- Harp, G. R., Richards, J., Jenniskens, P., Shostak, S., & Tarter, J. C. (2018). Radio SETI observations of the interstellar object′ OUMUAMUA. Acta Astronautica. doi:10.1016/j.actaastro.2018.10.046 (arXiv)