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Ritratti: Alhazen
C'è chi in carcere passa il tempo a scrivere delle "Mie prigioni", e chi invece scrive un libro sull'ottica. Qualcuno come Alhazen, per esempio.
Abū 'Alī al-Ḥasan ibn al-Ḥasan ibn al-Haytham, o seplicemente ibn al-Haytham, latinizzato in Alhazenè stato un matematico arabo, ritenuto il primo dei fisici teorici, oltre ad aver sviluppato il metodo scientifico con circa trecento anni d'anticipo rispetto agli scienziati del rinascimento e anche più rispetto a coloro che lo formalizzarono in maniera più dettagliata, il filosofo Bacone e il matematico Galilei, per esempio.
Le informazioni sulla sua vita non sembrano molte, almeno stando a quanto scritto su en.wiki o sulla Britannica.
Alhazen, nato a Basra (da qui uno degli appellativi con cui è noto, al-Basri), andò in Egitto presso il califfo al-Hakim, mecenate della scienza ma anche particolarmente crudele (soprannominato il califfo pazzo). Non sono chiare le condizioni che lo hanno portato presso la corte di un così pericoloso personaggio. Secondo lo storico Ibn al-Qifṭī, vissuto un paio di secoli dopo Alhazen, il matematico fu chiamato dal califfo per dimostrare quanto affermava: ovvero di essere in grado di regolare le acque del Nilo. Secondo altri, invece, fu lo stesso Alhazen a proporre il progetto al califfo. Ad ogni buon conto sembra che il progetto, conclusi i conti, si rivelò impraticabile e a questo punto sembra che il califfo, non prendendo nel verso giusto la notizia, decise di condannare Alhazen. Quest'ultimo, allora, evidentemente per evitare pene peggiori, decise di fingersi pazzo(1), restando così prigioniero delle carceri egizie dal 1011 al 1021, anno della morte del califfo.
Questo decennio non fu infruttuoso: Alhazen, infatti, portò avanti una serie di esperimenti di ottica che sfociarono in uno dei primi e più importanti testi sull'argomento, il Libro dell'ottica (in originale Kitab al-Manazir), un'opera in sette volumi dove lo scienziato arabo presentò la sua teoria della visione oculare, supportata sia da un apparato matematico/geometrico sia da una serie di esperimenti. L'opera fondamentale per il libro di Alhazen da cui, di fatto, prese le mosse, fu l'Ottica di Tolomeo.
Tolomeo si introduce in quella che può essere considerata una tradizione della scienza dell'antica Grecia: l'ottica, infatti, vide il sorgere di due grandi scuole, una facente capo ad Aristotele e l'altra a Euclide. In particolare l'ottica di Euclide si basava sull'idea che la luce viaggi in linea retta.![]()
Nel primo volume del Libro Alhazen descrive una serie di esperimenti realizzati con quella che già i cinesi avevano scoperto: una camera stenoscopica, ovvero una parete con un foro senza alcuna lente che permette l'ingresso della luce e delle immagini all'interno della camera(6). Non uso a caso il termine "parete": è abbastanza semplice immaginare che la camera descritta da Alhazen, in pratica un prototipo della camera oscura di Hammond, fosse a tutti gli effetti la cella in cui passò dieci anni della sua vita. E' semplicemente per questo che più che di invenzione, preferisco riferirmi alla camera di Alhazen come a una riscoperta.
Ad ogni buon conto Ian Howard(6) fornisce un ottimo riassunto delle scoperte nel campo dell'ottica fatte durante il suo soggiorno forzato al Cairo (dove comunque rimase per i successivi venti anni dalla liberazione per sua scelta) dal buon Alhazen e di come queste anticiparono, di svariati secoli, le scoperte di quelli che possono essere considerati, alla luce delle nostre attuali conoscenze, i suoi eredi.
Ad esempio discusse della percezione del moto anche relativamente ai movimenti dell'occhio o del moto relativo della Luna rispetto alle nuvole(6). Sempre all'interno del Libro dell'ottica viene discusso il così detto problema di Alhazen.
D'altra parte introdusse nella scienza anche un concetto fondamentale, quello del "mettere in dubbio":
I percorsi della scienza, alla fine, sono quelli della scoperta e della riscoperta, un poggiare le nuove basi, per riprendere Russell, sulle spalle di coloro che hanno preceduto nel lungo viaggio per capire come funziona il mondo. E in questo viaggio Alhazen ha rivestito un ruolo importante, iniziato dall'oscurità di una cella, una stanza che dovrebbe limitare la libertà personale, ma che si dimostra ancora una volta un concetto relativo (quello di cella, non di libertà!).
(1) A tal proposito, secondo Rickard Berghorn, fu proprio questa finzione di Alhazen a ispirare Lovecraft nel proporre Abdul Alhazerd nella sua serie di romanzi e racconti sui miti di Cthulhu: le similitudini tra il personaggio fittizio e il matematico sono, infatti, tali per cui l'ipotesi non è così assurda
(2) Marcus Baker (1881). Alhazen's Problem American Journal of Mathematics, 4 (1/4), 327-331 DOI: 10.2307/2369168
(3) History of Alhazen's Problem, Science, Vol. 2, No. 65 (Sep. 24, 1881), pp. 456-457
(4) Fenton P.C. (1989). An extremal problem in Harriot's mathematics, Historia Mathematica, 16 (2) 154-163. DOI: 10.1016/0315-0860(89)90037-2
(5) Ian P Howard, Nicholas J Wade (1996). Ptolemy's contributions to the geometry of binocular vision Perception, 25 (10), 1189-1201 DOI: 10.1068/p251189
(6) Ian P Howard (1996). Alhazen's neglected discoveries of visual phenomena Perception, 25 (10), 1203-1217 DOI: 10.1068/p251203
(7) Al-Khalili, J. (2015). In retrospect: Book of Optics Nature, 518 (7538), 164-165 DOI: 10.1038/518164a
Abū 'Alī al-Ḥasan ibn al-Ḥasan ibn al-Haytham, o seplicemente ibn al-Haytham, latinizzato in Alhazenè stato un matematico arabo, ritenuto il primo dei fisici teorici, oltre ad aver sviluppato il metodo scientifico con circa trecento anni d'anticipo rispetto agli scienziati del rinascimento e anche più rispetto a coloro che lo formalizzarono in maniera più dettagliata, il filosofo Bacone e il matematico Galilei, per esempio.
Le informazioni sulla sua vita non sembrano molte, almeno stando a quanto scritto su en.wiki o sulla Britannica.
Alhazen, nato a Basra (da qui uno degli appellativi con cui è noto, al-Basri), andò in Egitto presso il califfo al-Hakim, mecenate della scienza ma anche particolarmente crudele (soprannominato il califfo pazzo). Non sono chiare le condizioni che lo hanno portato presso la corte di un così pericoloso personaggio. Secondo lo storico Ibn al-Qifṭī, vissuto un paio di secoli dopo Alhazen, il matematico fu chiamato dal califfo per dimostrare quanto affermava: ovvero di essere in grado di regolare le acque del Nilo. Secondo altri, invece, fu lo stesso Alhazen a proporre il progetto al califfo. Ad ogni buon conto sembra che il progetto, conclusi i conti, si rivelò impraticabile e a questo punto sembra che il califfo, non prendendo nel verso giusto la notizia, decise di condannare Alhazen. Quest'ultimo, allora, evidentemente per evitare pene peggiori, decise di fingersi pazzo(1), restando così prigioniero delle carceri egizie dal 1011 al 1021, anno della morte del califfo.
Questo decennio non fu infruttuoso: Alhazen, infatti, portò avanti una serie di esperimenti di ottica che sfociarono in uno dei primi e più importanti testi sull'argomento, il Libro dell'ottica (in originale Kitab al-Manazir), un'opera in sette volumi dove lo scienziato arabo presentò la sua teoria della visione oculare, supportata sia da un apparato matematico/geometrico sia da una serie di esperimenti. L'opera fondamentale per il libro di Alhazen da cui, di fatto, prese le mosse, fu l'Ottica di Tolomeo.
L'Ottica di Tolomeo
Claudius Ptolemaeus, o semplicemente Tolomeo, è famoso soprattutto per il modello geocentrico proposto nell'Almagest, però scrisse anche l'Ottica, opera costituita da cinque libri di cui il primo, dove venivano discussi i principi della luce e della visione, è andato perduto, pur se i suoi contenuti sono riassunti nel secondo libro. Come spesso succede alle opere degli scienziati dell'antichità, anche l'Otticaè arrivata ai giorni nostri grazie a una traduzione in latino di tale emiro Eugenio di Sicilia a partire da una ormai perduta versione in arabo(5).Tolomeo si introduce in quella che può essere considerata una tradizione della scienza dell'antica Grecia: l'ottica, infatti, vide il sorgere di due grandi scuole, una facente capo ad Aristotele e l'altra a Euclide. In particolare l'ottica di Euclide si basava sull'idea che la luce viaggi in linea retta.
La visione era limitata a oggetti che ricevono la luce da un cono di raggi provenienti dall'occhio. Le proiezioni geometriche verso questi oggetti erano lecite. Quegli oggetti che sottendono un angolo maggiore venivano percepiti come più grande. In questo modo Euclide non solo ha fornito un resoconto sulla trasmissione ottica nello spazio, ma anche una teoria geometrica della percezione dello spazio.(5)Tolomeo estese il lavoro di Euclide e descrisse la luce come una forma di energia, adottando anche il suo modello geometrico. E' in questo modo che, per esempio, sempre partendo da Euclide, propose una spiegazione per la vista binoculare, ovvero come due occhi producono una singola immagine nel cervello che venne a sua volta ripresa e migliorata dal Alhazen. In effetti i due scienziati dell'antichità condividono, oltre al percorso tortuoso che ha portato i loro trattati in Europa, anche il destino di essere diventati piuttosto ignorati nel corso dei secoli, nonostante molte delle scoperte nel campo dell'ottica siano in effetti state scoperte da uno tra Tolomeo e Alhazen. Ad esempio la spiegazione della vista binoculare e della fusione delle due immagini viene accreditata al belga Franciscus Aguilonius, che nel suo Opticorum vanta anche un'illustrazione esplicativa realizzata dal pittore Rubens, ma in effetti essa dipende direttamente dalle spiegazioni di Tolomeo e Alhazen, che sono decisamente più dettagliate e geometricamente meglio argomentate.(5)

Il libro dell'ottica
Partendo dunque dalle ottiche di Euclide e Tolomeo (e probabilmente anche dal lavoro di altri ottici arabi come al-Kindi e Hunayn ibn Ishaq(7)) e dalla struttura anatomica dell'occhio proposta da Galeno(6) e avendo un po' di tempo a disposizione, Alhazen decise di mettersi al lavoro per migliorare le conoscenze nel campo della visione e della diffusione della luce. Egli dimostrò che se vediamo perché i raggi di luce vengono emessi dagli occhi su un oggetto (i "raggi della vista" di Platone ed Euclide), allora o l'oggetto rimanda un segnale per gli occhi o non lo fa. Se non lo fa, come può l'occhio percepire ciò che su cui i suoi raggi cadono? La luce deve tornare all'occhio, ed è così che noi vediamo. Ma se è così, quale è l'utilita per gli originali raggi emessi dell'occhio? La luce potrebbe venire direttamente dall'oggetto se è luminoso o, se non lo è, può riflettersi dall'oggetto dopo essere emessa da un'altra fonte. I raggi dall'occhio, decise Ibn al-Haytham, sono una complicazione non necessaria.Il percorso del Libro dell'otticaè stato, come facile immaginare, piuttosto travagliato: buona parte del testo venne tradotto in latino nel Perspectiva di Vitello (Erazmus Ciolek Witelo), che aggiunse alcune annotazioni che vennero incorporate nella prima edizione stampata del libro di Alhazen prodotta nel 1572 da Risner con il titolo di Opticae Thesaurus. Incredibile a dirsi, sembra poi che la versione araba originale sia stata ritrovata nel 1936(6).
Andò anche più lontano di chiunque prima di lui nel cercare di capire la fisica alla base di rifrazione. Ha sostenuto che la velocità della luce fosse finita e differente in diversi mezzi, e ha utilizzato l'idea di risolvere il percorso di un raggio di luce nelle sue componenti verticale e orizzontale della velocità. Ha svolto tutto il suo lavoro geometricamente, e ha introdotto molte nuove idee, come ad esempio lo studio di come l'atmosfera rifrange la luce dai corpi celesti.(6)
Nel primo volume del Libro Alhazen descrive una serie di esperimenti realizzati con quella che già i cinesi avevano scoperto: una camera stenoscopica, ovvero una parete con un foro senza alcuna lente che permette l'ingresso della luce e delle immagini all'interno della camera(6). Non uso a caso il termine "parete": è abbastanza semplice immaginare che la camera descritta da Alhazen, in pratica un prototipo della camera oscura di Hammond, fosse a tutti gli effetti la cella in cui passò dieci anni della sua vita. E' semplicemente per questo che più che di invenzione, preferisco riferirmi alla camera di Alhazen come a una riscoperta.
Ad ogni buon conto Ian Howard(6) fornisce un ottimo riassunto delle scoperte nel campo dell'ottica fatte durante il suo soggiorno forzato al Cairo (dove comunque rimase per i successivi venti anni dalla liberazione per sua scelta) dal buon Alhazen e di come queste anticiparono, di svariati secoli, le scoperte di quelli che possono essere considerati, alla luce delle nostre attuali conoscenze, i suoi eredi.
Ad esempio discusse della percezione del moto anche relativamente ai movimenti dell'occhio o del moto relativo della Luna rispetto alle nuvole(6). Sempre all'interno del Libro dell'ottica viene discusso il così detto problema di Alhazen.
Il problema di Alhazen
L'enunciato di riferimento è, ovviamente, quello contenuto alle proposizioni 34, 38 e 39(2) dell'edizione di Risner: Dato un punto luminoso e un punto di vista non ugualmente distanti dal centro di uno specchio sferico convesso, determinare il punto di riflessione(3)che in termini matematici diventa:
Da due punti nel piano di un cerchio, disegnare delle linee che si incontrano in un punto sulla circonferenza e rende uguali gli angoli con la tangente disegnata in quel punto(2)Molti furono i matematici e i fisici che cercarono una soluzione al problema. Una sua versione semplificata, che prevede che i due punti (di cui uno fisso) non siano all'interno del cerchio, ma sulla sua circonferenza(4), venne dimostrata da Thomas Harriot.
Il metodo scientifico
L'eredità di Alhazen venne raccolta da una miriade di scienziati che ne lessero le opere quando, finalmente, giunsero in Europa. Gente del calibro di: Roger Bacon, Christiaan Huygens, René Descartes, Johannes Kepler, Isaac Newton e gli italiani Giambattista della Porta, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei. In particolare Bacon, Newton, da Vinci e Galilei svilupparono in maniera indipendente quello che oggi consideriamo il metodo scientifico, ma è proprio Alhazen quello che è da considerarsi il punto di partenza comune a tutti loro per la realizzazione di questa metodologia, che prevede, non necessariamente in quest'ordine, l'esposizione di una tesi e la sua dimostrazione tramite opportuni esperimenti. Come scritto in precedenza, l'approccio era di tipo fisico-matematico, non a caso Alhazen viene considerato il primo fisico teorico della storia della scienza.D'altra parte introdusse nella scienza anche un concetto fondamentale, quello del "mettere in dubbio":
Il dovere di un uomo che investiga gli scritti degli scienziati, se apprendere la verità è il suo obiettivo, è rendere se stesso un nemico di tutto ciò che legge, e attaccarlo da ogni lato. Egli deve anche sospettare di se stesso mentre esegue il suo esame critico, così che egli possa evitare di cadere in uno tra pregiudizio e indulgenza.In questo senso scienziati come Newton, da Vinci, Galilei, che idearono e realizzarono loro stessi degli esperimenti, si dimostrano ancora oggi ottimi allievi di Alhazen.
Un nuovo modello geocentrico
Senza approfondire ulteriormente gli altri contributi di Alhazen, mi permetto di aggiungere giusto un paio di righe su due particolari testi (della sessantina che si sono salvati) riguardanti l'astronomia e il modello tolemaico: Dubbi sul modello tolemaico e Il modello del moto di ciascuno dei sette pianeti. Alhazen, che da perfetto studioso di Tolomeo non mise in dubbio il geocentrismo, propose un modello che doveva essere più semplice rispetto a quello tolemaico in cui faceva uso di geometria sferica, calcolo infinitesimale e trigonometria, tutti strumenti che, guarda un po' il caso, vennero sviluppati in prima istanza da altri suoi futuri lettori, Galilei e Kepler su tutti, per mostrare come il modello tolemaico fosse errato.I percorsi della scienza, alla fine, sono quelli della scoperta e della riscoperta, un poggiare le nuove basi, per riprendere Russell, sulle spalle di coloro che hanno preceduto nel lungo viaggio per capire come funziona il mondo. E in questo viaggio Alhazen ha rivestito un ruolo importante, iniziato dall'oscurità di una cella, una stanza che dovrebbe limitare la libertà personale, ma che si dimostra ancora una volta un concetto relativo (quello di cella, non di libertà!).
(1) A tal proposito, secondo Rickard Berghorn, fu proprio questa finzione di Alhazen a ispirare Lovecraft nel proporre Abdul Alhazerd nella sua serie di romanzi e racconti sui miti di Cthulhu: le similitudini tra il personaggio fittizio e il matematico sono, infatti, tali per cui l'ipotesi non è così assurda
(2) Marcus Baker (1881). Alhazen's Problem American Journal of Mathematics, 4 (1/4), 327-331 DOI: 10.2307/2369168
(3) History of Alhazen's Problem, Science, Vol. 2, No. 65 (Sep. 24, 1881), pp. 456-457
(4) Fenton P.C. (1989). An extremal problem in Harriot's mathematics, Historia Mathematica, 16 (2) 154-163. DOI: 10.1016/0315-0860(89)90037-2
(5) Ian P Howard, Nicholas J Wade (1996). Ptolemy's contributions to the geometry of binocular vision Perception, 25 (10), 1189-1201 DOI: 10.1068/p251189
(6) Ian P Howard (1996). Alhazen's neglected discoveries of visual phenomena Perception, 25 (10), 1203-1217 DOI: 10.1068/p251203
(7) Al-Khalili, J. (2015). In retrospect: Book of Optics Nature, 518 (7538), 164-165 DOI: 10.1038/518164a
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Topolino #3122: Le avventure della luce
Il 2015 è stato eletto anno internazionale della luce e molte sono le iniziative che hanno animato le celebrazioni, soprattutto a carattere scientifico. Tra i principali scienziati che si sono occupati in vario modo di ottica e quindi di luce, si ricordano Renato Cartesio, Galileo Galilei e soprattutto Isaac Newton, che fece esperimenti utilizzando i suoi stessi occhi, arrivando vicino a perdere la vista.
I primi esperimenti di ottica, però, vennero condotti da Ibn al-Haytham, latinizzato in Alhazen, matematico arabo che scrisse una serie di trattati sull'ottica fondamentali per molti degli scienziati europei che ne raccolsero l'eredità. L'arabo è il protagonista della prima delle ministorie di cui è costituita Topolino e le avventure della luce di Matteo Venereus e Marco Mazzarello e pubblicata su Topolino #3122, ed è anche l'ispiratrice dell'ultimo ritratto della serie.
La storia ha come motore narrativo Tip e Tap, nipotini di Topolino, che vanno a visitare Lucy Blink e le raccontano alcune avventure dello zio attinenti con il tema della luce. La prima delle storie che i due raccontano è dedicata proprio ad Alhazen e vede coprotagonista insieme a Topolino l'archeologo dell'avventura Indiana Pipps, che così riassume la vita del matematico arabo:
Come da tradizione in queste storie di racconto scientifico sono poi presenti i ritratti degli scenziati che hanno studiato l'argomento che si approfondisce: ![]()
Un particolare trattamento viene poi riservato all'astronoma statunitense Henrietta Swan Leavitt, che viene disneyzzata in Minnetta.
La Leavitt, assunta all'Harvard College Observatory per esaminare le foto astronomiche con il compito di misurare e catalogare le stelle in funzione della loro luminosità, scoprì la relazione tra la luminosità e le stelle variabili.
Ad ogni buon conto Henrietta era il prototipo della scienziata dell'epoca: devota al lavoro duro e alla ricerca nonostante le limitazioni cui le donne dovevano sottostare durante quel periodo. Queste carateristiche emergono perfettamente nella figura di Minnetta, che quindi è al tempo stesso il suo corrispettivo disneyano, ma anche un sentito omaggio a lei e a tutte le donne che, all'interno del mondo accademico, hanno lottato per la parità tra sessi dall'alto dei loro risultati.
Con le ministorie successive si passa ai giorni nostri, prima con un mistero tecnologico che coinvolge Macchia Nera e al cui interno Venereus inserisce una veloce spiegazione sui computer ottici, ritenuti un passo fondamentale nella costruzione dei computer quantistici, e le loro possibilità future:
L'episodio con Pippo ci porta, invece, a un problema più o meno di tutti i giorni, ovvero al così detto inquinamento luminoso, che non crea solo problemi sull'osservazione del cielo notturno, ma anche su un uso efficiente dell'illuminazione durante le ore notturne:
Un dettaglio apprezzabile è poi il suggerire come la sensibilità artistica, mostrata da Pippo, sia uno dei componenti importanti per la costruzione di un ambiente gradevole.
L'ultimo episodio, che vede protagonisti, oltre a Topolino, anche Gilberto e zia Topolinda, si concentra su due aspetti: prima di tutto il fermarsi ad apprezzare le bellezze della natura, e quindi il comprendere come anche per loro la luce sia fondamentale, grazie al processo di fotosintesi clorofilliana:
Venereus, però, riesce a unire queste storie non solo utilizzando il filo conduttore della luce, ma anche introducendo un ascoltatore nella storia, Lucy Blink, la simpatica scenziata e filantropa, organizzatrice del convegno sulla luce da cui parte la storia. Ella sta attraversando una fase di sconforto, rappresentata dal suo restare rinchiusa in casa in una stanza completamente buia. A spingerla a uscire e ritrovare il gusto verso nuove sfide ci penseranno proprio Tip e Tap con il loro racconti: in questo modo Lucy ritroverà la voglia di andare al convegno e parlare alla platea con parole intense che ricordano la passione mostrata tante volte nelle interviste da Rita Levi-Montalcini. E la sensazione che Lucy Blink sia ricalcata sulla grande scienziata italiana diventa quasi una certezza!
Come avrete ormai capito questa settimana non ho recensito tutto il numero di Topolino, ma solo la storia dedicata all'anno internazionale della luce. Questa dovete considerarla una versione estesa e al tempo stesso profondamente differente rispetto alla brevisione che verrà pubblicata domani su LSB.
I primi esperimenti di ottica, però, vennero condotti da Ibn al-Haytham, latinizzato in Alhazen, matematico arabo che scrisse una serie di trattati sull'ottica fondamentali per molti degli scienziati europei che ne raccolsero l'eredità. L'arabo è il protagonista della prima delle ministorie di cui è costituita Topolino e le avventure della luce di Matteo Venereus e Marco Mazzarello e pubblicata su Topolino #3122, ed è anche l'ispiratrice dell'ultimo ritratto della serie.
La storia ha come motore narrativo Tip e Tap, nipotini di Topolino, che vanno a visitare Lucy Blink e le raccontano alcune avventure dello zio attinenti con il tema della luce. La prima delle storie che i due raccontano è dedicata proprio ad Alhazen e vede coprotagonista insieme a Topolino l'archeologo dell'avventura Indiana Pipps, che così riassume la vita del matematico arabo:




Si può tracciare una linea retta tra ciascuna delle due serie di punti corrispondenti ai massimi e minimi, mostrando quindi che esiste una relazione semplice tra la luminosità delle variabili e i loro periodi.Nonostante questa scoperta consentì agli astronomi di realizzare le prime misurazioni delle distanze delle altre stelle rispetto alla Terra, l'astronoma ricevette ben pochi riconoscimenti in vita. Gösta Mittag-Leffler cercò di riparare a questa mancanza nominandola per il Premio Nobel nel 1926, vista l'importanza della sua scoperta nel lavoro di Edwin Hubble, ma poiché era morta nel 1921 a causa di un tumore, il premio non le venne assegnato, essendo il Nobel un riconoscimento per scienziati in vita.
Ad ogni buon conto Henrietta era il prototipo della scienziata dell'epoca: devota al lavoro duro e alla ricerca nonostante le limitazioni cui le donne dovevano sottostare durante quel periodo. Queste carateristiche emergono perfettamente nella figura di Minnetta, che quindi è al tempo stesso il suo corrispettivo disneyano, ma anche un sentito omaggio a lei e a tutte le donne che, all'interno del mondo accademico, hanno lottato per la parità tra sessi dall'alto dei loro risultati.
Con le ministorie successive si passa ai giorni nostri, prima con un mistero tecnologico che coinvolge Macchia Nera e al cui interno Venereus inserisce una veloce spiegazione sui computer ottici, ritenuti un passo fondamentale nella costruzione dei computer quantistici, e le loro possibilità future:


L'ultimo episodio, che vede protagonisti, oltre a Topolino, anche Gilberto e zia Topolinda, si concentra su due aspetti: prima di tutto il fermarsi ad apprezzare le bellezze della natura, e quindi il comprendere come anche per loro la luce sia fondamentale, grazie al processo di fotosintesi clorofilliana:


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Il caso di Charles Dexter Ward
I primi approcci di Lovecraft con i romanzi non soddisfecero appieno il gusto dello scrittore. Sia La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, scritto tra il 1926 e il 1927 (e poi pubblicato nel 1948), sia Il caso di Charles Dexter Ward, scritto subito dopo tra gennaio e marzo 1927 (e poi pubblicato nel 1941), vennero mantenuti nel cassetto del Solitario di Providence fino alla successiva scoperta e pubblicazione postuma. In particolare Il caso di Charles Dexter Ward ricade all'interno dei Miti di Cthulhu, il 6.o tra racconti e romanzi nella cronologia di scrittura, grazie alla presenza, all'interno delle invocazioni di Yogh-Sothoth, in grado di dare a chi ne usa il nome, il potere di evocare qualunque cosa.
L'idea di base è semplice: un giovane, Charles Dexter Ward, scopre di possedere un antenato del cui passato si preferisce tacere. Il ragazzo, incuriosito, inizia una ricerca storica, che lo porta a recuperare le sue perdute carte e un ritratto in cui Joseph Curwen, il lontano parente, risulta una goccia d'acqua (a parte una cicatrice) con il suo discendente. Inizia, allora, un'ossessionante vicenda fatta di evocazioni, follia, presunzione che viene ricomposta come una sorta di lungo flashback a partire dalla sparizione di CDW dal manicomio in cui era stato rinchiuso.
Questa atmosfera destabilizzanteè in un certo senso un riflesso di quello stesso percorso di destabilizzazione che la scienza ha intrapreso sin dai tempi di Copernico, Keplero e Galilei che avevano tolto alla Terra il suo posto al centro dell'universo per spostarla a semplice satellite del Sole. A questo primo passo si era poi aggiunto Darwin, che aveva tolto al genere umano il ruolo superiore all'interno del mondo naturale, e infine ecco che non solo la geometria euclidea si dimostrava come una delle molte possibili (aprendo, di fatto, possibilità narrative allo stesso Lovecraft che discussi tempo addietro), ma la fisica moderna forniva gli ultimi colpi. Infatti da un lato la relatività sottraeva all'uomo il tempo come concetto assoluto e dall'altro la meccanica quantistica lo trasformava in un semplice frutto del caso. In un contesto in cui persino la scienza sembrava, quindi, eliminare qualunque punto fermo, era quasi inevitabile per Lovecraft, che alla scienza si interessava e cui in qualche mido si ispirava, sviluppare una mitologia cosmica oscura che poneva il genere umano di fronte a orrori innominabili, giusto appena descrivibili. Divinità più vecchie del pianeta abitavano i suoi meandri sotterranei, utilizzando gli esseri umani come cibo o come mezzo per ottenere potere, ispiando audaci e folli in imprese irripetibili. In effetti nei racconti e nei romanzi di Lovecraft è sempre sottile la differenza tra audaci e folli, separati uno dall'altro solo dalla capacità del lettore di comprenderne le motivazioni. E' in questa linea d'ombra che ricade Charles Dexter Ward, che parte per essere un novello Prometeo, ma che alla fine si ritrova ad essere l'ennesimo Faust, in una vicenda che può essere considerata a tutti gli effetti una variazione al contrario del Ritratto di Dorian Gray.
L'unico a non perdere la rotta in questa sorta di mare in tempesta è proprio Willett, che utilizzando ora l'intuizione, ora la conoscenza e la pazienza riesce a ricostruire la vicenda, raccontata in terza persona dallo scrittore con uno stile al tempo stesso distaccato ma non per questo meno inquietante. Willett, in un certo senso, sembra essere una variazione su Einstein: le due figure potrebbero essere accostate, a un livello abbastanza superficiale. Entrambi, infatti, si ritrovano in disaccordo con le rispettive comunità, andando a cercare invece spiegazioni differenti, per certi aspetti più semplici, ma comunque suffragate da indizi solidi. Le differenze, invece, stanno nella libertà di divulgare le proprie scoperte: Willett, infatti, si lega a un voto di silenzio che ha più l'idea di proteggere la famiglia di Charles, che non la paura di non essere creduto.
Le modifiche, però, non solo sono coerenti con quanto raccontato da Lovecraft, ma in un certo senso completano la vicenda, la rendono più verosimile. Innanzitutto la trasposizione di Culbard, che dallo spazio si avvicina con zoom successivi fino al manicomio e alla cella di Charles ormai vuota, parte con l'interrogatorio di Willett, l'ultimo ad aver incontrato il paziente sulla cui scomparsa si sta iniziando a indagare. E qui, mentre Willet pensa alla risposta da dare al suo inquisitore, inizia il flashback sul Caso di Charles Dexter Ward.
Altre modifiche minori sono poi nella ridisposizione di alcuni eventi: il fumetto, infatti, non segue cronologicamente il romanzo. Laddove Lovecraft forniva le informazioni in funzione degli effetti che gli interessava ottenere, Culbard ha invece l'obiettivo di non creare salti eccessivi e rappresentare ogni passaggio nel modo più lineare possibile. A questo, poi, c'è da aggiungere la scelta di comprimere giusto un paio di scene che, però, e forse è l'unico difetto, perdono il loro impatto emotivo così come raccontato originariamente da Lovecraft. D'altra parte il fumettista ha anche ben chiare quali devono essere le scene chiave su cui far soffermare l'attenzione del lettore.
In effetti l'obiettivo è umanizzare più di quanto fatto da Lovecraft la figura di Willett, e in questo senso il finale, che costituisce la modifica maggiore di Culbard al testo originale, è al tempo stesso più logico e amaro del finale lovecraftiano, dando al lettore il senso di una missione, quella del dottore di Charles, che non è più quella di preservare la famiglia, ma la Terra intera.
Il caso di Charles Dexter Wardè stato pubblicato per la prima volta su Weird Tales ##35-36 del 1941.
L'illustrazione di apertura è opera di Ian Miller.
L'idea di base è semplice: un giovane, Charles Dexter Ward, scopre di possedere un antenato del cui passato si preferisce tacere. Il ragazzo, incuriosito, inizia una ricerca storica, che lo porta a recuperare le sue perdute carte e un ritratto in cui Joseph Curwen, il lontano parente, risulta una goccia d'acqua (a parte una cicatrice) con il suo discendente. Inizia, allora, un'ossessionante vicenda fatta di evocazioni, follia, presunzione che viene ricomposta come una sorta di lungo flashback a partire dalla sparizione di CDW dal manicomio in cui era stato rinchiuso.
Destabilizzazione dell'essere umano
A una lettura quanto più attenta possibile del Caso di Charles Dexter Ward, si può osservare come l'atmosfera generale del testo sia altamente destabilizzante. Non solo viene in ogni momento messa in dubbio la sanità mentale del giovane protagonista, ma il dottor Willett, medico di fiducia della famiglia Ward, mette in dubbio quasi a ogni passo le certezze degli alienisti riguardo la follia di Charles, ribaltando continuamente la situazione. Ciò è man mano aggravato quando le informazioni che Lovecraft fornisce ai lettori seminano una sorta di ambiguità sull'identità stessa di alcuni dei personaggi del dramma, mentre il senso di precarietà viene ulteriormente acuito dalle reazioni dei genitori del giovane.Questa atmosfera destabilizzanteè in un certo senso un riflesso di quello stesso percorso di destabilizzazione che la scienza ha intrapreso sin dai tempi di Copernico, Keplero e Galilei che avevano tolto alla Terra il suo posto al centro dell'universo per spostarla a semplice satellite del Sole. A questo primo passo si era poi aggiunto Darwin, che aveva tolto al genere umano il ruolo superiore all'interno del mondo naturale, e infine ecco che non solo la geometria euclidea si dimostrava come una delle molte possibili (aprendo, di fatto, possibilità narrative allo stesso Lovecraft che discussi tempo addietro), ma la fisica moderna forniva gli ultimi colpi. Infatti da un lato la relatività sottraeva all'uomo il tempo come concetto assoluto e dall'altro la meccanica quantistica lo trasformava in un semplice frutto del caso. In un contesto in cui persino la scienza sembrava, quindi, eliminare qualunque punto fermo, era quasi inevitabile per Lovecraft, che alla scienza si interessava e cui in qualche mido si ispirava, sviluppare una mitologia cosmica oscura che poneva il genere umano di fronte a orrori innominabili, giusto appena descrivibili. Divinità più vecchie del pianeta abitavano i suoi meandri sotterranei, utilizzando gli esseri umani come cibo o come mezzo per ottenere potere, ispiando audaci e folli in imprese irripetibili. In effetti nei racconti e nei romanzi di Lovecraft è sempre sottile la differenza tra audaci e folli, separati uno dall'altro solo dalla capacità del lettore di comprenderne le motivazioni. E' in questa linea d'ombra che ricade Charles Dexter Ward, che parte per essere un novello Prometeo, ma che alla fine si ritrova ad essere l'ennesimo Faust, in una vicenda che può essere considerata a tutti gli effetti una variazione al contrario del Ritratto di Dorian Gray.

La versione a fumetti
Il romanzo di Lovecraft, come tutta la sua produzione riguardante i Miti di Cthulhu, a dire il vero, risulta sufficientemente evocativa da diventare il terzo passo di I.N.J. Culbard nel suo percorso di trasposizione a fumetti di Lovecraft. Dopo L'orrore di Dunwich, su testi di Rob Davis apparso sul volume 1 dell'Antologia Lovecraft, e Le montagne della follia, è proprio Il caso di Charles Dexter Ward a interessare al fumettista, che lo trasporta in fumetto in maniera quasi fedele al testo originario.Le modifiche, però, non solo sono coerenti con quanto raccontato da Lovecraft, ma in un certo senso completano la vicenda, la rendono più verosimile. Innanzitutto la trasposizione di Culbard, che dallo spazio si avvicina con zoom successivi fino al manicomio e alla cella di Charles ormai vuota, parte con l'interrogatorio di Willett, l'ultimo ad aver incontrato il paziente sulla cui scomparsa si sta iniziando a indagare. E qui, mentre Willet pensa alla risposta da dare al suo inquisitore, inizia il flashback sul Caso di Charles Dexter Ward.

In effetti l'obiettivo è umanizzare più di quanto fatto da Lovecraft la figura di Willett, e in questo senso il finale, che costituisce la modifica maggiore di Culbard al testo originale, è al tempo stesso più logico e amaro del finale lovecraftiano, dando al lettore il senso di una missione, quella del dottore di Charles, che non è più quella di preservare la famiglia, ma la Terra intera.
Il caso di Charles Dexter Wardè stato pubblicato per la prima volta su Weird Tales ##35-36 del 1941.
L'illustrazione di apertura è opera di Ian Miller.
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I rompicapi di Alice: Il problema dei figli
A volte i figli sono anche pezzi di matematica
Prendiamo un noto dilemma matematico, il problema di Monty Hall nella formulazione data da Craig F. Whitaker nel 1990 in una lettera indirizzata alla rivista Parade per la rubrica di Marilyn vos Savant(1):
Cosa c'è di diverso tra di due casi?
Un modo per capirlo è esaminare il problema dei figli, formulato per la prima volta nel 1959 da Martin Gardner(3).
Torniamo, però, ai figli di Mr. Smith.
Se invece l'informazione ci viene fornita da Mr. Smith, ovvero almeno un ragazzo, allora il risultato diventa 1/3 (pur se questo è evidentemente una soluzione del tipo centrata sul ragazzo)(2, 3).
(1) Per semplicità ho utilizzato la traduzione presente su it.wiki
(2) Bar-Hillel, M., & Falk, R. (1982). Some teasers concerning conditional probabilities Cognition, 11 (2), 109-122 DOI: 10.1016/0010-0277(82)90021-X (pdf)
(3) Tanya Khovanova (2012). Martin Gardner’s Mistake The College Mathematics Journal, 43 (1), 20-24 DOI: 10.4169/college.math.j.43.1.020
Prendiamo un noto dilemma matematico, il problema di Monty Hall nella formulazione data da Craig F. Whitaker nel 1990 in una lettera indirizzata alla rivista Parade per la rubrica di Marilyn vos Savant(1):
Supponi di partecipare a un gioco a premi, in cui puoi scegliere fra tre porte: dietro una di esse c'è un'automobile, dietro le altre, capre. Scegli una porta, diciamo la numero 1, e il conduttore del gioco a premi, che sa cosa si nasconde dietro ciascuna porta, ne apre un'altra, diciamo la 3, rivelando una capra. Quindi ti domanda: "Vorresti scegliere la numero 2?" Ti conviene cambiare la tua scelta originale?Se esaminiamo il problema da un punto di vista probabilistico, otteniamo che cambiando porta ci sono i 2/3 di probabilità di vincere l'auto mentre mantenendo la scelta iniziale la probabilità è di 1/3. E' un problema abbastanza noto e ben esaminato, citato anche in alcuni romanzi, due dei quali ho anche avuto l'ardire di leggere (Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon e PopCo di Scarlett Thomas), ma ne esiste una variante interessante: supponiamo che il conduttore non conosca cosa si nasconda dietro ciascuna porta. In questo caso quando il conduttore aprirà una delle altre porte, avrà probabilità 1/3 di trovare l'automobile, e nel caso (fortunato per il concorrente) in cui dietro la porta aperta si nasconde una delle due capre, allora la probabilità di trovare l'automobile, sia che si cambi porta sia che si resti su quella scelta in origine, resta 1/2.
Cosa c'è di diverso tra di due casi?
Un modo per capirlo è esaminare il problema dei figli, formulato per la prima volta nel 1959 da Martin Gardner(3).
I figli di Mr. Smith
Gardner, sulle colonne della sua rubrica su Scientific American propose due problemi abbastanza simili: 1) Mr. Smith ha due figli. Almeno uno di essi è un ragazzo. Quale è la probabilità che entrambi i figli siano ragazzi?
2) Mr. Jones ha due figli. Il figlio più vecchio è una ragazza. Quale è la probabilità che entrambi i figli siano ragazze?
Concentriamoci sul primo. Questa la risposta che diede Martin Gardner: 2) Mr. Jones ha due figli. Il figlio più vecchio è una ragazza. Quale è la probabilità che entrambi i figli siano ragazze?
Se Smith ha due figli, di cui almeno uno è un ragazzo, abbiamo tre casi egualmente probabili: ragazzo-ragazzo, ragazzo-ragazza, ragazza-ragazzo. In un solo caso entrambi i figli sono ragazzi, così la probabilità che entrambi siano ragazzi è 1/3.(3)Come sottolineato successivamente dallo stesso Martin Gardner, il problema presenta un certo grado di ambiguità dovuto a come viene ricavata l'informazione almeno uno dei figli è un ragazzo. Gardner determinò l'esistenza di due procedure:
(1) Prendiamo tutte le famiglie con due figli, uno dei quali è un ragazzo. Se Mr. Smith è scelto a caso da questa lista, allora la risposta è 1/3.
(2) Prendiamo una famiglia a caso con due figli; supponiamo che il padre sia Mr. Smith. Allora se la famiglia ha due ragazzi, Mr. Smith dice, "Almeno uno di essi è un ragazzo". Se ha due ragazze, egli afferma, "Almeno uno di essi è una ragazza". Se ha un ragazzo e una ragazza egli lancia una moneta per scegliere quale delle due frasi dire. In questo caso la probabilità che entrambi i figli siano dello stesso sesso è 1/2.(3)
Seguendo Tanya Khovanova(3), possiamo definire la procedura (1) come centrata sul ragazzo e la (2) come neutrale in genere. La simpatica matematica russa, però, va oltre e suggerisce l'esistenza di due ulteriori procedure: (2) Prendiamo una famiglia a caso con due figli; supponiamo che il padre sia Mr. Smith. Allora se la famiglia ha due ragazzi, Mr. Smith dice, "Almeno uno di essi è un ragazzo". Se ha due ragazze, egli afferma, "Almeno uno di essi è una ragazza". Se ha un ragazzo e una ragazza egli lancia una moneta per scegliere quale delle due frasi dire. In questo caso la probabilità che entrambi i figli siano dello stesso sesso è 1/2.(3)
(3) Supponiamo che Mr. Smith voglia vantarsi dei suoi figli e li menzioni sempre ogni volta che può. In questo caso la procedura potrebbe essere la seguente: se ha due ragazzi, egli dice: "Ho due ragazzi". Se ha un figlio, dice "Almeno uno di loro è un ragazzo". In questo caso la risposta al problema è 0.
(4) Supponiamo che Mr. Smith non ami i ragazzi, e voglia minimizzare il numero di figli maschi. In questo caso la procedura potrebbe essere la seguente: se ha due ragazzi, egli afferma, "Almeno uno di essi è un ragazzo". Se ha un ragazzo e una ragazza, egli dice, "Sono il fiero padre di una ragazza". In questo caso la risposta è 1.
A questo punto è chiaro che le due varianti del problema di Monty Hall differiscono per il modo in cui il concorrente ottiene l'informazione. E' anzi possibile formulare tale problema in maniera ambigua dimenticandosi opportunamente di specificare se il conduttore conosca o meno la disposizione dei premi dietro le porte.(4) Supponiamo che Mr. Smith non ami i ragazzi, e voglia minimizzare il numero di figli maschi. In questo caso la procedura potrebbe essere la seguente: se ha due ragazzi, egli afferma, "Almeno uno di essi è un ragazzo". Se ha un ragazzo e una ragazza, egli dice, "Sono il fiero padre di una ragazza". In questo caso la risposta è 1.
Torniamo, però, ai figli di Mr. Smith.
Approccio bayesiano
E' interessante osservare come, utilizzando l'analisi bayesiana (ovvero utilizzando il Teorema di Bayes: una sua formulazione la trovate sul post di Andrea Capozio sul KDD) si ottengano i due risultati già ottenuti da Gardner in funzione di differenti condizioni al contorno. Ad esempio, supponiamo con Bar-Hillel e Falk(2) di aver verificato che uno dei figli di Mr. Smith è un maschio. Allora in questo caso il risultato sarà 1/2, come potete constatare anche dalla tabella qui sotto(2): 
Il ragazzo nato di martedì
Nel 2010, durante il decimo Gathering for Gardner, Gary Foshee propose la seguente variazione sul problema (magari ispirata alla famosa filastrocca di Solomon Grundy): Ho due figli. Uno è un ragazzo nato di martedì. Quale è la probabilità di avere due ragazzi?Anche questa variazione sul problema dei figli originario risulta sufficientemente ambigua da presentare quattro soluzioni, di cui due hanno identico risultato finale. Dei quattro approcci vi propongo qui quello più neutrale possibile:
Procedura neutrale in genere, neutrale in giorno della settimana.E' facile immaginare gli altri tre scenari: quello centrato sul ragazzo e neutrale sul giorno, che è simile alla prima soluzione fornita da Gardner e che quindi fornisce un risultato di 1/3; quello centrato sia sul ragazzo sia sul giorno della settimana, che fornisce come risultato 13/27, soluzione trovata da Keith Devlin (che il mese successivo, proprio come Gardner, andò a correggere quella sua soluzione); e infine neutrale in genere ma centrato sul giorno della settimana, che fornisce nuovamente la soluzione 1/2, come giusto che sia.
In questo scenario, un padre di due figli è scelto a caso. Egli è istruito a scegliere un figlio lanciando una moneta. Allora egli deve fornire informazioni corrette riguardo il figlio scelto nel seguente formato: "Ho un/a figlio/a nato/a il Lun/Mar/Mer/Gio/Ven/Sab/Dom". Se afferma che "Ho un figlio nato il Martedì", quale è la probabilità che l'altro figlio è anch'esso un maschio?
La soluzione è la seguente: Un padre ha due figlie in 49 casi. Così un padre fornirà l'affermazione precedente con una probabilità nulla. Un padre ha un figlio e una figlia in 98 casi, e ciò produrrà la precedente affermazione con una probabilità di 1/14: con probabilità 1/2 il figlio è scelto sulla figlia e con probabilità 1/7 Martedì è il giorno di nascita. Un padre ha due figli in 49 casi, e fornirà la precedente affermazione con probabilità 1/7. Il padre di due figli ha probabilità doppia di affermare ciò rispetto al padre con un figlio e una figlia, ma ci sono la metà dei padri di questo genere. Così la probabilità è 1/2 che l'altro figlio sia anch'esso un ragazzo. Questo è lo scenario più simmetrico e produce la risposta più simmetrica.(3)
(1) Per semplicità ho utilizzato la traduzione presente su it.wiki
(2) Bar-Hillel, M., & Falk, R. (1982). Some teasers concerning conditional probabilities Cognition, 11 (2), 109-122 DOI: 10.1016/0010-0277(82)90021-X (pdf)
(3) Tanya Khovanova (2012). Martin Gardner’s Mistake The College Mathematics Journal, 43 (1), 20-24 DOI: 10.4169/college.math.j.43.1.020
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Punti di razionalità
Pazza idea di un pi greco razionale...
Tutto inizia da un articolo su Stabroek News dove si annuncia che una matematica della Guyana, Lorna A. Willis, ha risolto alcuni dei problemi più noti della matematica greca, come per esempio la quadratura del cerchio (cui ho dedicato uno spazio nella terza parte della storia di $\pi$), utilizzando strumenti semplici come quelli che possedevano tali matematici.
Al di là delle dimostrazioni più o meno complicate sull'impossibilità di quadrare il cerchio con compasso e righello, un risultato accessorio è la dimostrazione della razionalità di $\pi$ e del numero di Nepero.
Il procedimento proposto dalla matematica (che tra l'altro lavora presso il dipartimento di fisica dell'Università delle Indie Occidentali, in Giamaica) è quello di partire da una pagina completamente coperta da puntini e qui costruire circonferenza e quadrato a partire da un triangolo rettanglo di cateti 2 e 1 (dove 1 è la distanza orizzontale o verticale tra due punti). Alla fine della serie di disegni, in cui è assente un qualunque riferimento ai ben noti criteri e teoremi di congruenza, vengono determinati un quadrato e un cerchio che si asserisce possedere la stessa area. Utilizzando geogebra, ho riprodotto l'ultima figura dell'articolo (che è in open access, quindi potete dargli un'occhiata) inserendo a lato l'area delle due figure, giusto per verificare se l'asserzione fosse in qualche modo corretta:
Come avrete potuto immaginare, però, le due aree sono differenti, facendo così crollare la presunta dimostrazione della razionalità di $\pi$.
Sarebbe stato sicuramente differente se l'idea fosse stata quella di mostrare un nuovo metodo approssimato per calcolare il $\pi$, invece così mi sembra l'ennesimo articolo degno di un IgNoble. E forse nemmeno di quello.
Aggiornamento: sulla quadratura del cerchio, vi propongo quanto scritto un po' di tempo fa da Marco Cameriero
A. Willis, L. (2014). New Parameter for Defining a Square: Exact Solution to Squaring the Circle; Proving π is Rational American Journal of Applied Mathematics, 2 (3) DOI: 10.11648/j.ajam.20140203.11
Tutto inizia da un articolo su Stabroek News dove si annuncia che una matematica della Guyana, Lorna A. Willis, ha risolto alcuni dei problemi più noti della matematica greca, come per esempio la quadratura del cerchio (cui ho dedicato uno spazio nella terza parte della storia di $\pi$), utilizzando strumenti semplici come quelli che possedevano tali matematici.
Al di là delle dimostrazioni più o meno complicate sull'impossibilità di quadrare il cerchio con compasso e righello, un risultato accessorio è la dimostrazione della razionalità di $\pi$ e del numero di Nepero.
Il procedimento proposto dalla matematica (che tra l'altro lavora presso il dipartimento di fisica dell'Università delle Indie Occidentali, in Giamaica) è quello di partire da una pagina completamente coperta da puntini e qui costruire circonferenza e quadrato a partire da un triangolo rettanglo di cateti 2 e 1 (dove 1 è la distanza orizzontale o verticale tra due punti). Alla fine della serie di disegni, in cui è assente un qualunque riferimento ai ben noti criteri e teoremi di congruenza, vengono determinati un quadrato e un cerchio che si asserisce possedere la stessa area. Utilizzando geogebra, ho riprodotto l'ultima figura dell'articolo (che è in open access, quindi potete dargli un'occhiata) inserendo a lato l'area delle due figure, giusto per verificare se l'asserzione fosse in qualche modo corretta:

Sarebbe stato sicuramente differente se l'idea fosse stata quella di mostrare un nuovo metodo approssimato per calcolare il $\pi$, invece così mi sembra l'ennesimo articolo degno di un IgNoble. E forse nemmeno di quello.
Aggiornamento: sulla quadratura del cerchio, vi propongo quanto scritto un po' di tempo fa da Marco Cameriero
A. Willis, L. (2014). New Parameter for Defining a Square: Exact Solution to Squaring the Circle; Proving π is Rational American Journal of Applied Mathematics, 2 (3) DOI: 10.11648/j.ajam.20140203.11
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La festa dei nonni su Topolino #3123


La storia parte dal parallelo tra i due protagonisti della storia e i rispettivi nipoti (nel caso di Elvira stiamo parlando di Ciccio, che è anche uno dei suoi molti nipoti), che mostrano di non comprendere appieno i loro avi. Così, ritrovandosi per un caso, decisamente incredibile, nel parco di Paperopoli, i due iniziano a chiacchierare, scoprendo di avere molte più cose in comune di quello che pensavano.
Nasce una incredibile amicizia, che si sviluppa con una serie di scene piuttosto giocose e forse anche banali, come fare scherzi citofonici, disturbare al cinema, lanciarsi a rotta di collo lungo una discesa. Nonno Bassotto, poi, sembra comportarsi più come uno spasimante che non come un amico e confidente, mentre il suo piano viene svelato nel finale della storia, che giunge improvviso e risulta alquanto sbrigativo, riportando alla normalità senza alcuna piccola concessione alla parte romantica del lettore, stimolata per tutta la lettura della storia.
Se il suo sviluppo è, necessariamente, lontano come contenuti rispetto a I piccoli ruscelli di Rabaté, non si avvicina nemmeno allo spirito di quest'opera, che poi è quello di raccontare come la vecchiaia possa essere ancora piena di gioie.

Le dinamiche nonno-nipote qui sono differenti e simili al tempo stesso: a complicare, infatti, non c'è solo la distanza generazionale, ma questa viene acuita da un astio e una diffidenza di fondo spesso presenti nelle persone anziane le cui cause non sono mai chiare. Nel caso di Pippo, però, il suo migliore amico, Topolino, riesce a scoprire i motivi dell'astio del nonno e ciò permette la riconciliazione tra i due.
L'efficacia della storia, che di fatto ripresenta in questo senso una formula molto gottfredsoniana, sta sia nello sfruttare il rapporto tra nonno e nipote che imbastire gag divertenti, sia nel riuscire a incastrare il momento dell'indagine di Topolino, sia una giusta parentesi avventurosa. A impreziosire il tutto è poi la pagina conclusiva, un sentito omaggio dal gusto romantico all'aviazione storica, quella fatta sui vecchi aerei a elica.

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Quel tornado di zia Mame

Ad ogni buon conto è proprio Virginia a esordire nel mondo letterario con due romanzi, nel 1953 e nel 1954, prima che fosse Pat a reclamare un po' di spazio: e così inizia a circolare il manoscritto di Auntie Mame, in italiano zia Mame, in realtà una raccolta di racconti la cui protagonista è ispirata a Marion Tanner, zia di Edward Everett. La leggenda narra che il libro ricevette 19 rifiuti da altrettanti editori, fino a che non finì sulle scrivanie degli uffici della Vanguard Press che evidentemente ci vide qualcosa di sufficientemente positivo da voler rischiare la pubblicazione. In effetti al libro mancava giusto quel qualcosa: perdere l'aspetto di una raccolta di racconti. Per fornire a ciascuno degli 11 racconti una sorta di concatenazione logica, l'editor della Vanguard, Julian Muller, ebbe l'idea di introdurre ciascun racconto con un riferimento a un personaggio reale (e ovviamente fittizio!) le cui gesta venivano raccontate su Selezione che procedevano in parallelo con le imprese di Mame.
Il dubbio che Mame sia una persona realmente esistente, presente nel libro, visto che lo scrittore si chiama come il nipote di Mame, viene ulteriormente cavalcato grazie alla geniale mossa di marketing di inviare ai librai una lettera a firma Mame Dennis in cui veniva intimata una qualche azione legale nel caso anche solo una copia del libro fosse stata venduta a chicchessia.
I libri, si sa, vivono del passaparola, e quindi è inevitabile immaginare che parte del successo di zia Mame sia dovuto all'aura leggendaria abilmente costruitagli intorno dallo scrittore e dall'editore, ma un'altra consistente parte del successo del romanzo è dovuta proprio alla capacità di ciascun racconto di catturare il lettore all'interno delle divertenti e in alcuni casi addirittura esilaranti (penso, ad esempio, a una certa cavalcata in una fattoria del sud degli Stati Uniti) avventure di zia Mame. D'altra parte la forza del personaggio sta nel suo carattere esuberante, nel suo non darsi mai per vinta, nel suo essere (più o meno) mai ferma, sempre in movimento con una nuova idea. E la vita con lei non deve essere stata poi così semplice, tra feste di gala e altre avventure di qua e di là, e questo lo si può arguire non solo dalla lettura del romanzo (che, si spera, non sia completamente aderente alla realtà), ma anche dal gran respiro di sollievo che il Tanner maggiordomo tirò con l'interpretazione del suo ultimo personaggio:
Quando uno passa trent'anni ad ascoltare conversazioni fatue, servire a tavola gli sembra molto meglio che chiacchierare.Un libro bello e divertente che, per mia fortuna, ho letto mentre ero in casa, altrimenti chissà come mi avrebbero guardato vedendomi piegato in due dalle risate, senza nemmeno un televisore davanti.
In apertura un fotogramma dal film La signora mia zia del 1958 diretto da Morton DaCosta con Rosalind Russell nel ruolo della spumeggiante zia Mame
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Cos'è la fisica?
Questo mi sembra il giorno migliore per proseguire la traduzione del saggio di Eugene Wigner su fisica e matematica.
Il fisico è interessato alla scoperta delle leggi della natura inanimata. Per comprendere questa affermazione, è necessatio analizzare il concetto "legge della natura".
Il mondo intorno a noi è di una complessità sconcertante e il fatto più ovvio a riguardo è che non possiamo predire il futuro. Sebbene la battuta attribuisce solo all'ottimista la visione che il futuro è incerto, l'ottimista in questo caso ha ragione: il futuro è imprevedibile. Come ha osservato Schrodinger, è un miracolo che nonostante la sconcertante complessità del mondo, si possano scoprire certe regolarità negli eventi. Una di queste regolarità, scoperta da Galileo, è che due sassi, gettati nello stesso istante dalla stessa altezza, raggiungono terra nello stesso momento. Le leggi della natura riguardano queste regolarità. La regolarità di Galileo è un prototipo per una grande classe di regolarità. E' una regolarità sorprendente per tre ragioni.
La prima ragione per cui è sorprendente è che è vera non solo a Pisa, e all'epoca di Galileo, è vera ovunque sulla Terra, era sempre vera, e sempre sarà vera. Questa proprietà della regolarità è una proprietà di invarianza riconosciuta e, come ho avuto modo di osservate un po' di tempo fa, senza principi di invarianza similari a quello coinvolto nella precedente generalizzazione dell'osservazione di Galileo, la fisica non sarebbe possibile. La seconda sorprendente caratteristica è che la regolarità che stiamo discutendo è indipendente dalle tante condizioni che potrebbero avere un effetto su di essa. E' valida sia se piove sia se no, sia e l'esperimento è condotto in una stanza sia da una torre pendente, non importa se la persona che getta i sassi è un uomo o una donna. E' valida anche se i due sassi sono gettati, simultaneamente e dalla stessa altezza, da due persone differenti. Ci sono, ovviamente, innumerevoli altre condizioni che sono tutte irrilevanti dal punto di vista della validità della regolarità di Galileo. L'irrilevanza di così tante circostanze che potrebbero giocare un ruolo nei fenomeni osservati è stata ancora chiamata invarianza. Comunque, questa invarianza è di un carattere differente dalla precedente poiché non può essere formulata come un principio generale. L'esplorazione delle condizioni che hanno, e che non hanno, un'influenza sui fenomeni è parte delle prime esplorazioni sperimentali di un campo. E' l'abilità e l'ingegno dello sperimentatore che gli mostrano fenomeni che dipendono da un insieme relativamente ristretto di condizioni relativamente semplici da realizzare e riprodurre(1). Nel caso specifico, la restrizione di Galileo delle sue osservazioni a corpi relativamente pesanti fu il passo più importante a riguardo. Di nuovo, è vero che se non esistessero fenomeni che sono indipendenti da tutto tranne che da un maneggevolmente piccolo insieme di condizioni, la fisica sarebbe impossibile.
I precedenti due punti, sebbene altamente significativi dal punto di vista del filosofo, non sono quelli che sorpresero di più Galileo, né contengono una specifica legge di natura. La legge di natura è contenuta nell'asserzione che la lunghezza del tempo che ci vuole per un oggetto pesante a cadere da una determinata altezza è indipendente da dimensione, materiale, e forma del corpo che cade. Nel contesto della seconda "legge" di Newton, ciò equivale ad affermare che la forza gravitazionale che agisce sul corpo in caduta è proporzionale alla sua massa ma indipendente da dimensioni, materiale, e forma del corpo che cade.
La discussione precedente ha lo scopo di ricordare, in primo luogo, che non è affatto naturale che esistano delle "leggi della natura", e tanto meno che l'uomo è in grado di scoprirle(2). Chi scrive ha avuto modo, qualche tempo fa, di richiamare l'attenzione alla successione di strati delle "leggi della natura", con ogni strato che ne contiene uno più generale e più compiuto di leggi rispetto al precedente e costituendo la sua scoperta una più profonda penetrazione nella struttura dell'universo rispetto agli strati riconosciuti in precedenza. Tuttavia, il punto che è più significativo nel presente contesto è che tutte queste leggi della natura contengono, anche nelle loro remote conseguenze, solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo inanimato. Tutte le leggi della natura sono istruzioni condizionali che permettono una previsione di alcuni eventi futuri sulla base della conoscenza del presente, eccetto per alcuni aspetti dello stato attuale stato del mondo, in pratica la stragrande maggioranza delle determinanti dello stato attuale del mondo, che sono irrilevanti dal punto di vista della predizione. L'irrilevanza è intesa nel senso del secondo punto nella discussione del teorema di Galileo(3).
Per quanto riguarda l'attuale stato del mondo, così come l'esistenza della terra su cui viviamo e su cui sono stati eseguiti gli esperimenti di Galileo, l'esistenza del sole e di tutti i nostri ambienti, le leggi della natura sono completamente silenziose. E' in consonanza con questo, innanzitutto, che le leggi della natura passono essere usate per predire eventi futuri solo in circostanze eccezionali, quando sono note tutte le determinanti rilevanti per lo stato presente del mondo. E' inoltre in armonia con ciò che la costruzione di macchine, il cui funzionamento si può prevedere, costituisce la più spettacolare realizzazione del fisico. In queste macchine, il fisico crea una situazione in cui tutte le coordinate relative sono note così che il comportamento della macchina può essere previsto. Radar e reattori nucleari sono esempi di tali macchine.
Lo scopo principale della discussione precedente è sottolineare che le leggi della natura sono tutte istruzioni condizionali e si riferiscono solo a una piccola parte della nostra conoscenza del mondo. Così, la meccanica classica, che è il prototipo più noto per una teoria fisica, fornisce le derivate seconde delle coordinate posizionali di tutti i corpi, sulla base della conoscenza delle posizioni, ecc, di tali corpi. Essa non fornisce alcuna informazione circa l'esistenza, le attuali posizioni, o la velocità di questi corpi. Va ricordato, per amore di precisione, che abbiamo scoperto circa 30 anni fa che anche le istruzioni condizionali non possono essere del tutto precise: che le istruzioni condizionali sono leggi di probabilità che ci permettono solo di piazzare delle scommesse intelligenti sulle proprietà future del mondo inanimato, basate sulla conoscenza dello stato attuale. Esse non ci permettono di fare affermazioni categoriche, nemmeno affermazioni categoriche condizionali sullo stato attuale del mondo. La natura probabilistica delle "leggi di natura" si manifesta anche nel caso delle macchine, e può essere verificata, almeno nel caso di reattori nucleari, se uno li fa funzionare a potenza molto bassa. Tuttavia, l'ulteriore limitazione del campo di applicazione delle leggi di natura che segue dalla loro natura probabilistica non avrà alcun ruolo nel resto della discussione.
(1) Vedere, a tal proposito, il saggio grafico di M. Deutsch, Daedalus 87, 86 (1958). A. Shimony ha richiamato la mia attenzione verso un passaggio simile in Essays in the Philosophy of Science (New York: The Liberal Arts Press, 1957), p. 237 di C. S. Peirce.
(2) E. Schrodinger, nel suo What is Life? (Cambridge: Cambridge University Press, 1945), p. 31, afferma che questo secondo miracolo potrebbe essere al di là della comprensione umana.
(3) Lo scrittore si sente sicuro che non è necessario ricordare che il teorema di Galileo, come indicato nel testo, non esaurisce il contenuto delle osservazioni di Galileo in connessione con le leggi dei corpi in caduta libera.

Il mondo intorno a noi è di una complessità sconcertante e il fatto più ovvio a riguardo è che non possiamo predire il futuro. Sebbene la battuta attribuisce solo all'ottimista la visione che il futuro è incerto, l'ottimista in questo caso ha ragione: il futuro è imprevedibile. Come ha osservato Schrodinger, è un miracolo che nonostante la sconcertante complessità del mondo, si possano scoprire certe regolarità negli eventi. Una di queste regolarità, scoperta da Galileo, è che due sassi, gettati nello stesso istante dalla stessa altezza, raggiungono terra nello stesso momento. Le leggi della natura riguardano queste regolarità. La regolarità di Galileo è un prototipo per una grande classe di regolarità. E' una regolarità sorprendente per tre ragioni.
La prima ragione per cui è sorprendente è che è vera non solo a Pisa, e all'epoca di Galileo, è vera ovunque sulla Terra, era sempre vera, e sempre sarà vera. Questa proprietà della regolarità è una proprietà di invarianza riconosciuta e, come ho avuto modo di osservate un po' di tempo fa, senza principi di invarianza similari a quello coinvolto nella precedente generalizzazione dell'osservazione di Galileo, la fisica non sarebbe possibile. La seconda sorprendente caratteristica è che la regolarità che stiamo discutendo è indipendente dalle tante condizioni che potrebbero avere un effetto su di essa. E' valida sia se piove sia se no, sia e l'esperimento è condotto in una stanza sia da una torre pendente, non importa se la persona che getta i sassi è un uomo o una donna. E' valida anche se i due sassi sono gettati, simultaneamente e dalla stessa altezza, da due persone differenti. Ci sono, ovviamente, innumerevoli altre condizioni che sono tutte irrilevanti dal punto di vista della validità della regolarità di Galileo. L'irrilevanza di così tante circostanze che potrebbero giocare un ruolo nei fenomeni osservati è stata ancora chiamata invarianza. Comunque, questa invarianza è di un carattere differente dalla precedente poiché non può essere formulata come un principio generale. L'esplorazione delle condizioni che hanno, e che non hanno, un'influenza sui fenomeni è parte delle prime esplorazioni sperimentali di un campo. E' l'abilità e l'ingegno dello sperimentatore che gli mostrano fenomeni che dipendono da un insieme relativamente ristretto di condizioni relativamente semplici da realizzare e riprodurre(1). Nel caso specifico, la restrizione di Galileo delle sue osservazioni a corpi relativamente pesanti fu il passo più importante a riguardo. Di nuovo, è vero che se non esistessero fenomeni che sono indipendenti da tutto tranne che da un maneggevolmente piccolo insieme di condizioni, la fisica sarebbe impossibile.
I precedenti due punti, sebbene altamente significativi dal punto di vista del filosofo, non sono quelli che sorpresero di più Galileo, né contengono una specifica legge di natura. La legge di natura è contenuta nell'asserzione che la lunghezza del tempo che ci vuole per un oggetto pesante a cadere da una determinata altezza è indipendente da dimensione, materiale, e forma del corpo che cade. Nel contesto della seconda "legge" di Newton, ciò equivale ad affermare che la forza gravitazionale che agisce sul corpo in caduta è proporzionale alla sua massa ma indipendente da dimensioni, materiale, e forma del corpo che cade.
La discussione precedente ha lo scopo di ricordare, in primo luogo, che non è affatto naturale che esistano delle "leggi della natura", e tanto meno che l'uomo è in grado di scoprirle(2). Chi scrive ha avuto modo, qualche tempo fa, di richiamare l'attenzione alla successione di strati delle "leggi della natura", con ogni strato che ne contiene uno più generale e più compiuto di leggi rispetto al precedente e costituendo la sua scoperta una più profonda penetrazione nella struttura dell'universo rispetto agli strati riconosciuti in precedenza. Tuttavia, il punto che è più significativo nel presente contesto è che tutte queste leggi della natura contengono, anche nelle loro remote conseguenze, solo una piccola parte della nostra conoscenza del mondo inanimato. Tutte le leggi della natura sono istruzioni condizionali che permettono una previsione di alcuni eventi futuri sulla base della conoscenza del presente, eccetto per alcuni aspetti dello stato attuale stato del mondo, in pratica la stragrande maggioranza delle determinanti dello stato attuale del mondo, che sono irrilevanti dal punto di vista della predizione. L'irrilevanza è intesa nel senso del secondo punto nella discussione del teorema di Galileo(3).
Per quanto riguarda l'attuale stato del mondo, così come l'esistenza della terra su cui viviamo e su cui sono stati eseguiti gli esperimenti di Galileo, l'esistenza del sole e di tutti i nostri ambienti, le leggi della natura sono completamente silenziose. E' in consonanza con questo, innanzitutto, che le leggi della natura passono essere usate per predire eventi futuri solo in circostanze eccezionali, quando sono note tutte le determinanti rilevanti per lo stato presente del mondo. E' inoltre in armonia con ciò che la costruzione di macchine, il cui funzionamento si può prevedere, costituisce la più spettacolare realizzazione del fisico. In queste macchine, il fisico crea una situazione in cui tutte le coordinate relative sono note così che il comportamento della macchina può essere previsto. Radar e reattori nucleari sono esempi di tali macchine.
Lo scopo principale della discussione precedente è sottolineare che le leggi della natura sono tutte istruzioni condizionali e si riferiscono solo a una piccola parte della nostra conoscenza del mondo. Così, la meccanica classica, che è il prototipo più noto per una teoria fisica, fornisce le derivate seconde delle coordinate posizionali di tutti i corpi, sulla base della conoscenza delle posizioni, ecc, di tali corpi. Essa non fornisce alcuna informazione circa l'esistenza, le attuali posizioni, o la velocità di questi corpi. Va ricordato, per amore di precisione, che abbiamo scoperto circa 30 anni fa che anche le istruzioni condizionali non possono essere del tutto precise: che le istruzioni condizionali sono leggi di probabilità che ci permettono solo di piazzare delle scommesse intelligenti sulle proprietà future del mondo inanimato, basate sulla conoscenza dello stato attuale. Esse non ci permettono di fare affermazioni categoriche, nemmeno affermazioni categoriche condizionali sullo stato attuale del mondo. La natura probabilistica delle "leggi di natura" si manifesta anche nel caso delle macchine, e può essere verificata, almeno nel caso di reattori nucleari, se uno li fa funzionare a potenza molto bassa. Tuttavia, l'ulteriore limitazione del campo di applicazione delle leggi di natura che segue dalla loro natura probabilistica non avrà alcun ruolo nel resto della discussione.
(1) Vedere, a tal proposito, il saggio grafico di M. Deutsch, Daedalus 87, 86 (1958). A. Shimony ha richiamato la mia attenzione verso un passaggio simile in Essays in the Philosophy of Science (New York: The Liberal Arts Press, 1957), p. 237 di C. S. Peirce.
(2) E. Schrodinger, nel suo What is Life? (Cambridge: Cambridge University Press, 1945), p. 31, afferma che questo secondo miracolo potrebbe essere al di là della comprensione umana.
(3) Lo scrittore si sente sicuro che non è necessario ricordare che il teorema di Galileo, come indicato nel testo, non esaurisce il contenuto delle osservazioni di Galileo in connessione con le leggi dei corpi in caduta libera.
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La particella trasformista
Non dite a Brachetti che c'è qualcuno più veloce di lui a cambiare d'abito!
Dopo il post in inglese sul Nobel per la Fisica 2015, ecco anche la versione in italiano. Come saprete ormai in giro per la rete quest'anno il riconoscimento è andato per l'osservazione sperimentale delle oscillazioni del neutrino. Ai dettagli tecnici, proposti da Bruno Pontecorvo nel 1957 e ulteriormente sviluppati da Zio Maki, Masami Nakagawa e Shoichi Sakata nel 1962, ho dedicato un post teorico, mentre quest'oggi proverò a riassumervi la storia delle osservazioni sperimentali.
Iniziamo, però, dalla scoperta del neutrino.
Uno dei fatti più curiosi riguardo i Premi Nobel legati ai neutrini è che il premio per la scoperta dei sapori dei neutrini è stato assegnato nel 1988 a Leon Lederman, Melvin Schwartz e Jack Steinberger, quindi prima del premio per la loro scoperta!
Il primo indizio riguardo le oscillazioni del neutrino è stata l'osservazione di un deficit nel flusso dei neutrini solari rispetto alle predizioni teoriche. Questa osservazione è stata realizzata prosso lo Homestake Experiment guidato da Raymond Davis, Jr. e John Bahcall(4).
Ci sono stati molti esperimenti che hanno confermato questi risultati, ma il deficit è stato definitivamente identificato come un effetto dell'oscillazione dei neutrini solo dopo che il Sudbury Neutrino Observatory fornì i risultati conclusivi delle sue osservazioni nel 2001(5, 6): l'esperimento era guidato da Arthur McDonald.
L'oscillazione dei neutrini atmosferici, invece, venne osservata per la prima volta presso il Super Kamiokande(7), un osservatorio di neutrini situato sotto il monte Kamioka in Giappone: il portavoce dell'epoca era Takaaki Kajita.
Sono proprio Kajita e McDonald i vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2015
(1) W. Pauli in Rapp. Septieme Conseil Phys. Solvay, Brussels 1933
(2) Fermi, E. (1934). Radioattività prodotta da bombardamento di neutroni Il Nuovo Cimento, 11 (7), 429-441 DOI: 10.1007/BF02959915 (pdf)
(3) Cowan, C., Reines, F., Harrison, F., Kruse, H., & McGuire, A. (1956). Detection of the Free Neutrino: a Confirmation Science, 124 (3212), 103-104 DOI: 10.1126/science.124.3212.103 (pdf)
(4) Davis, R., Harmer, D., & Hoffman, K. (1968). Search for Neutrinos from the Sun Physical Review Letters, 20 (21), 1205-1209 DOI: 10.1103/PhysRevLett.20.1205
(5) Ahmad, Q., Allen, R., Andersen, T., Anglin, J., Bühler, G., Barton, J., Beier, E., Bercovitch, M., Bigu, J., Biller, S., Black, R., Blevis, I., Boardman, R., Boger, J., Bonvin, E., Boulay, M., Bowler, M., Bowles, T., Brice, S., Browne, M., Bullard, T., Burritt, T., Cameron, K., Cameron, J., Chan, Y., Chen, M., Chen, H., Chen, X., Chon, M., Cleveland, B., Clifford, E., Cowan, J., Cowen, D., Cox, G., Dai, Y., Dai, X., Dalnoki-Veress, F., Davidson, W., Doe, P., Doucas, G., Dragowsky, M., Duba, C., Duncan, F., Dunmore, J., Earle, E., Elliott, S., Evans, H., Ewan, G., Farine, J., Fergani, H., Ferraris, A., Ford, R., Fowler, M., Frame, K., Frank, E., Frati, W., Germani, J., Gil, S., Goldschmidt, A., Grant, D., Hahn, R., Hallin, A., Hallman, E., Hamer, A., Hamian, A., Haq, R., Hargrove, C., Harvey, P., Hazama, R., Heaton, R., Heeger, K., Heintzelman, W., Heise, J., Helmer, R., Hepburn, J., Heron, H., Hewett, J., Hime, A., Howe, M., Hykawy, J., Isaac, M., Jagam, P., Jelley, N., Jillings, C., Jonkmans, G., Karn, J., Keener, P., Kirch, K., Klein, J., Knox, A., Komar, R., Kouzes, R., Kutter, T., Kyba, C., Law, J., Lawson, I., Lay, M., Lee, H., Lesko, K., Leslie, J., Levine, I., Locke, W., Lowry, M., Luoma, S., Lyon, J., Majerus, S., Mak, H., Marino, A., McCauley, N., McDonald, A., McDonald, D., McFarlane, K., McGregor, G., McLatchie, W., Drees, R., Mes, H., Mifflin, C., Miller, G., Milton, G., Moffat, B., Moorhead, M., Nally, C., Neubauer, M., Newcomer, F., Ng, H., Noble, A., Norman, E., Novikov, V., O'Neill, M., Okada, C., Ollerhead, R., Omori, M., Orrell, J., Oser, S., Poon, A., Radcliffe, T., Roberge, A., Robertson, B., Robertson, R., Rowley, J., Rusu, V., Saettler, E., Schaffer, K., Schuelke, A., Schwendener, M., Seifert, H., Shatkay, M., Simpson, J., Sinclair, D., Skensved, P., Smith, A., Smith, M., Starinsky, N., Steiger, T., Stokstad, R., Storey, R., Sur, B., Tafirout, R., Tagg, N., Tanner, N., Taplin, R., Thorman, M., Thornewell, P., Trent, P., Tserkovnyak, Y., Van Berg, R., Van de Water, R., Virtue, C., Waltham, C., Wang, J., Wark, D., West, N., Wilhelmy, J., Wilkerson, J., Wilson, J., Wittich, P., Wouters, J., & Yeh, M. (2001). Measurement of the Rate of $\nu_e + d \rightarrow p + p + e^-$ Interactions Produced by Solar Neutrinos at the Sudbury Neutrino Observatory Physical Review Letters, 87 (7) DOI: 10.1103/PhysRevLett.87.071301 (arXiv)
(6) Ahmad, Q., Allen, R., Andersen, T., D.Anglin, J., Barton, J., Beier, E., Bercovitch, M., Bigu, J., Biller, S., Black, R., Blevis, I., Boardman, R., Boger, J., Bonvin, E., Boulay, M., Bowler, M., Bowles, T., Brice, S., Browne, M., Bullard, T., Bühler, G., Cameron, J., Chan, Y., Chen, H., Chen, M., Chen, X., Cleveland, B., Clifford, E., Cowan, J., Cowen, D., Cox, G., Dai, X., Dalnoki-Veress, F., Davidson, W., Doe, P., Doucas, G., Dragowsky, M., Duba, C., Duncan, F., Dunford, M., Dunmore, J., Earle, E., Elliott, S., Evans, H., Ewan, G., Farine, J., Fergani, H., Ferraris, A., Ford, R., Formaggio, J., Fowler, M., Frame, K., Frank, E., Frati, W., Gagnon, N., Germani, J., Gil, S., Graham, K., Grant, D., Hahn, R., Hallin, A., Hallman, E., Hamer, A., Hamian, A., Handler, W., Haq, R., Hargrove, C., Harvey, P., Hazama, R., Heeger, K., Heintzelman, W., Heise, J., Helmer, R., Hepburn, J., Heron, H., Hewett, J., Hime, A., Howe, M., Hykawy, J., Isaac, M., Jagam, P., Jelley, N., Jillings, C., Jonkmans, G., Kazkaz, K., Keener, P., Klein, J., Knox, A., Komar, R., Kouzes, R., Kutter, T., Kyba, C., Law, J., Lawson, I., Lay, M., Lee, H., Lesko, K., Leslie, J., Levine, I., Locke, W., Luoma, S., Lyon, J., Majerus, S., Mak, H., Maneira, J., Manor, J., Marino, A., McCauley, N., McDonald, A., McDonald, D., McFarlane, K., McGregor, G., Meijer Drees, R., Mifflin, C., Miller, G., Milton, G., Moffat, B., Moorhead, M., Nally, C., Neubauer, M., Newcomer, F., Ng, H., Noble, A., Norman, E., Novikov, V., O'Neill, M., Okada, C., Ollerhead, R., Omori, M., Orrell, J., Oser, S., Poon, A., Radcliffe, T., Roberge, A., Robertson, B., Robertson, R., Rosendahl, S., Rowley, J., Rusu, V., Saettler, E., Schaffer, K., Schwendener, M., Schülke, A., Seifert, H., Shatkay, M., Simpson, J., Sims, C., Sinclair, D., Skensved, P., Smith, A., Smith, M., Spreitzer, T., Starinsky, N., Steiger, T., Stokstad, R., Stonehill, L., Storey, R., Sur, B., Tafirout, R., Tagg, N., Tanner, N., Taplin, R., Thorman, M., Thornewell, P., Trent, P., Tserkovnyak, Y., Van Berg, R., Van de Water, R., Virtue, C., Waltham, C., Wang, J., Wark, D., West, N., Wilhelmy, J., Wilkerson, J., Wilson, J., Wittich, P., Wouters, J., & Yeh, M. (2002). Direct Evidence for Neutrino Flavor Transformation from Neutral-Current Interactions in the Sudbury Neutrino Observatory Physical Review Letters, 89 (1) DOI: 10.1103/PhysRevLett.89.011301 (arXiv)
(7) Fukuda, Y., Hayakawa, T., Ichihara, E., Inoue, K., Ishihara, K., Ishino, H., Itow, Y., Kajita, T., Kameda, J., Kasuga, S., Kobayashi, K., Kobayashi, Y., Koshio, Y., Miura, M., Nakahata, M., Nakayama, S., Okada, A., Okumura, K., Sakurai, N., Shiozawa, M., Suzuki, Y., Takeuchi, Y., Totsuka, Y., Yamada, S., Earl, M., Habig, A., Kearns, E., Messier, M., Scholberg, K., Stone, J., Sulak, L., Walter, C., Goldhaber, M., Barszczxak, T., Casper, D., Gajewski, W., Halverson, P., Hsu, J., Kropp, W., Price, L., Reines, F., Smy, M., Sobel, H., Vagins, M., Ganezer, K., Keig, W., Ellsworth, R., Tasaka, S., Flanagan, J., Kibayashi, A., Learned, J., Matsuno, S., Stenger, V., Takemori, D., Ishii, T., Kanzaki, J., Kobayashi, T., Mine, S., Nakamura, K., Nishikawa, K., Oyama, Y., Sakai, A., Sakuda, M., Sasaki, O., Echigo, S., Kohama, M., Suzuki, A., Haines, T., Blaufuss, E., Kim, B., Sanford, R., Svoboda, R., Chen, M., Conner, Z., Goodman, J., Sullivan, G., Hill, J., Jung, C., Martens, K., Mauger, C., McGrew, C., Sharkey, E., Viren, B., Yanagisawa, C., Doki, W., Miyano, K., Okazawa, H., Saji, C., Takahata, M., Nagashima, Y., Takita, M., Yamaguchi, T., Yoshida, M., Kim, S., Etoh, M., Fujita, K., Hasegawa, A., Hasegawa, T., Hatakeyama, S., Iwamoto, T., Koga, M., Maruyama, T., Ogawa, H., Shirai, J., Suzuki, A., Tsushima, F., Koshiba, M., Nemoto, M., Nishijima, K., Futagami, T., Hayato, Y., Kanaya, Y., Kaneyuki, K., Watanabe, Y., Kielczewska, D., Doyle, R., George, J., Stachyra, A., Wai, L., Wilkes, R., & Young, K. (1998). Evidence for Oscillation of Atmospheric Neutrinos Physical Review Letters, 81 (8), 1562-1567 DOI: 10.1103/PhysRevLett.81.1562 (arXiv)
Dopo il post in inglese sul Nobel per la Fisica 2015, ecco anche la versione in italiano. Come saprete ormai in giro per la rete quest'anno il riconoscimento è andato per l'osservazione sperimentale delle oscillazioni del neutrino. Ai dettagli tecnici, proposti da Bruno Pontecorvo nel 1957 e ulteriormente sviluppati da Zio Maki, Masami Nakagawa e Shoichi Sakata nel 1962, ho dedicato un post teorico, mentre quest'oggi proverò a riassumervi la storia delle osservazioni sperimentali.
Iniziamo, però, dalla scoperta del neutrino.
La scoperta dei neutrini
L'esistenza dei neutrini era stata postulata da Wolfgang Pauli(1) ed Enrico Fermi(2) nei primi anni Trenta del XX secolo per spiegare il decadimento beta. La prima osservazione della nuova particella è invece dovuta a Clyde Cowan, Frederick Reines, F. B. Harrison, H. W. Kruse, e A. D. McGuire(3): La velocità di un segnale prodotto dalla reazione 1 \[\nu_{-} + p^{+} \rightarrow \beta^{+} + n^0\] deve essere una funzione linerare del numero di protoni forniti come bersaglio per i neutrini.Il gruppo osservò due segnali:
Il secondo impulso del segnale della coppia ritardata osservato è stato identificato come dovuto alla cattura di un neutrone dal cadmio nel bersaglio d'acqua.La scoperta venne premiata con il Nobel per la Fisica nel 1995.
Uno dei fatti più curiosi riguardo i Premi Nobel legati ai neutrini è che il premio per la scoperta dei sapori dei neutrini è stato assegnato nel 1988 a Leon Lederman, Melvin Schwartz e Jack Steinberger, quindi prima del premio per la loro scoperta!
Oscillazioni
Esistono tre tipi differenti di neutrini di base, 1, 2, e 3. Una sovrapposizione di questi tipi di neutrini genera i tre neutrini solitamente osservati negli esperimenti: elettronico, muonico e tauonico. Grazie ai neutrini di base, ogni neutrino della famiglia può cambiare il suo sapore in un altro: l'abito non fa il neutrino!Il primo indizio riguardo le oscillazioni del neutrino è stata l'osservazione di un deficit nel flusso dei neutrini solari rispetto alle predizioni teoriche. Questa osservazione è stata realizzata prosso lo Homestake Experiment guidato da Raymond Davis, Jr. e John Bahcall(4).
Ci sono stati molti esperimenti che hanno confermato questi risultati, ma il deficit è stato definitivamente identificato come un effetto dell'oscillazione dei neutrini solo dopo che il Sudbury Neutrino Observatory fornì i risultati conclusivi delle sue osservazioni nel 2001(5, 6): l'esperimento era guidato da Arthur McDonald.
L'oscillazione dei neutrini atmosferici, invece, venne osservata per la prima volta presso il Super Kamiokande(7), un osservatorio di neutrini situato sotto il monte Kamioka in Giappone: il portavoce dell'epoca era Takaaki Kajita.
Sono proprio Kajita e McDonald i vincitori del Premio Nobel per la Fisica 2015
per la scoperta delle oscillazioni del neutrino, che mostrano che i neutrini hanno massaCosì quest'anno il premio unisce insieme due delle più note branche della fisica: l'astrofisica e la fisica delle particelle.
Post scriptum
Ci sono anche due altri due differenti modi per osservare le oscillazioni: nei reattori e negli esperimenti che esaminano i fasci di particelle. In quest'ultimo caso mi preme ricordare che l'osservazione più recente delle oscillazioni del neutrino tauonicoè dovuta a OPERA. (1) W. Pauli in Rapp. Septieme Conseil Phys. Solvay, Brussels 1933
(2) Fermi, E. (1934). Radioattività prodotta da bombardamento di neutroni Il Nuovo Cimento, 11 (7), 429-441 DOI: 10.1007/BF02959915 (pdf)
(3) Cowan, C., Reines, F., Harrison, F., Kruse, H., & McGuire, A. (1956). Detection of the Free Neutrino: a Confirmation Science, 124 (3212), 103-104 DOI: 10.1126/science.124.3212.103 (pdf)
(4) Davis, R., Harmer, D., & Hoffman, K. (1968). Search for Neutrinos from the Sun Physical Review Letters, 20 (21), 1205-1209 DOI: 10.1103/PhysRevLett.20.1205
(5) Ahmad, Q., Allen, R., Andersen, T., Anglin, J., Bühler, G., Barton, J., Beier, E., Bercovitch, M., Bigu, J., Biller, S., Black, R., Blevis, I., Boardman, R., Boger, J., Bonvin, E., Boulay, M., Bowler, M., Bowles, T., Brice, S., Browne, M., Bullard, T., Burritt, T., Cameron, K., Cameron, J., Chan, Y., Chen, M., Chen, H., Chen, X., Chon, M., Cleveland, B., Clifford, E., Cowan, J., Cowen, D., Cox, G., Dai, Y., Dai, X., Dalnoki-Veress, F., Davidson, W., Doe, P., Doucas, G., Dragowsky, M., Duba, C., Duncan, F., Dunmore, J., Earle, E., Elliott, S., Evans, H., Ewan, G., Farine, J., Fergani, H., Ferraris, A., Ford, R., Fowler, M., Frame, K., Frank, E., Frati, W., Germani, J., Gil, S., Goldschmidt, A., Grant, D., Hahn, R., Hallin, A., Hallman, E., Hamer, A., Hamian, A., Haq, R., Hargrove, C., Harvey, P., Hazama, R., Heaton, R., Heeger, K., Heintzelman, W., Heise, J., Helmer, R., Hepburn, J., Heron, H., Hewett, J., Hime, A., Howe, M., Hykawy, J., Isaac, M., Jagam, P., Jelley, N., Jillings, C., Jonkmans, G., Karn, J., Keener, P., Kirch, K., Klein, J., Knox, A., Komar, R., Kouzes, R., Kutter, T., Kyba, C., Law, J., Lawson, I., Lay, M., Lee, H., Lesko, K., Leslie, J., Levine, I., Locke, W., Lowry, M., Luoma, S., Lyon, J., Majerus, S., Mak, H., Marino, A., McCauley, N., McDonald, A., McDonald, D., McFarlane, K., McGregor, G., McLatchie, W., Drees, R., Mes, H., Mifflin, C., Miller, G., Milton, G., Moffat, B., Moorhead, M., Nally, C., Neubauer, M., Newcomer, F., Ng, H., Noble, A., Norman, E., Novikov, V., O'Neill, M., Okada, C., Ollerhead, R., Omori, M., Orrell, J., Oser, S., Poon, A., Radcliffe, T., Roberge, A., Robertson, B., Robertson, R., Rowley, J., Rusu, V., Saettler, E., Schaffer, K., Schuelke, A., Schwendener, M., Seifert, H., Shatkay, M., Simpson, J., Sinclair, D., Skensved, P., Smith, A., Smith, M., Starinsky, N., Steiger, T., Stokstad, R., Storey, R., Sur, B., Tafirout, R., Tagg, N., Tanner, N., Taplin, R., Thorman, M., Thornewell, P., Trent, P., Tserkovnyak, Y., Van Berg, R., Van de Water, R., Virtue, C., Waltham, C., Wang, J., Wark, D., West, N., Wilhelmy, J., Wilkerson, J., Wilson, J., Wittich, P., Wouters, J., & Yeh, M. (2001). Measurement of the Rate of $\nu_e + d \rightarrow p + p + e^-$ Interactions Produced by Solar Neutrinos at the Sudbury Neutrino Observatory Physical Review Letters, 87 (7) DOI: 10.1103/PhysRevLett.87.071301 (arXiv)
(6) Ahmad, Q., Allen, R., Andersen, T., D.Anglin, J., Barton, J., Beier, E., Bercovitch, M., Bigu, J., Biller, S., Black, R., Blevis, I., Boardman, R., Boger, J., Bonvin, E., Boulay, M., Bowler, M., Bowles, T., Brice, S., Browne, M., Bullard, T., Bühler, G., Cameron, J., Chan, Y., Chen, H., Chen, M., Chen, X., Cleveland, B., Clifford, E., Cowan, J., Cowen, D., Cox, G., Dai, X., Dalnoki-Veress, F., Davidson, W., Doe, P., Doucas, G., Dragowsky, M., Duba, C., Duncan, F., Dunford, M., Dunmore, J., Earle, E., Elliott, S., Evans, H., Ewan, G., Farine, J., Fergani, H., Ferraris, A., Ford, R., Formaggio, J., Fowler, M., Frame, K., Frank, E., Frati, W., Gagnon, N., Germani, J., Gil, S., Graham, K., Grant, D., Hahn, R., Hallin, A., Hallman, E., Hamer, A., Hamian, A., Handler, W., Haq, R., Hargrove, C., Harvey, P., Hazama, R., Heeger, K., Heintzelman, W., Heise, J., Helmer, R., Hepburn, J., Heron, H., Hewett, J., Hime, A., Howe, M., Hykawy, J., Isaac, M., Jagam, P., Jelley, N., Jillings, C., Jonkmans, G., Kazkaz, K., Keener, P., Klein, J., Knox, A., Komar, R., Kouzes, R., Kutter, T., Kyba, C., Law, J., Lawson, I., Lay, M., Lee, H., Lesko, K., Leslie, J., Levine, I., Locke, W., Luoma, S., Lyon, J., Majerus, S., Mak, H., Maneira, J., Manor, J., Marino, A., McCauley, N., McDonald, A., McDonald, D., McFarlane, K., McGregor, G., Meijer Drees, R., Mifflin, C., Miller, G., Milton, G., Moffat, B., Moorhead, M., Nally, C., Neubauer, M., Newcomer, F., Ng, H., Noble, A., Norman, E., Novikov, V., O'Neill, M., Okada, C., Ollerhead, R., Omori, M., Orrell, J., Oser, S., Poon, A., Radcliffe, T., Roberge, A., Robertson, B., Robertson, R., Rosendahl, S., Rowley, J., Rusu, V., Saettler, E., Schaffer, K., Schwendener, M., Schülke, A., Seifert, H., Shatkay, M., Simpson, J., Sims, C., Sinclair, D., Skensved, P., Smith, A., Smith, M., Spreitzer, T., Starinsky, N., Steiger, T., Stokstad, R., Stonehill, L., Storey, R., Sur, B., Tafirout, R., Tagg, N., Tanner, N., Taplin, R., Thorman, M., Thornewell, P., Trent, P., Tserkovnyak, Y., Van Berg, R., Van de Water, R., Virtue, C., Waltham, C., Wang, J., Wark, D., West, N., Wilhelmy, J., Wilkerson, J., Wilson, J., Wittich, P., Wouters, J., & Yeh, M. (2002). Direct Evidence for Neutrino Flavor Transformation from Neutral-Current Interactions in the Sudbury Neutrino Observatory Physical Review Letters, 89 (1) DOI: 10.1103/PhysRevLett.89.011301 (arXiv)
(7) Fukuda, Y., Hayakawa, T., Ichihara, E., Inoue, K., Ishihara, K., Ishino, H., Itow, Y., Kajita, T., Kameda, J., Kasuga, S., Kobayashi, K., Kobayashi, Y., Koshio, Y., Miura, M., Nakahata, M., Nakayama, S., Okada, A., Okumura, K., Sakurai, N., Shiozawa, M., Suzuki, Y., Takeuchi, Y., Totsuka, Y., Yamada, S., Earl, M., Habig, A., Kearns, E., Messier, M., Scholberg, K., Stone, J., Sulak, L., Walter, C., Goldhaber, M., Barszczxak, T., Casper, D., Gajewski, W., Halverson, P., Hsu, J., Kropp, W., Price, L., Reines, F., Smy, M., Sobel, H., Vagins, M., Ganezer, K., Keig, W., Ellsworth, R., Tasaka, S., Flanagan, J., Kibayashi, A., Learned, J., Matsuno, S., Stenger, V., Takemori, D., Ishii, T., Kanzaki, J., Kobayashi, T., Mine, S., Nakamura, K., Nishikawa, K., Oyama, Y., Sakai, A., Sakuda, M., Sasaki, O., Echigo, S., Kohama, M., Suzuki, A., Haines, T., Blaufuss, E., Kim, B., Sanford, R., Svoboda, R., Chen, M., Conner, Z., Goodman, J., Sullivan, G., Hill, J., Jung, C., Martens, K., Mauger, C., McGrew, C., Sharkey, E., Viren, B., Yanagisawa, C., Doki, W., Miyano, K., Okazawa, H., Saji, C., Takahata, M., Nagashima, Y., Takita, M., Yamaguchi, T., Yoshida, M., Kim, S., Etoh, M., Fujita, K., Hasegawa, A., Hasegawa, T., Hatakeyama, S., Iwamoto, T., Koga, M., Maruyama, T., Ogawa, H., Shirai, J., Suzuki, A., Tsushima, F., Koshiba, M., Nemoto, M., Nishijima, K., Futagami, T., Hayato, Y., Kanaya, Y., Kaneyuki, K., Watanabe, Y., Kielczewska, D., Doyle, R., George, J., Stachyra, A., Wai, L., Wilkes, R., & Young, K. (1998). Evidence for Oscillation of Atmospheric Neutrinos Physical Review Letters, 81 (8), 1562-1567 DOI: 10.1103/PhysRevLett.81.1562 (arXiv)
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Alla ricerca del gatto
Where is cat?è un gioco molto semplice e veloce dove bisogna trovare, all'interno di alcuni ambienti casalinghi, alcuni oggetti, tra cui un gatto e dei topi. La particolarità non sta nella difficoltà del gioco in sé, ma nel fatto che è stato progettato a partire da un'idea di tre bambini di 5, 8 e 10 anni. ![]()

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Topolino #3125

Passiamo allora al resto del sommario:

La storia in sé è veloce e divertente, ricca di gag e con un finale forse un po' scontato ma comunque gradevole. Nulla di particolare da aggiungere sui disegni di Panaro, che personalmente non è il mio disegnatore preferito, anche se il suo stile può essere definito scarpiano (o quasi).

Il soggetto, ad ogni modo, ricorda ad esempio uno dei primi episodi di Powers di Bendis e Oming con Warren Ellis che si aggrega ai protagonisti della serie per raccogliere dati sulla sua prossima storia.
Sul lato dei disegni, ottimo il lavoro di Piras, che grazie al suo stile alla Corrado Mastantuono riesce a rendere perfettamente sia le scene comiche sia quelle d'azione, assicurando il giusto effetto in tutte le situazioni.

L'idea della storia è semplice: Paperone si rivolge ad Archimede per ottenere un rimedio contro il malumore causato dal maltempo persistente sulla città. L'inventore lo accontenta, ma come spesso succede con gli usi e soprattutto gli abusi della tecnologia, ecco che la situazione precipita. E', dunque, uno sviluppo standard quello della storia di Macchetto, che impreziosisce grazie agli acrostici utilizzati spesso sia da Michelini sia dal grandissimo Carl Barks.
A proposito di quest'ultimo, visto che ci sono, vi segnalo un articolo di approfondimento su tre storie cosmiche dell'Uomo dei paperi!
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Panoramiche da Cosenza
Per poco le panoramiche che ho scattato quest'estate a Cosenza non sono andate perdute: distrattamente avevo cancellato con shift + del la cartella dove erano conservate. Per fortuna con linux c'è il comando ntfsundelete: c'ho messo un po' per capire come farlo funzionare al meglio, ma per fortuna sono riuscito a recuperare le due panoramiche, che ora ho caricato su un apposito album su flickr.
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Luce dal cosmo

Dai pianeti extrasolari alle musiche di Herschel, dall'osservazione del pianeta Urano attraverso telescopi professionali, alle visite delle strutture ai laboratori moderni, al patrimonio storico, alle attività per le scuole: è una vera e propria settimana "celeste", quella dal 9 al 14 novembre, organizzata da INAF-Osservatorio Astronomico di Brera (OAB), INAF-Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica (IASF) e Società Astronomica Italiana.Il programma di tutte le iniziative è consultabile sul sito dell'Osservatorio di Brera.
Le attività avranno luogo nelle due sedi dell’OAB: Palazzo Brera, in via Brera 28 a Milano, che ospita la sede settecentesca ma ancora attiva dell'Osservatorio astronomico, sia la sede di Merate (LC), inaugurata circa 90 anni fa e dove, oggi, sorgono i laboratori di alta tecnologia per la ricerca di nuove strumentazioni astronomiche.
Inoltre, presso la sede del Museo di Storia Naturale di Milano e in collaborazione con il Museo stesso, OAB, IASF e SAIt presentano la mostra Lontano, lontano nel tempo, un viaggio nell'Universo a cavallo della luce, che resterà aperta fino al 9 dicembre.
A quanto segnalato si va ad aggiungere anche l'incontro Che cos'è la luce?:
Luce bianca, luce colorata, luce abbagliante, assenza di luce: ma questa luce, alla fine, che diavolo è? Nell'attesa di capirlo, giochiamoci!Questo è il settimo e ultimo appuntamento degli incontri denominati Astrokids e si terrà, come i precedenti, presso la Feltrinelli di Piazza Piemonte domenica 22 novembre alle 11:30. Saranno presenti Paola Battaglia, Filippo Bonaventura, Mariachiara Rossetti, Laura Querci, Bianca Salmaso, Alessandra Zaino, Sonia Tamburri e Stefano Sandrelli.
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Storia del buco della ciambella
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Scatola elettrica
Electric boxè un video gioco che unisce logica ed elettronica. Nella plancia si trovano alcuni elementi elettrici, come l'interruttore e i fili (e nei livelli più avanzati alcuni dispositivi già sistemati) e un atomo cui fornire energia, mentre in un box nella parte destra dello schermo si trovano gli strumenti da utilizzare per completare il collegamento elettrico. Se gli strumenti sono stati collegati correttamente in funzione del loro utilizzo, descritto nei primi livelli, allora l'energia riuscirà ad arrivare all'atomo in quella che è una sorta di macchina di Goldberg elettronica:
Il gioco è stato aggiornato alla Electric box 2 con una grafica che, a mio giudizio, è molto più elegante:
La difficoltà, sia nella prima sia nella seconda versione, sta nel riuscire a sfruttare al massimo ciascuno strumento, in particolare quelli che possono essere attivati in più di un modo. ![]()



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Ritratti: Gaspard Monge e Leonardo Siniscalchi
Due figure così distanti nel tempo che solo un folle poteva accostare.
Nelle loro dimostrazioni i matematici greci davano grande importanza agli aspetti grafici: non riuscivano, infatti, a concepire una dimostrazione senza poter abbinare ad essa un qualche disegno geometrico. Gli aspetti grafici nella matematica, però, seguirono grosso modo i canoni dell'antica Grecia per diversi secoli, così per avere una sorta di piccola rivoluzione nella descrizione grafica della matematica bisogna attendere la geometria descrittiva di Gaspard Monge, matematico francese della seconda metà del '700.
Monge non fu il primo a dare centralità all'aspetto grafico in geometria (basti pensare, per esempio, alle proiezioni stereotomiche di Frezier), ma sicuramente fu il più noto e quello cui si paga il maggior debito di riconoscenza.![]()
Nel frattempo era in arrivo la rivoluzione francese, di cui Monge fu un partecipante attivo: ad esempio nel 1792 fu ministro per gli affari navali e direttore dell'industria di cannoni e polvere da sparo. Nonostante ciò dovette scomparire per un breve periodo durante il Terrore, fino al suo ritorno nel 1794, quando venne eletto professore della neo nata Scuola Normale della Repubblica. E' anche in quest'anno che inizia la stesura di Géométrie Descriptive:
Quando il posto della Repubblica venne preso da Napoleone, Monge, che evidentemente vedeva nel condottiero non un dittatore ma un paladino degli ideali repubblicani, divenne un suo zelante seguace. Una volta caduto Napoleone, ciò causò a Monge la privazione delle precedenti onorificenze e privilegi da parte di Luigi XVIII, fino alla morte in povertà.
In pratica Monge dà inizio alla geometria proiettiva, proseguendo il lavoro iniziato da molti grandi artisti, come il nostro Piero della Francesca, o il tedesco Albrecht Durer: Monge, infatti, realizza delle proiezioni ortografiche di un oggetto su due (o più) piani, stabilendo una definita relazione tra le due proiezioni. Generalmente i due piani sono quello orizzontale e verticale, mentre la linea di intersezione è la linea di terra.
Le figure che interessavano a Monge erano essenzialmente di due tipi: quelle che potevano essere proiettate su un piano in maniera liscia, senza alcuna deformazione, come coni o cilindri, e quelle per cui è necessaria anche una piccola deformazione: ad esempio la superficie di una sfera, se adagiata su un piano, non potrà mai essere perfettamente liscia.
Monge, però, fu anche un notevole insegnante, come ricordano i suoi biografi, e come dimostra la qualità dei suoi allievi: sia Lacroiz e Hachette, che insegnarono alla Scuola Normale della Repubblica, sia i più noti Charles Dupin, Victor Poncelet, Théodore Olivier. Fu in particolare quest'ultimo a ideare i così detti modelli di stringhe, ispirati proprio alle proiezioni disegnate da Monge.
In pratica questi sono delle strutture in legno collegate da stringhe colorate in maniera tale che la figura può essere distorta e ruotata in modo da ottenere varie configurazioni. Una esaustiva galleria di questo genere di modelli si trova sulla pagina appositamente realizzata dall'Università dell'Illinois: uno dei maggiori realizzatori di questi modelli, che oscillano tra l'arte e la didattica, è Fabre de Lagrange. Realizzò il suo set nel 1872, oggi custodito presso il Museo della Scienza della Royal Society.
Il successo di questi modelli, nel frattempo, aveva conquistato la Germania, grazie al collezionista Julius Plucker che nel 1868 aveva una ragguardevole collezione di varie superfici, e all'imprenditore Alexander von Brill che li produsse in massa per la commercializzazione.![]()
Una delle prime fu Barbara Hepworth che, grazie a una lettera di Naum Gabo indirizzata al marito, Ben Nicholson, entrò in contatto con una serie di modelli matematici conservati presso una scuola di Oxford(3).
Più o meno negli stessi anni (1937), Henry Moore entrò in contatto con i modelli ospitati nel Museo della Scienza di Londra:![]()
A quell'epoca erano in forza al Dipartimento matematici come Francesco Severi, Guido Castelnuovo e il famosissimo Tullio Levi-Civita. In particolare quest'ultimo insieme con Severi erano venuti a Roma da Padova grazie all'impegno di Vito Volterra, che insieme con Federico Enriques, anch'egli passato da Roma, si era fortemente impegnato per spostare l'attenzione dell'Italia dalla cultura umanistica verso quella scientifica.
Ad ogni modo, nonostante il periodo interessante e l'intensa attività scientifica romana, cui contribuivano anche i "ragazzi di via Panisperna" di Enrico Fermi, Sinisgalli decise di passare ad ingegneria industriale, dove si laureò nel 1932. Il passaggio a una tipologia di studi più pratica, ma differente dalla fisica era, probabilmente, dovuto all'atmosfera di sacralità che circondava il mondo accademico romano dell'epoca. Sinisgalli, infatti, ricorda che
Ad ogni modo, dopo la laurea e l'esame di abilitazione, Sinisgalli arriva a Milano nel novembre del 1933 dove resterà fino al 1952 con l'unica interruzione della Seconda Guerra Mondiale. Ha la possibilità di lavorare per varie industrie nel corso della sua vita: Pirelli, Finmeccanica, Alitalia, Olivetti, come ingegnere e pubblicitario. Non a caso una delle riviste più innovative e interessanti del settore, Pirelli, era diretta proprio da Sinisgalli.
Prima di arrivare a questa meritoria rivista culturale italiana, Sinisgalli da alle stampe un po' di libri, tra raccolte poetiche e saggistica: in particolare il Quaderno di geometria del 1935, che cronologicamente si pone proprio in quel triennio che tra il 1935 e il 1937 portò artisti di provenienze così differenti, sia geografiche sia di formazione, a porre le basi per l'arte concettuale matematica. All'interno del libro, per esempio, scrive un racconto incentrato sulla superficie romana di Steiner.
La superficie romana di Steiner, che è utilizzata anche nel mondo dell'arte, è stata accostata da Ashay Dharwadker agli eptaedri, poliedri di sette facce: anche queste particolari strutture geometriche sono, topoligicamente parlando, un modello del piano proiettivo.
Dopo la guerra si ritrova nuovamente a Milano, tra il 1948 e il 1952, quando viene chiamato da Giuseppe Eugenio Luraghi come art director presso la Pirelli, dove fonda l'omonima rivista dell'azienda di pneumatici italiana. E' sempre in questo periodo che gira due cortometraggi documentaristici di genere scientifico, Lezione di geometria del 1949 e Millesimo di millimetro, con Virgilio Sabel, del 1950.
Sempre sotto la spinta di Luraghi, Sinisgalli torna a Roma dove nel 1952 fonda Civiltà delle macchine sotto l'egida della Finmeccanica: è di fatto il punto di riferimento per l'unione delle due culture, scientifico-tecnologica e letteraria, o per mostrare quanto sia artificiosa la loro separazione.
Figura centrale in questo percorso culturale è Leonardo da Vinci, nume tutelare di Sinisgalli, che vedeva nella sua biografia molti punti di contatto con quella del suo illustre omonimo, e protagonista del primo numero di Civiltà delle macchine, sin dalla copertina, che stampa una serie di studi leonardeschi sul volo, mentre all'interno ecco un saggio dedicato a Leonardo a firma di Vittorio Somenzi.![]()
Altre letture su Sinisgalli: Una musa tra le ruote. Pirelli: un secolo di arte al servizio del prodotto
Leonardo Sinisgalli e la civiltà delle macchine di Pietro Nastasi
Sinisgalli e la Fisica moderna di Decio Cocolicchio
Leonardo Sinisgalli. Elogio dell'entropia
Ungaretti: nostalgia di un visionario. La civiltà dell’elettronica, dal 1953 al futuro
Arte moderna e superfici algebriche
(1) E' bello vedere che sulla it.wikiPopinga è diventato bibliografia
(2) Gafney, L. (1965). Gaspard Monge and descriptive geometry. The Mathematics Teacher, 338-344.
(3) Catalogo della mostra Intersections: Henry Moore and Stringed Surfaces
(4) Pierpaolo Antonello, La nuova civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli
Nelle loro dimostrazioni i matematici greci davano grande importanza agli aspetti grafici: non riuscivano, infatti, a concepire una dimostrazione senza poter abbinare ad essa un qualche disegno geometrico. Gli aspetti grafici nella matematica, però, seguirono grosso modo i canoni dell'antica Grecia per diversi secoli, così per avere una sorta di piccola rivoluzione nella descrizione grafica della matematica bisogna attendere la geometria descrittiva di Gaspard Monge, matematico francese della seconda metà del '700.
Monge non fu il primo a dare centralità all'aspetto grafico in geometria (basti pensare, per esempio, alle proiezioni stereotomiche di Frezier), ma sicuramente fu il più noto e quello cui si paga il maggior debito di riconoscenza.

Gaspard Monge
Monge, nato a Beane nel 1746, fu una delle molte menti geniali che attraversarono la rivoluzione francese, rimanendo indenne quasi a tutti i cambiamenti politici cui assistette. Fu uno studente modello, tanto che venne ammesso alla prestigiosa scuola per ingegneri di Mézières, essendo però figlio di un venditore ambulante non venne iscritto alla scuola per ufficiali, ma a quella per agrimensori e disegnatori. Gli venne, però, permesso di realizzare il progetto di una fortezza a partire da dati osservativi e il giovane, rifiutando di portare a termine i complessi calcoli necessari per tale realizzazione, sviluppò una soluzione per portare a termine il compito utilizzando solo compasso e righello. Utilizzando metodi geometrici classici, eleganti e semplici, Monge contribuì alla soluzione di molti problemi militari, raccogliendo anche molte osservazioni che egli avrebbe poi utilizzato per il testo fondamentale della geometria descrittiva.Nel frattempo era in arrivo la rivoluzione francese, di cui Monge fu un partecipante attivo: ad esempio nel 1792 fu ministro per gli affari navali e direttore dell'industria di cannoni e polvere da sparo. Nonostante ciò dovette scomparire per un breve periodo durante il Terrore, fino al suo ritorno nel 1794, quando venne eletto professore della neo nata Scuola Normale della Repubblica. E' anche in quest'anno che inizia la stesura di Géométrie Descriptive:
Questo trattato sulla geometria descrittiva è stato scritto per l'uso degli studenti nella prima scuola normale, stabilita dalla legge il 9 Brumario dell'anno 3 (30 ottobre 1794). Questa scuola, che è esistita solo durante i primi quattro mesi del 1795, che aveva l'intenzione di far rivivere l'istruzione pubblica, annientata in Francia sotto il Regno del Terrore (...), aveva come professori(2)Lagrange, Laplace e lo stesso Monge e un'altra decina a coprire vari campi della conoscenza.
Quando il posto della Repubblica venne preso da Napoleone, Monge, che evidentemente vedeva nel condottiero non un dittatore ma un paladino degli ideali repubblicani, divenne un suo zelante seguace. Una volta caduto Napoleone, ciò causò a Monge la privazione delle precedenti onorificenze e privilegi da parte di Luigi XVIII, fino alla morte in povertà.
Geometria descrittiva
Gli obiettivi della geometria descrittiva sono due: il primo, che conduce a una comprensione dei metodi di rappresentazione di una superficie bidimensionale di un oggetto che in natura ha tre dimensioni (...) Il secondo obiettivo è insegnare il modo per determinare le forme degli oggetti e dedurre tutte le proprietà risultanti dalle loro rispettive posizioni.(2)

Le figure che interessavano a Monge erano essenzialmente di due tipi: quelle che potevano essere proiettate su un piano in maniera liscia, senza alcuna deformazione, come coni o cilindri, e quelle per cui è necessaria anche una piccola deformazione: ad esempio la superficie di una sfera, se adagiata su un piano, non potrà mai essere perfettamente liscia.
Monge, però, fu anche un notevole insegnante, come ricordano i suoi biografi, e come dimostra la qualità dei suoi allievi: sia Lacroiz e Hachette, che insegnarono alla Scuola Normale della Repubblica, sia i più noti Charles Dupin, Victor Poncelet, Théodore Olivier. Fu in particolare quest'ultimo a ideare i così detti modelli di stringhe, ispirati proprio alle proiezioni disegnate da Monge.
In pratica questi sono delle strutture in legno collegate da stringhe colorate in maniera tale che la figura può essere distorta e ruotata in modo da ottenere varie configurazioni. Una esaustiva galleria di questo genere di modelli si trova sulla pagina appositamente realizzata dall'Università dell'Illinois: uno dei maggiori realizzatori di questi modelli, che oscillano tra l'arte e la didattica, è Fabre de Lagrange. Realizzò il suo set nel 1872, oggi custodito presso il Museo della Scienza della Royal Society.
Il successo di questi modelli, nel frattempo, aveva conquistato la Germania, grazie al collezionista Julius Plucker che nel 1868 aveva una ragguardevole collezione di varie superfici, e all'imprenditore Alexander von Brill che li produsse in massa per la commercializzazione.

Dalla didattica all'arte concettuale
Ad ogni modo, mentre la matematica giocava un ruolo importante nel mondo dell'arte (vedi, per esempio, le influenze sul cubismo), i modelli matematici di Olivier e de Lagrange avrebbero giocato un ruolo fondamentale nella nascita dell'arte concettuale moderna: nel triennio 1935-1937, infatti, un gruppo di artisti, ognuno in maniera indipendente dall'altra, entrò a contatto con una delle collezioni di modelli di stringhe sparsi per l'Europa, contribuendo così a ispirare un nutrito gruppo di artisti che introdussero consapevolmente la matematica all'interno della loro produzione.Una delle prime fu Barbara Hepworth che, grazie a una lettera di Naum Gabo indirizzata al marito, Ben Nicholson, entrò in contatto con una serie di modelli matematici conservati presso una scuola di Oxford(3).
Più o meno negli stessi anni (1937), Henry Moore entrò in contatto con i modelli ospitati nel Museo della Scienza di Londra:

Ero affascinato dai modelli matematici che vidi lì, che erano stati realizzati per illustrare la differenza della forma che è a metà strada tra un quadrato e un cerchio. Un modello aveva un quadrato a un'estremità con 20 fori lungo ogni lato... Attraverso questi fori erano infilati degli anelli e conducevano fino a un cerchio con lo stesso numero di fori all'altra estremità. Un piano interposto in mezzo mostra la forma che è a metà strada tra un quadrato e un cerchio... Non era lo studio scientifico di questi modelli ma l'abilità di guardare attraverso le stringhe come con la gabbia di un uccello e vedere una forma dentro l'altra che mi eccitò.(3)Nel frattempo (1936) sul continente Man Ray andava a visitare, su invito di Max Ernst, l'Institut Henri Poincare di Parigi, che ospitava anch'esso una serie di modelli matematici. Ray scattò una serie di foto, che intitolò Mathematical Objects e che una decina di anni dopo (1948) furono utilizzati dall'artista come base per una serie di piccoli quadri noti come Shakespearean equations, che altro non erano che una ripresa di quelle foto titolate con un opera del bardo (vedi esempi su Mathematical Models and Art in the Early 20th Century - pdf).
Leonardo Sinisgalli
Tra tutti gli artisti che possiamo considerare fondatori dell'arte concettuale di stampo geometrico, il più consapevole, perché formatosi nel campo, è certamente l'italiano Leonardo Sinisgalli. Nato il 9 marzo del 1908 a Montemurro, in provincia di Potenza, passerà buona parte della sua adolescenza in America a seguito della famiglia, prima negli Stati Uniti, a Brooklyn, quindi in Colombia, a Barranquilla. Torna in Italia nel 1922 dove, grazie all'appoggio dei classici notabili del paese che convincono la madre a farlo studiare, riesce a diplomarsi a Napoli ottenendo i voti migliori di tutta la regione. Sinisgalli è quindi pronto ad affrontare l'università: si iscrive alla Facoltà di Matematica di Roma nel 1925(4).A quell'epoca erano in forza al Dipartimento matematici come Francesco Severi, Guido Castelnuovo e il famosissimo Tullio Levi-Civita. In particolare quest'ultimo insieme con Severi erano venuti a Roma da Padova grazie all'impegno di Vito Volterra, che insieme con Federico Enriques, anch'egli passato da Roma, si era fortemente impegnato per spostare l'attenzione dell'Italia dalla cultura umanistica verso quella scientifica.
Ad ogni modo, nonostante il periodo interessante e l'intensa attività scientifica romana, cui contribuivano anche i "ragazzi di via Panisperna" di Enrico Fermi, Sinisgalli decise di passare ad ingegneria industriale, dove si laureò nel 1932. Il passaggio a una tipologia di studi più pratica, ma differente dalla fisica era, probabilmente, dovuto all'atmosfera di sacralità che circondava il mondo accademico romano dell'epoca. Sinisgalli, infatti, ricorda che
la scienza era esigentissima, non tollerava il minimo tradimento. I grandi matematici della scuola italiana conservavano un aspetto sacerdotale, la lezione era un rito, una messa.(4)Non deve, dunque, stupire la sua scelta di passare a ingegneria, visto che più o meno la stessa cosa la si poteva dire di Fisica, dove era stato invitato a lavorare dallo stesso Fermi(4), giusto per avere un'idea del valore di Sinisgalli come scienziato.
Ad ogni modo, dopo la laurea e l'esame di abilitazione, Sinisgalli arriva a Milano nel novembre del 1933 dove resterà fino al 1952 con l'unica interruzione della Seconda Guerra Mondiale. Ha la possibilità di lavorare per varie industrie nel corso della sua vita: Pirelli, Finmeccanica, Alitalia, Olivetti, come ingegnere e pubblicitario. Non a caso una delle riviste più innovative e interessanti del settore, Pirelli, era diretta proprio da Sinisgalli.
Prima di arrivare a questa meritoria rivista culturale italiana, Sinisgalli da alle stampe un po' di libri, tra raccolte poetiche e saggistica: in particolare il Quaderno di geometria del 1935, che cronologicamente si pone proprio in quel triennio che tra il 1935 e il 1937 portò artisti di provenienze così differenti, sia geografiche sia di formazione, a porre le basi per l'arte concettuale matematica. All'interno del libro, per esempio, scrive un racconto incentrato sulla superficie romana di Steiner.
La superficie romana di Steiner
Leggenda vuole che questa particolare superficie di Steiner ha preso il nome di superficie romana grazie al fatto che il matematico svizzero Jakob Steiner la scoprì durante un soggiorno a Roma nel 1836(1). Essa è un'applicazione auto-intersecante di un piano proiettivo reale in uno spazio tridimensionale con un alto grado di simmetria. Sinisgalli, come ricorda Popinga, in un passaggio estratto dal Furor Mathematicus paragona questa superficie ora a un lupino, ora a un pomodoro, quindi a un carciofo. In effetti la forma, che ricorda quella di un tetraedro con le superfici schiacciate verso il centro del volume, è molto più vicina a quella di un lupino. Matematicamente questa può essere rappresentata dall'equazione: \[x^2 y^2 + y^2 z^2 + z^2 x^2 - r^2 x y z = 0\] o dalle tre seguenti equazioni parametriche \[x = r^2 \cos \theta \cos \varphi \sin \varphi\] \[y = r^2 \sin \theta \cos \varphi \sin \varphi\] \[z = r^2 \cos \theta \sin \theta \cos^2 \varphi\] dove $r$ è il raggio della sfera che contiene la superficie romana, $\theta$ e $\varphi$ sono gli angoli che rispettivamente identificano la longitudine e la latitudine.La superficie romana di Steiner, che è utilizzata anche nel mondo dell'arte, è stata accostata da Ashay Dharwadker agli eptaedri, poliedri di sette facce: anche queste particolari strutture geometriche sono, topoligicamente parlando, un modello del piano proiettivo.
Una sola cultura
Torniamo a Siniscalchi: del 1937 è Ritratti di macchine, una sorta di diario del periodo di studi romano corredato da 7 schizzi realizzati dallo stesso Sinisgalli. Insieme con il Quaderno, rappresenta il primo tentativo di Sinisgalli di superare la dicotomia tra le due culture (http://www.fondazionesinisgalli.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=86&Itemid=52)In particolare grazie al Quaderno, Sinisgalli viene chiamato da Adriano Olivetti per realizzare la pubblicità per la sua azienda: di fatto sono anni di successi grazie a poster belli e accattivanti, in una attività intellettualmente stimolante interrotta dall'arrivo della seconda guerra mondiale. Emblematica di questo periodo creativo è la rosa nel calamaio: Altrettanto interessante è anche lo Studio 42, allestito insieme con Giovanni Pintori, dove i richiami alla scienza sono più che evidenti: Durante la guerra, che lo vede arruolato come ufficiale nell'esercito, Sinisgalli riesce comunque a proseguire la sua attività artistica pubblicato libri e raccolte o saggi come il Furor mathematicus. Unito momento di tensione vera per Sinisgalli fu quando le SS tedesche lo arrestano il 13 maggio del 1944: a salvarlo sarà Giorgia de Cousandier, sua convivente che poi sposerà nel 1969.
Dopo la guerra si ritrova nuovamente a Milano, tra il 1948 e il 1952, quando viene chiamato da Giuseppe Eugenio Luraghi come art director presso la Pirelli, dove fonda l'omonima rivista dell'azienda di pneumatici italiana. E' sempre in questo periodo che gira due cortometraggi documentaristici di genere scientifico, Lezione di geometria del 1949 e Millesimo di millimetro, con Virgilio Sabel, del 1950.
Sempre sotto la spinta di Luraghi, Sinisgalli torna a Roma dove nel 1952 fonda Civiltà delle macchine sotto l'egida della Finmeccanica: è di fatto il punto di riferimento per l'unione delle due culture, scientifico-tecnologica e letteraria, o per mostrare quanto sia artificiosa la loro separazione.
Figura centrale in questo percorso culturale è Leonardo da Vinci, nume tutelare di Sinisgalli, che vedeva nella sua biografia molti punti di contatto con quella del suo illustre omonimo, e protagonista del primo numero di Civiltà delle macchine, sin dalla copertina, che stampa una serie di studi leonardeschi sul volo, mentre all'interno ecco un saggio dedicato a Leonardo a firma di Vittorio Somenzi.

Io non ho mai pensato che la matematica e la meccanica siano la stessa cosa della poesia. [...] Quello che ci trovo in comune è una tensione dell'intelligenza, è la felicità nella fatica, nello sforzo. Io penso che un sonetto sia un meccanismo, una costruzione perfetta, in cui non si ammira soltanto l'abilità, la chiusura di u npensiero compiuto, di una sequenza di immagini entro un numero definito. Nel sonetto c'è molto di più di quello che è scritto. E in una macchina c'è molto di più di quello che è disegnato. Sono forse entrambi dispositivi capaci di produrre energia e di trasformarla, di trasfigurarla.(4)
Altre letture su Sinisgalli: Una musa tra le ruote. Pirelli: un secolo di arte al servizio del prodotto
Leonardo Sinisgalli e la civiltà delle macchine di Pietro Nastasi
Sinisgalli e la Fisica moderna di Decio Cocolicchio
Leonardo Sinisgalli. Elogio dell'entropia
Ungaretti: nostalgia di un visionario. La civiltà dell’elettronica, dal 1953 al futuro
Arte moderna e superfici algebriche
(1) E' bello vedere che sulla it.wikiPopinga è diventato bibliografia
(2) Gafney, L. (1965). Gaspard Monge and descriptive geometry. The Mathematics Teacher, 338-344.
(3) Catalogo della mostra Intersections: Henry Moore and Stringed Surfaces
(4) Pierpaolo Antonello, La nuova civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli
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Tuono Pettinato racconta Albert Einstein
sabato 1 novembre a Lucca Comics & Science, è un'uscita speciale dedicata ai cento anni della relatività generale di Albert Einstein.
Il numero è costituito soprattutto dagli articoli usciti su Scientific American #313, come per esempio l'articolo introduttivo di Brian Greene(16) o quello su viaggi e paradossi temporali di Tim Folger(17) (vi ricordo a tal proposito del mio postParadosso cosmico) introdotto da un fumetto di Asaf Hanuka. Ed è proprio un fumetto il contributo più originale realizzato in tema con il numero speciale: Albert & me di Tuono Pettinato.
La storia è estremamente breve, ma molto efficace: in 8 pagine, aiutato dalle versioni fumettistiche di Amedeo Balbi e Carlo Rovelli, Pettinato racconta in maniera gradevole e fisicamente ben argomentata la vita e le opere di Einstein, con una struttura e un umorismo che ricordano le biografie che mensilmente propone per linus.
Esempio lampante dei toni leggeri e ironici è proprio la prima pagina con l'appena accennato "litigio" tra Amedeo e Rovelli che si conclude con questa gustosa striscia:
In effetti una delle citazioni più belle di Einstein può essere inquadrata proprio nell'ottica dell'ozio creativo:
Torniamo, però, all'Albert di Pettinato, in particolare a quello del 1905. All'epoca lavorava presso l'ufficio brevetti di Berna e, tra tesi di dottorato e articoli, diede alle stampe una serie di importanti risultati per la fisica. Di questi Pettinato ne sceglie tre, iniziando dall'effetto fotoelettrico, la cui spiegazione gli valse il Nobel per la fisica nel 1921.
Tale effetto effetto fisico è quel fenomeno per cui, quando un metallo viene colpito da una data radiazione elettromagnetica, esso emette in risposta degli elettroni, detti anche fotoelettroni. Le loro energie, come si suol dire oggi, risultano quantizzate, ovvero questi elettroni vengono emessi a specifiche energie, legate a quelle delle radiazioni incidenti. E la prima spiegazione soddisfacente di tale fenomeno è dovuta proprio ad Albert Einstein con un articolo uscito su Annalen der Physik(3), la stessa rivista dove erano usciti, pochi anni prima, due articoli di Max Planck(9, 10) (anche lui tornerà più avanti in questa storia) che furono di ispirazione per quello di Einstein. Anche in questo caso la storia completa la trovate su DropSea.
La dimostrazione della natura atomica della materia e dell'esistenza delle molecoleè contenuta nella dissertazione per il dottorato presso l'Università di Zurigo, Una nuova determinazione delle dimensioni molecolari(4). Nella tesi, il suo lavoro più citato(15), ma anche il meno noto, si concentrò nella derivazione idrodinamica della relazione tra il coefficiente di viscosità di un liquido con e senza particelle in sospensione. Inoltre ricavò una nuova formula per la costante di diffusione e infine, utilizzando dati sperimentali, ricavò un valore per la costante di Avogadro e le dimensioni delle molecole di zucchero, di fatto migliorando un metodo proposto nel 1865 da Loschmidt(15).
Il secondo articolo(6), invece, è quello della famosa equazione \[E = mc^2\] meglio noto come l'equivalenza tra massa ed energia.
Al successo di questi due lavori contribuì anche Max Planck, prima con un articolo(11) che di fatto confermava le idee di Einstein sulla massa dell'elettrone, quindi con una riformulazione dell'equazione originaria di cui sopra(12).
Dunque sia Poincaré, sia Planck, protagonisti delle due vignette qui sotto, sono due contributori, per quanto marginali, della relatività speciale, ed è soprattutto sull'idea che il loro contributo sia stato più importante di quello di Einstein che scherza Pettinato con le due vignette qui sotto:![]()
Einstein inizia, allora, questo nuovo percorso nel 1907 con un articolo in cui formula il principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale(7) (ispirato al lavoro di Ernst Mach), dove per massa gravitazionale si intende quella che misuriamo sulla bilancia, mentre per massa inerziale si intende quella che si oppone al moto. Come lo stesso Einstein scrisse in The meaning of relativity, il principio di equivalenza
L'ultimo ingrediente per completare il quadro è la curvatura dello spaziotempo generata dalla massa di qualunque corpo immerso in esso. In effetti fu quest'ultima sfida che viene risolta nel 1915 e celebrata con il numero speciale de Le Scienze di novembre 2015, e per risolverla Einstein ebbe bisogno dell'aiuto prezioso di Marcel Grossmann, che lo introdusse alle geometrie non euclidee di Bernard Riemann, e di Tullio Levi-Civita, che gli suggerì di utilizzare il calcolo tensoriale da lui sviluppato nella teoria della gravitazione che Albert stava cercando di costruire. Alla fine questi sforzi matematici vennero coronati dalle oggi note equazioni di campo di Einstein, presentate nella loro forma definitiva il 25 novembre 1915 presso l'Accademia Prussiana delle Scienze: \[R_{\mu \nu} - \frac{1}{2} R g_{\mu \nu} = T_{\mu \nu}\] Sono proprio queste equazioni che implicano l'esistenza di una curvatura dello spaziotempo, ovvero di una sua deformazione indotta dalla presenza dei corpi celesti:
E' bello vedere come i fisici, ogni volta che spiegano la relatività generale, utilizzino tutti la stessa immagine: personalmente, a differenza di Rovelli qui sopra, utilizzo un lenzuolo o un fazzoletto, ma il senso è quello di utilizzare un'immagine abbastanza semplice da visualizzare per chiunque. Ad ogni buon conto, quella della curvatura dello spaziotempo è stata verificata da Arthur Eddington dopo pochi anni: era il 6 novembre del 1919 quando l'astronomo britannico, durante una riunione di Royal Society e Royal Astronomical Society mostrò i risultati delle osservazioni avvenute durante l'eclissi solare totale del 29 maggio di quello stesso anno.
La brevissima storia della relatività di Einstein finisce qui, supportata da alcune delle vignette di Albert & me. A coloro che sono arrivati indenni fino alla fine di questo post lascio due link ulteriori. Innanzitutto il pdf della traduzione in inglese del libro uscito nel 1916 per Methuen & Co Ltd dove Einstein raccoglie le sue due teorie della relatività. E quindi il bel libro The Einstein Theory Of Relativity di Lillian Lieber.
(1) Creativity is the residue of time wasted
(2) (...) is equivalent to the assertion that the acceleration imparted to a body by a gravitational field is independent of the nature of the body.
Articoli di Albert Einstein:
(3) Einstein, A. (1905). Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt Annalen der Physik, 322 (6), 132-148 DOI: 10.1002/andp.19053220607 (Wikisource)
(4) Einstein, A. (1905). A new determination of molecular dimensions (pdf)
(5) Einstein, A. (1905). Zur Elektrodynamik bewegter Körper Annalen der Physik, 322 (10), 891-921 DOI: 10.1002/andp.19053221004 (pdf - english translation)
(6) Einstein, A. (1905). Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig? Annalen der Physik, 323 (13), 639-641 DOI: 10.1002/andp.19053231314 (english translation)
(7) Einstein, A. (1908). Über das Relativitätsprinzip und die aus demselben gezogenen Folgerungen, Jahrb. Radioaktiv. Elektron., 1907, vol. 4, p. 411 (pdf)
(8) Einstein, A. (1911). Über den Einfluß der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes Annalen der Physik, 340 (10), 898-908 DOI: 10.1002/andp.19113401005
(9) Planck, M. (1900). Ueber irreversible Strahlungsvorgänge Annalen der Physik, 306 (1), 69-122 DOI: 10.1002/andp.19003060105
(10) Planck, M. (1901). Ueber das Gesetz der Energieverteilung im Normalspectrum Annalen der Physik, 309 (3), 553-563 DOI: 10.1002/andp.19013090310
(11) Planck, Max (1906), "Die Kaufmannschen Messungen der Ablenkbarkeit der β-Strahlen in ihrer Bedeutung für die Dynamik der Elektronen", Physikalische Zeitschrift 7: 753–761 (english translation)
(12) Planck, M. (1908). Zur dynamik bewegter systeme. Annalen der Physik, 331(6), 1-34. (english translation)
(13) Lorentz, Hendrik Antoon (1904), "Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that of light", Proceedings of the Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences 6: 809–831 (wikisource)
(14) Poincaré M.H. (1906). Sur la dynamique de l’électron, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 21 (1) 129-175. DOI: http://dx.doi.org/10.1007/bf03013466 (wikisource - english translation)
(15) Straumann, N. (2005). On Einstein's Doctoral Thesis. arXiv:physics/0504201.
(16) Greene, B. (2015). Why He Matters Scientific American, 313 (3), 34-37 DOI: 10.1038/scientificamerican0915-34
(17) Folger, T. (2015). A Brief History of Time Travel Scientific American, 313 (3), 68-73 DOI: 10.1038/scientificamerican0915-68
Il numero di novembre de Le Scienze, portato in anteprima Il numero è costituito soprattutto dagli articoli usciti su Scientific American #313, come per esempio l'articolo introduttivo di Brian Greene(16) o quello su viaggi e paradossi temporali di Tim Folger(17) (vi ricordo a tal proposito del mio postParadosso cosmico) introdotto da un fumetto di Asaf Hanuka. Ed è proprio un fumetto il contributo più originale realizzato in tema con il numero speciale: Albert & me di Tuono Pettinato.
La storia è estremamente breve, ma molto efficace: in 8 pagine, aiutato dalle versioni fumettistiche di Amedeo Balbi e Carlo Rovelli, Pettinato racconta in maniera gradevole e fisicamente ben argomentata la vita e le opere di Einstein, con una struttura e un umorismo che ricordano le biografie che mensilmente propone per linus.
Esempio lampante dei toni leggeri e ironici è proprio la prima pagina con l'appena accennato "litigio" tra Amedeo e Rovelli che si conclude con questa gustosa striscia:

La creatività è il residuo della perdita di tempo(1)E' interessante osservare come Henri Poincaré abbia raccontato un episodio non troppo distante dall'ottica dell'affermazione di Einstein: il matematico fracese, che come vedremo più avanti ebbe un ruolo nello sviluppo della relatività speciale, racconta come una pausa (un'escursione geologica) negli infruttuosi tentativi per risolvere un problema matematico particolarmente ostico, si rivelò invece decisiva per sbloccare la sua creatività.
L'annus mirabilis

Tale effetto effetto fisico è quel fenomeno per cui, quando un metallo viene colpito da una data radiazione elettromagnetica, esso emette in risposta degli elettroni, detti anche fotoelettroni. Le loro energie, come si suol dire oggi, risultano quantizzate, ovvero questi elettroni vengono emessi a specifiche energie, legate a quelle delle radiazioni incidenti. E la prima spiegazione soddisfacente di tale fenomeno è dovuta proprio ad Albert Einstein con un articolo uscito su Annalen der Physik(3), la stessa rivista dove erano usciti, pochi anni prima, due articoli di Max Planck(9, 10) (anche lui tornerà più avanti in questa storia) che furono di ispirazione per quello di Einstein. Anche in questo caso la storia completa la trovate su DropSea.

Relatività
E veniamo finalmente alla relatività speciale. Essa è sicuramente la teoria più nota di Albert Einstein, insieme con la relatività generale ed è costruita su due articoli distinti: nel primo(5) riconcilia le leggi dell'elettromagnetismo con quelle della meccanica. Lo stimolo per il lavoro proviene da un problema interessante legato con il secondo principio di relatività: La velocità della luce è la stessa in qualunque sistema di riferimento inerzialeIl problema è presto detto: determinare il contributo del campo elettromagnetico alla massa di una particella in movimento. In pratica è per rispondere a questa domanda che Einstein, partendo dai lavori precedenti di Lorentz(13) e di Poincaré(14), espresse il famoso secondo principio di relatività(5).
Il secondo articolo(6), invece, è quello della famosa equazione \[E = mc^2\] meglio noto come l'equivalenza tra massa ed energia.
Al successo di questi due lavori contribuì anche Max Planck, prima con un articolo(11) che di fatto confermava le idee di Einstein sulla massa dell'elettrone, quindi con una riformulazione dell'equazione originaria di cui sopra(12).
Dunque sia Poincaré, sia Planck, protagonisti delle due vignette qui sotto, sono due contributori, per quanto marginali, della relatività speciale, ed è soprattutto sull'idea che il loro contributo sia stato più importante di quello di Einstein che scherza Pettinato con le due vignette qui sotto:

Nel segno di Ernst Mach
Quella che però Tuono Pettinato è chiamato a celebrare è soprattutto la teoria della relatività generale. La relatività ristretta o speciale è una teoria sicuramente elettromagnetica, nel senso che nasce in risposta alle domande che quest'ultima poneva ai fisici, ma è soprattutto una teoria sul moto, in particolare quello rettilineo, libero dall'influenza di qualsivoglia campo esterno, in particolare da quello gravitazionale. Questo, però, è di fatto uno dei campi più importanti per l'universo: se la forza elettromagnetica tiene insieme atomi, molecole, e crescendo via via fino ai pianeti, essi sono legati alla stella intorno cui ruotano proprio grazie al campo gravitazionale generato dall'astro (ad essere pignoli la gravitazione è una forza mutuale), e da qui, allora, nasce l'esigenza di comprendere come, nell'ottica introdotta dalla relatività speciale, si dovesse trattare questo campo fondamentale.Einstein inizia, allora, questo nuovo percorso nel 1907 con un articolo in cui formula il principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale(7) (ispirato al lavoro di Ernst Mach), dove per massa gravitazionale si intende quella che misuriamo sulla bilancia, mentre per massa inerziale si intende quella che si oppone al moto. Come lo stesso Einstein scrisse in The meaning of relativity, il principio di equivalenza
(...) è equivalente all'asserzione che l'accelerazione impartita a un corpo da un campo gravitazionale è indipendente dalla natura del corpo.(2)Un'ulteriore generalizzazione del principio di equivalenza arriva nel 1911 quando Einstein osserva come, dall'interno, una scatola che si muove di moto uniformemente accelerato è indistinguibile da una scatola ferma in un campo gravitazionale(8). Inoltre applicando la relatività speciale si osserva come il tempo scorra in maniera differente in funzione della posizione rispetto all'origine del campo gravitazionale, concetto splendidamente rappresentato con le vignette sulla giostra:


La brevissima storia della relatività di Einstein finisce qui, supportata da alcune delle vignette di Albert & me. A coloro che sono arrivati indenni fino alla fine di questo post lascio due link ulteriori. Innanzitutto il pdf della traduzione in inglese del libro uscito nel 1916 per Methuen & Co Ltd dove Einstein raccoglie le sue due teorie della relatività. E quindi il bel libro The Einstein Theory Of Relativity di Lillian Lieber.
(1) Creativity is the residue of time wasted
(2) (...) is equivalent to the assertion that the acceleration imparted to a body by a gravitational field is independent of the nature of the body.
Articoli di Albert Einstein:
(3) Einstein, A. (1905). Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt Annalen der Physik, 322 (6), 132-148 DOI: 10.1002/andp.19053220607 (Wikisource)
(4) Einstein, A. (1905). A new determination of molecular dimensions (pdf)
(5) Einstein, A. (1905). Zur Elektrodynamik bewegter Körper Annalen der Physik, 322 (10), 891-921 DOI: 10.1002/andp.19053221004 (pdf - english translation)
(6) Einstein, A. (1905). Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Energieinhalt abhängig? Annalen der Physik, 323 (13), 639-641 DOI: 10.1002/andp.19053231314 (english translation)
(7) Einstein, A. (1908). Über das Relativitätsprinzip und die aus demselben gezogenen Folgerungen, Jahrb. Radioaktiv. Elektron., 1907, vol. 4, p. 411 (pdf)
(8) Einstein, A. (1911). Über den Einfluß der Schwerkraft auf die Ausbreitung des Lichtes Annalen der Physik, 340 (10), 898-908 DOI: 10.1002/andp.19113401005
(9) Planck, M. (1900). Ueber irreversible Strahlungsvorgänge Annalen der Physik, 306 (1), 69-122 DOI: 10.1002/andp.19003060105
(10) Planck, M. (1901). Ueber das Gesetz der Energieverteilung im Normalspectrum Annalen der Physik, 309 (3), 553-563 DOI: 10.1002/andp.19013090310
(11) Planck, Max (1906), "Die Kaufmannschen Messungen der Ablenkbarkeit der β-Strahlen in ihrer Bedeutung für die Dynamik der Elektronen", Physikalische Zeitschrift 7: 753–761 (english translation)
(12) Planck, M. (1908). Zur dynamik bewegter systeme. Annalen der Physik, 331(6), 1-34. (english translation)
(13) Lorentz, Hendrik Antoon (1904), "Electromagnetic phenomena in a system moving with any velocity smaller than that of light", Proceedings of the Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences 6: 809–831 (wikisource)
(14) Poincaré M.H. (1906). Sur la dynamique de l’électron, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 21 (1) 129-175. DOI: http://dx.doi.org/10.1007/bf03013466 (wikisource - english translation)
(15) Straumann, N. (2005). On Einstein's Doctoral Thesis. arXiv:physics/0504201.
(16) Greene, B. (2015). Why He Matters Scientific American, 313 (3), 34-37 DOI: 10.1038/scientificamerican0915-34
(17) Folger, T. (2015). A Brief History of Time Travel Scientific American, 313 (3), 68-73 DOI: 10.1038/scientificamerican0915-68
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I rompicapi di Alice: Il moto perpetuo
Al pari della ricerca sulla pietra filosofale, il misterioso materiale alchemico che dovrebbe permettere la trasmutazione degli elementi, in particolare dei metalli vili nel prezioso oro, c'è la ricerca di uno strumento in grado di generare il moto perpetuo, ovvero un ingranaggio in grado di muoversi in maniera indefinita senza alcuna necessità di alimentazione dall'esterno.
Come vedremo questa ricerca ha ben più di un migliaio di anni e continua ancora oggi, tra persone che genuinamente (e un po' ingenuamente, verrebbe da aggiungere) cercano di ottenere quello che sarebbe un salto tecnologico non indifferente e truffatori veri e propri. Il modo migliore per affrontare tutti questi è ricordare ciò che disse Richard Feynman ad alcuni studenti che lo invitavano a una dimostrazione per un motore a moto se non perpetuo ma piuttosto lungo:![]()
La ruota di Bhaskara IIIl primo strumento che avrebbe dovuto realizzare il moto perpetuo era la così detta ruota magica, una ruota che gira sul proprio asse il cui movimento sarebbe dovuto essere alimentato da una serie di calamite. Questo strumento fece la sua prima apparizione nell'ottavo secolo in Baviera: progettato per ruotare in perpetuo venne sconfitto, sul lungo periodo, dall'attrito, che così costrinse la ruota magica a piegarsi all'inevitabile fine termodinamica. Sebbene i tempi non combacino, si dice in giro che questa ruota magica dalla Baviera sia basata su un progetto precedente proposto dal matematico e astronomo indiano Bhaskara II, vissuto nel dodiciesimo secolo.
La sua opera più importante è il Siddhanta-Shiromani, la corona dei trattati, opera in versi dove, tra gli altri, arriva a calcolare per approssimazione la derivata del seno \[\frac{\text{d}}{\text{d} y} \sin y = \cos y\] Ha anche realizzato una dimostrazione del teorema di Pitagora, mentre la sua strada si è incrociata, come può solo nei tortuosi percorsi della matematica, con quella di Pierre de Fermat, il matematico dilettante noto per lanciare le sfide ai colleghi più titolati, come nel caso del meglio noto ultimo teorema di Fermat o di un'altra equazione diofantea: \[61 x^2 + 1 = y^2\] Quest'ultima, proposta nel 1657, venne risolta nel 18.mo secolo dallo svizzero Eulero, a meno di non considerare la soluzione già scoperta 6 secoli prima proprio da Bhaskara II.
Come astronomo la maggior parte dei suoi contributi sono contenuti nel già citato Siddhanta-Shiromani, dove, come abbiamo visto, ha sviluppato alcuni concetti della trigonometria, branca della matematica importante, se non addirittura necessaria per compiere delle osservazioni quanto più precise possibile.
Ad ogni buon conto Bhaskara II è, astronomicamente parlando, erede di Aryabhata (quarto secolo) e Brahmagupta (settimo secolo) che svilupparono, con circa un millennio di anticipo sugli astronomi europei, un modello eliocentrico. Poggiando su queste basi teoriche e osservative, Bhaskara II realizza una serie di osservazioni sui corpi celesti, primi fra tutti luna e sole.
Come ingegnere, invece, è meglio noto per la ruota di Bhaskara, una ruota i cui raggi erano parzialmente riempiti di mercurio. Secondo Bhaskara sarebbe stato proprio questo mercurio a garantire il moto perpetuo della ruota(2).
Entrambi gli studiosi, così come molti loro contemporanei e successori, si concentrarono sulla ruota. In particolare il francese propose una ruota che viene continuamente sbilanciata da una serie di martelli equidistanti posti sulla sua circonferenza. Negli appunti di de Honnecourt si trova poi un riferimento al mercurio come sostituto dei martelli, a dimostrazione che conosceva il progetto di Bhaskara(2).
La proposta di Taccola, invece, è più una variazione sui martelli di de Honnecourt che sul mercurio del matematico indiano: l'italiano, infatti, propone l'utilizzo di raggi con un'articolazione al centro. L'idea è evidentemente quella di indurre e sostenere il movimento utilizzando l'attrazione della Terra sull'estremità non fissata del raggio. Al di là del non funzionamento della sua ruota, c'è comunque da osservare che il disegno di Taccola è tra i più belli e precisi dell'epoca.
Nella diatriba si inserì anche Leonardo da Vinci. Personaggio poliedrico, è uno degli eredi di Alhazen, le cui tracce si possono ritrovare in tutto l'approccio, anche quello artistico, di Leonardo. E la macchina per il moto perpetuo, progettata e costruita per dimostrarne l'impossibilità, ne è l'esempio più lampante. Il disegno del progetto, contenuto nel Codice di Madrid e ricostruito e conservato nel Museo Leonardo da Vinci di Firenze, è così descritto negli appunti di Leonardo:![]()
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Zonca aveva immaginato un mulino a moto perpetuo con dei vasi giganteschi parzialmente riempiti di acqua, come spiega nel trattato Novo teatro di machine et edificci per varie et sicure operationi:![]()
Dell'era moderna, ovvero dal diciannovesimo secolo in poi, preferisco citare Nikola Tesla che, tra le altre cose, ha affermato di aver scoperto un principio su cui si baserebbe una macchina per il moto perpetuo del secondo tipo (vedere classificazione nell'ultima sezione):
Le condizioni per ottenere quest'ultimo vengono così definite (la mia spiegazione è un adattanmento di quella di Airy(3)): prendiamo un pendolo; la velocità del peso alla fine della corda del pendolo sarà massima nel punto più basso, ma ad ogni nuova oscillazione questa velocità si riduce a causa dell'attrito, rendendo inevitabile l'arresto del moto. Gli orologi a pendolo funzionano, in principio, proprio grazie alla correzione che gli ingranaggi fanno della perdita dovuta all'attrito, sebbene ciò non impedisca loro di dover essere periodicamente ricaricati (in qualche modo questa correzione implica una spesa di energia che va ripristinata). Per avere un moto perpetuo, la forza che si oppone al moto deve funzionare proprio come gli ingranaggi dell'orologio a pendolo: controbilanciare esattamente l'attrito in modo tale che la velocità nel punto più basso di oscillazione sia costante nel tempo.
Un sistema di questo genere, un orologio a pendolo perpetuo lo si potrebbe chiamare, viene descritto dal matematico attraverso un'equazione differenziale, la cui risoluzione analitica non è per nulla semplice. Quindi, per ottenere un risultato, Airy è costretto a trascurare uno dei due termini. Senza discutere la sua soluzione (d'altra parte neanche Airy è interessato a ciò, ma alla possibilità che, concettualmente, possa esistere una soluzione al problema matematico), dal punto di vista della fisica trovare una soluzione approssimata coincide con il trovare le condizioni reali per rendere un moto, seppur per un tempo limitato, compatibile con un moto perpetuo. O capire, ad esempio, per quali angoli il moto di un pendolo è descrivibile con le equazioni approssimate scoperte da Galileo Galilei.
Si può, più in genrale, considerare l'articolo di Airy come uno dei primi, se non il primo tentativo di affrontare in maniera scientifica il problema del moto perpetuo.
Quello di prima specie implica la violazione del primo principio della termodinamica, o della conservazione dell'energia: in pratica lo si realizzerebbe con una macchina in grado di produrre una quantità di energia superiore a quella consumata, in modo tale da autoalimentarsi. Macchine che vorrebbero realizzare questo genere di moto perpetuo utilizzano magneti come fonti di energia, ma sebbene riescano a muoversi per tempi lunghi, sono comunque destinate a fermarsi poiché non possono in alcun modo estrarre energia gratuita.
Il moto perpetuo di seconda specie, invece, implica la violazione del secondo principio della termodinamica, visto che sistemi di questo genere implicherebbero il trasferimento di energia da un corpo freddo a un corpo caldo senza spendere lavoro. Detto in termini più semplici, tali macchine avrebbero un rendimento pari al 100%, visto che dovrebbero convertire l'energia termica estratta da una data sorgente completamente in energia meccanica, ad esempio. In questo caso il primo principio non verrebbe violato.
Nell'ottica di questa classificazione la ricerca di un moto perpetuo diventa la ricerca di una violazione di uno dei due principi della termodinamica e quindi una ricerca molto più fondamentale di quella che i costruttori di macchine a moto perpetuo hanno finora condotto, al di là delle loro ultime motivazioni.
Il post, per quanto non completo, si basa su History of perpetual motion machines su en.wiki
(1) Richard Feynman, Mr. Papf's Perpetual Motion (traduzione in italiano a cura del CICAP)
(2) Donald E. Simanek, A perpetual futility
(3) Airy, G. B. (1830). On certain conditions under which a perpetual motion is possible. Cambridge Philosophical Transactions.
Leggi anche:
The museum of unworkable devices
Perepiteia
Perpetual Motion di Arthur W. J. G. Ord-Hume
Come vedremo questa ricerca ha ben più di un migliaio di anni e continua ancora oggi, tra persone che genuinamente (e un po' ingenuamente, verrebbe da aggiungere) cercano di ottenere quello che sarebbe un salto tecnologico non indifferente e truffatori veri e propri. Il modo migliore per affrontare tutti questi è ricordare ciò che disse Richard Feynman ad alcuni studenti che lo invitavano a una dimostrazione per un motore a moto se non perpetuo ma piuttosto lungo:
Dovete chiedervi: 'Dove si trova il rifornimento di energia?'(1)
La ruota magica

La ruota di Bhaskara II
La sua opera più importante è il Siddhanta-Shiromani, la corona dei trattati, opera in versi dove, tra gli altri, arriva a calcolare per approssimazione la derivata del seno \[\frac{\text{d}}{\text{d} y} \sin y = \cos y\] Ha anche realizzato una dimostrazione del teorema di Pitagora, mentre la sua strada si è incrociata, come può solo nei tortuosi percorsi della matematica, con quella di Pierre de Fermat, il matematico dilettante noto per lanciare le sfide ai colleghi più titolati, come nel caso del meglio noto ultimo teorema di Fermat o di un'altra equazione diofantea: \[61 x^2 + 1 = y^2\] Quest'ultima, proposta nel 1657, venne risolta nel 18.mo secolo dallo svizzero Eulero, a meno di non considerare la soluzione già scoperta 6 secoli prima proprio da Bhaskara II.
Come astronomo la maggior parte dei suoi contributi sono contenuti nel già citato Siddhanta-Shiromani, dove, come abbiamo visto, ha sviluppato alcuni concetti della trigonometria, branca della matematica importante, se non addirittura necessaria per compiere delle osservazioni quanto più precise possibile.
Ad ogni buon conto Bhaskara II è, astronomicamente parlando, erede di Aryabhata (quarto secolo) e Brahmagupta (settimo secolo) che svilupparono, con circa un millennio di anticipo sugli astronomi europei, un modello eliocentrico. Poggiando su queste basi teoriche e osservative, Bhaskara II realizza una serie di osservazioni sui corpi celesti, primi fra tutti luna e sole.
Come ingegnere, invece, è meglio noto per la ruota di Bhaskara, una ruota i cui raggi erano parzialmente riempiti di mercurio. Secondo Bhaskara sarebbe stato proprio questo mercurio a garantire il moto perpetuo della ruota(2).
Gli speculatori del continuo moto
In Europa due delle macchine del moto perpetuo più celebri sono quelle di Villard de Honnecourt e del senese Mariano di Iacopo, detto Taccola.Entrambi gli studiosi, così come molti loro contemporanei e successori, si concentrarono sulla ruota. In particolare il francese propose una ruota che viene continuamente sbilanciata da una serie di martelli equidistanti posti sulla sua circonferenza. Negli appunti di de Honnecourt si trova poi un riferimento al mercurio come sostituto dei martelli, a dimostrazione che conosceva il progetto di Bhaskara(2).
La proposta di Taccola, invece, è più una variazione sui martelli di de Honnecourt che sul mercurio del matematico indiano: l'italiano, infatti, propone l'utilizzo di raggi con un'articolazione al centro. L'idea è evidentemente quella di indurre e sostenere il movimento utilizzando l'attrazione della Terra sull'estremità non fissata del raggio. Al di là del non funzionamento della sua ruota, c'è comunque da osservare che il disegno di Taccola è tra i più belli e precisi dell'epoca.
Nella diatriba si inserì anche Leonardo da Vinci. Personaggio poliedrico, è uno degli eredi di Alhazen, le cui tracce si possono ritrovare in tutto l'approccio, anche quello artistico, di Leonardo. E la macchina per il moto perpetuo, progettata e costruita per dimostrarne l'impossibilità, ne è l'esempio più lampante. Il disegno del progetto, contenuto nel Codice di Madrid e ricostruito e conservato nel Museo Leonardo da Vinci di Firenze, è così descritto negli appunti di Leonardo:

(...) qualunque peso sarà appiccato alla rota, il quale peso sia causa del moto d’essa rota, senza alcun dubbio il centro di tal peso si fermerà sotto il centro del suo polo; e nessuno instrumento che per umano ingegno fabbricar si possa che col suo polo si volti, potrà a tale effetto riparare.Leonardo, poi, non risparmia una battuta contro i cercatori del moto perpetuo, che in pratica paragona agli alchimisti in perenne ricerca della pietra filosofale:
o speculatori del continuo moto, quanti vari ingegni in simil cerca avete creati! Accompagnatevi con li cercatori d’oro [i maghi alchimisti].

Vasi e mulini
La bocciatura di Leonardo, o quella di Planck più sotto, non è mai stata considerata definitiva e così i tentativi di realizzare il moto perpetuo sono proseguiti nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. La carrellata sarebbe abbastanza lunga e noiosa (vi ripando alla pagina en.wiki che fa da ispirazione principale), da cui però mi piace estrarvi un paio di strumenti come il vaso di Robert Boyle, che forse per funzionare dovrebbe essere costruito come una bottiglia di Klein! Una seconda macchina, più complessa della prima ma in un certo senso basata anch'essa su dei vasi (anche se piuttosto grandi!) è quella proposta dall'italiano Vittorio Zonca(2).Zonca aveva immaginato un mulino a moto perpetuo con dei vasi giganteschi parzialmente riempiti di acqua, come spiega nel trattato Novo teatro di machine et edificci per varie et sicure operationi:


Partire da metodi noti - la possibilità di un motore o una macchina "auto-agente", inanimato, ma capace, come un essere vivente, di estrarre energia dal mezzo - la strada ideale per ottenere potenza motrice.Con Tesla entriamo nell'era dei brevetti di strumenti che, pur se non di moto perpetuo, hanno meccanismi che perdono energia molto lentamente. Ovviamente questi stessi dispositivi si rivelano per la maggior parte fallimentari (discorso a parte quello di decidere tra il dolo e l'incapacità di progettazione del propositore), come una delle ultime proposte della Steorn Ltd.: la sua dimostrazione il 4 luglio 2007 si rivelò fallimentare, cancellata per problemi tecnici, mentre la giuria di scienziati selezionata l'anno prima nel giugno del 2009 affermò che tale tecnologia non funzionava.
Sulla fattibilità del moto perpetuo
Per l'ultimo pezzo del post facciamo un salto indietro nel tempo: all'inizio del diciannovesimo secolo George Biddell Airy osservò come l'impossibilità del moto perpetuo dipende dall'integrabilità dell'espressione differenziale \[x \text{d}x + y \text{d}y + z \text{d}z\] (...) poiché in tutte le forze di cui abbiamo una conoscenza accurata questa espressione è un differenziale completo, segue che il moto perpetuo è incompatibile con tali forze.(3)E' abbastanza evidente sin dal titolo dell'articolo di Airy dove quest'ultimo voglia arrivare: capire i limiti matematici di validità entro cui si può ragionevolmente riferirsi a un moto come perpetuo.
Le condizioni per ottenere quest'ultimo vengono così definite (la mia spiegazione è un adattanmento di quella di Airy(3)): prendiamo un pendolo; la velocità del peso alla fine della corda del pendolo sarà massima nel punto più basso, ma ad ogni nuova oscillazione questa velocità si riduce a causa dell'attrito, rendendo inevitabile l'arresto del moto. Gli orologi a pendolo funzionano, in principio, proprio grazie alla correzione che gli ingranaggi fanno della perdita dovuta all'attrito, sebbene ciò non impedisca loro di dover essere periodicamente ricaricati (in qualche modo questa correzione implica una spesa di energia che va ripristinata). Per avere un moto perpetuo, la forza che si oppone al moto deve funzionare proprio come gli ingranaggi dell'orologio a pendolo: controbilanciare esattamente l'attrito in modo tale che la velocità nel punto più basso di oscillazione sia costante nel tempo.
Un sistema di questo genere, un orologio a pendolo perpetuo lo si potrebbe chiamare, viene descritto dal matematico attraverso un'equazione differenziale, la cui risoluzione analitica non è per nulla semplice. Quindi, per ottenere un risultato, Airy è costretto a trascurare uno dei due termini. Senza discutere la sua soluzione (d'altra parte neanche Airy è interessato a ciò, ma alla possibilità che, concettualmente, possa esistere una soluzione al problema matematico), dal punto di vista della fisica trovare una soluzione approssimata coincide con il trovare le condizioni reali per rendere un moto, seppur per un tempo limitato, compatibile con un moto perpetuo. O capire, ad esempio, per quali angoli il moto di un pendolo è descrivibile con le equazioni approssimate scoperte da Galileo Galilei.
Si può, più in genrale, considerare l'articolo di Airy come uno dei primi, se non il primo tentativo di affrontare in maniera scientifica il problema del moto perpetuo.
Termodinamicamente
Scrive max Planck nel Trattato sulla termodinamica del 1945: E' impossibile ottenere il moto perpetuo per via meccanica, termica, chimica, o qualsiasi altro metodo, ossia è impossibile costruire un motore che lavori continuamente e produca dal nulla lavoro o energia cinetica.Dal punto di vista della termodinamica si possono definire due tipi distinti di moti perpetui, quello di prima e quello di seconda specie.
Quello di prima specie implica la violazione del primo principio della termodinamica, o della conservazione dell'energia: in pratica lo si realizzerebbe con una macchina in grado di produrre una quantità di energia superiore a quella consumata, in modo tale da autoalimentarsi. Macchine che vorrebbero realizzare questo genere di moto perpetuo utilizzano magneti come fonti di energia, ma sebbene riescano a muoversi per tempi lunghi, sono comunque destinate a fermarsi poiché non possono in alcun modo estrarre energia gratuita.
Il moto perpetuo di seconda specie, invece, implica la violazione del secondo principio della termodinamica, visto che sistemi di questo genere implicherebbero il trasferimento di energia da un corpo freddo a un corpo caldo senza spendere lavoro. Detto in termini più semplici, tali macchine avrebbero un rendimento pari al 100%, visto che dovrebbero convertire l'energia termica estratta da una data sorgente completamente in energia meccanica, ad esempio. In questo caso il primo principio non verrebbe violato.
Nell'ottica di questa classificazione la ricerca di un moto perpetuo diventa la ricerca di una violazione di uno dei due principi della termodinamica e quindi una ricerca molto più fondamentale di quella che i costruttori di macchine a moto perpetuo hanno finora condotto, al di là delle loro ultime motivazioni.
Il post, per quanto non completo, si basa su History of perpetual motion machines su en.wiki
(1) Richard Feynman, Mr. Papf's Perpetual Motion (traduzione in italiano a cura del CICAP)
(2) Donald E. Simanek, A perpetual futility
(3) Airy, G. B. (1830). On certain conditions under which a perpetual motion is possible. Cambridge Philosophical Transactions.
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Autodeterminazioni
Io sono una carota. Voi siete una carota. Tutti noi siamo carote. Finché ci ricorderemo la nostra comune condizione di carote, tutto andrà nel migliore dei modi.E' quanto disse Will Ferguson durante un congresso sulla globalizzazione tenutosi a Tokyo. In quell'occasione Will, confondendosi tra le parole giapponesi ningen (umano) e ninjin (carota) spronò il suo uditorio con le parole che avete appena letto, tratte da Autostop con Buddha.
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